varie 24/7/2015, 24 luglio 2015
ARTICOLI SUL NUOVO PIANETA SCOPERTO DALLA NASA
SILVIA BENCIVELLI, LA REPUBBLICA –
È quasi come vedersi allo specchio: c’è un pianeta nella Via Lattea che assomiglia molto al nostro e che gira intorno a un sole quasi uguale al nostro. Si trova nella costellazione del Cigno, a 1400 anni luce da noi, una distanza enorme a cui probabilmente non arriveremo mai, ma visto da qui la sua somiglianza impressionante con la Terra colpisce davvero. Lo ha presentato ieri sera la Nasa in una conferenza stampa attesa da giorni e seguita da tutto il mondo: «È il primo pianeta di dimensioni simili alla Terra che si trova nella cosiddetta zona abitabile di una stella simile al Sole», è stato annunciato. Da ieri il suo nome è Kepler 452b.
Il fratello della Terra è stato scoperto dal telescopio spaziale della Nasa Kepler. Lanciato nel 2009, Kepler è un occhio potentissimo che scruta centocinquantamila stelle della Via Lattea per capire se da quelle parti vi si trovino pianeti simili al nostro, che come il nostro potrebbero ospitare la vita.
In particolare, Kepler osserva la luminosità delle stelle e, se vede che questa diminuisce in maniera periodica, deduce che c’è qualcosa che ci sta passando e ripassando davanti. Cioè un pianeta che le gira intorno. In questo modo ha compilato un catalogo di ben 4200 candidati pianeti lontani in orbita intorno a stelle che non sono il Sole, tecnicamente chiamati “esopianeti”, a cui di recente ne sono stati aggiunti altri cinquecento. Tra questi, ieri sera ne sono stati presentati dodici con due caratteristiche chiave: sono di dimensioni simili alla Terra e sono in orbita intorno alla loro stella nella “zona abitabile”, cioè a una distanza tale da permettere l’esistenza di acqua allo stato liquido (supponendo che l’acqua su questi pianeti ci sia!).
Ma Kepler 452b è qualcosa di più. Intanto ha un diametro del 60% superiore a quello terrestre, che significa che non è proprio uguale al nostro pianeta, ma insomma non è nemmeno tanto più grande. Si posiziona più o meno tra la Terra e Nettuno, che però è un pianeta gassoso. Ma il suo sole è una stella davvero molto simile alla nostra: è solo il 4% più massiccia, il 20% più luminosa e con un diametro del 10% maggiore. Per di più, Kepler 452b le gira intorno per un tempo molto simile all’anno terrestre, cioè 385 giorni, e a una distanza praticamente uguale a quella che separa noi dal Sole, cioè 150 milioni di chilometri.
Certo, alla descrizione di Kepler 452b mancano molti dettagli chiave. Tra cui quelli con cui favoleggiare sulla presenza di vita. Per esempio non ne sappiamo la massa, che è praticamente impossibile da calcolare da Terra per via della lontananza di lui e della sua stella da qui. E senza la massa non possiamo calcolarne la densità, che è necessaria per sapere se si tratti di un pianeta roccioso, come il nostro e come quelli che supponiamo possano ospitare acqua liquida e vita, o se sia invece gassoso. In più, sempre per via della distanza, non sappiamo (e non possiamo sapere) se abbia un’atmosfera come noi e quali elementi la compongano.
Però sappiamo che la stella di Kepler 452b ha sei miliardi di anni, quindi un miliardo e mezzo più della nostra: «Possiamo pensare a Kepler 452b come a un cugino della Terra più anziano di lei, che ci dà l’opportunità di capire e di riflettere su come sarà l’ambiente terrestre in futuro», ha commentato Jon Jenkins, che ha guidato il team autore della scoperta. «Mette soggezione il pensiero che questo pianeta ha passato sei miliardi di anni nella zona abitabile della sua stella: più a lungo della Terra. Significa la possibilità che ci sia vita, visto che tutte le condizioni necessarie perché succedesse ci sono».
Intanto, gli astronomi della Nasa completano e aggiornano il loro catalogo di esopianeti: Kepler 452b è il primo della lista di cinquecento nuovi candidati di cui si sia confermata la natura di pianeta, grazie alle osservazioni compiute a terra da tre osservatori. Ma tanti altri candidati sono ancora lì da studiare. L’obiettivo è trovare una Terra 2.0: un pianeta che sembri il nostro allo specchio e ci faccia sognare la presenza di altre vite che contano il tempo intorno ad altri soli. La stiamo cercando febbrilmente da più di vent’anni, dicono oggi dalla Nasa, e forse stavolta l’abbiamo trovata davvero.
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PIERGIORGIO ODIFREDDI, LA REPUBBLICA –
Per una sorta di compensazione astronomica, l’annuncio della Nasa che ci sono più Terre ci rende meno soli. Il nuovo pianeta assomiglia infatti al nostro in maniera impressionante: ha più o meno le stesse dimensioni e la stessa età della Terra, gira attorno a una stella che ha più o meno le stesse dimensioni e la stessa luminosità del Sole, a una distanza orbitale e in un anno planetario che sono più o meno simili ai nostri.
Il nome di questo fratello gemello della Terra è Kepler 452b, e fa venire in mente non soltanto le leggi orbitali dell’omonimo astronomo, ma anche e soprattutto il suo
Sogno, che Borges considerava il primo romanzo di fantascienza. Notava infatti lo scrittore argentino che alle «libere e irresponsabili invenzioni» dei letterati a proposito dei viaggi cosmici, che andavano dalla Storia vera di Luciano di Samosata all’ Orlando furioso dell’Ariosto, lo scienziato tedesco aveva sostituito nel suo racconto la «preoccupazione per la verosimiglianza».
Se nel suo verosimile Sogno del 1609 Keplero descrisse come si sarebbe vista la Terra dalla Luna, nel Cosmotheoros del 1698 lo scienziato olandese Christiaan Huygens provò a immaginarsi come si sarebbero visti i vari pianeti dai loro satelliti. Ma ancor prima di loro il cardinal Nicola Cusano si era spinto ancora più in là, immaginando nella
Dotta ignoranza del 1449 che non ci fosse niente di particolare nel Sistema Solare, e che da ogni stella si sarebbero visti pianeti che giravano attorno ad essa, abitati da esseri di natura sconosciuta.
Ma la teologia aveva già escluso da tempo che potessero esistere esseri viventi altrove nell’universo, per una motivazione anticipata da Agostino nella Città di Dio e ricordata dallo stesso Borges nella Storia dell’eternità : se Dio avesse dovuto redimere tutte queste umanità, suo Figlio sarebbe diventato un «saltimbanco della croce». Professare le idee di Cusano poteva dunque costar caro, come dimostrò nel 1600 il rogo di Campo de’ Fiori sul quale morì Giordano Bruno, il suo più noto e sfortunato seguace.
Oggi però le fantasie visionarie di Cusano e Bruno sono diventate teorie scientifiche, almeno per quanto riguarda il fatto che il Sole è una stella come le altre, e che molte stelle posseggono sistemi stellari analoghi al Sistema Solare. E la fantasia scientifica si è spinta a immaginare che possano essercene di talmente simili al nostro, da costituire ambienti favorevoli per la nascita di una vita simile a quella terrestre, con tutte le conseguenze del caso. E poiché tra queste conseguenze del caso ci siamo pure noi, la domanda è diventata: ci sono pianeti simili alla Terra sui quali abitano esseri simili agli uomini?
La scoperta di Kepler 452b è solo un tassello del puzzle, sintetizzato nel 1961 in una famosa formula dall’astronomo Frank Drake. Una formula che divenne popolare grazie alla divulgazione astronomica di Carl Sagan, fondatore del progetto Seti per la ricerca della vita extraterrestre, e autore del romanzo da cui è stato tratto il film Contact con Jodie Foster.
La formula di Drake vuole calcolare qual è la probabilità che nella Via Lattea ci sia vita simile alla nostra. E lo fa stimando a cascata quante stelle ci sono nella galassia, quante di esse possiedono pianeti, quante di essi possono ospitare la vita, e su quante si sono evoluti esseri intelligenti. Il risultato del calcolo è condensato nel titolo del libro di Amir Aczel Probabilità uno : cioè, abbiamo quasi la certezza che da qualche parte della Via Lattea ci siano esseri come noi, e Kepler 452b è per ora il miglior candidato che sia stato trovato.
Naturalmente il calcolo di Drake è solo approssimato, ma il primo termine è noto abbastanza precisamente. Le stelle nella galassia sono infatti circa cento miliardi: un numero magico, che da un lato è anche il numero dei neuroni nel nostro sistema nervoso, e dall’altro è il numero degli uomini vissuti finora, dall’inizio dell’umanità.
Questa strana coincidenza numerica fece riformulare l’argomento di Drake ad Arthur Clarke in questo modo, nella prefazione di 2001 Odissea nello spazio : «Per ogni uomo che abbia mai vissuto, una stella splende nel nostro universo. Ognuna di quelle stelle è un Sole, spesso più brillante e glorioso del nostro. Molti di questi Soli alieni hanno pianeti che orbitano attorno a loro. Così quasi certamente ci sono abbastanza Terre nel cielo affinché ogni membro della specie umana, giù giù fino al primo uomo-scimmia, abbia un suo paradiso (o inferno) privato di misura planetaria».
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GIOVANNI CAPRARA, CORRIERE DELLA SERA –
La Terra ha un «cugino più grande», distante 1400 anni luce, nascosto nel buio della nostra galassia Via Lattea nella costellazione del Cigno. Lo ha scoperto il satellite Kepler della Nasa mettendo insieme un identikit (anche con l’aiuto di telescopi terrestri) che ha fatto sognare e immaginare scenari che per il momento non è possibile confermare. La tecnologia non lo consente.
Il nuovo pianeta extrasolare battezzato «Kepler 452b» è una super-Terra: rispetto al nostro pianeta è più grande del 60 per cento. L’aspetto importante è che si trova nella famosa «zona abitabile», cioè né troppo vicino né troppo lontano dalla stella madre, consentendo all’acqua liquida (se ci fosse) di scorrere in superficie. E finora l’acqua è ritenuta il primo ingrediente per cercare la vita. Di questo genere di pianeti extrasolari ne sono stati individuati una dozzina. Ma il Kepler-452b ha un elemento in più che sorprende: è la distanza quasi uguale (solo il 5 per cento in più) di quella che separa la nostra Terra dal Sole, pari a 150 milioni di chilometri. Anche l’orbita è quasi identica, così come la lunghezza dell’anno: 385 giorni terrestri.
Pure la stella-madre, vecchia di sei miliardi di anni, ha strette somiglianze con il nostro Sole: è più grande solo del 10 per cento, la sua superficie rivela la stessa temperatura ma è più brillante. Insomma, ci sono tanti elementi che lo avvicinano sempre di più al «gemello» della Terra che tutti sognano di trovare. Purtroppo la ricerca è difficile perché finora non esiste un telescopio sulla Terra o nello spazio in grado di fotografarlo. Bisognerà aspettare una decina d’anni, forse. Ora ci si limita a cogliere la presenza di questi pianeti misurando l’attenuazione della luce della stella quando le passano davanti.
Ma proprio la vicinanza quasi uguale alla nostra rispetto al Sole ha fatto scorrere pensieri e ipotesi interessanti. «Possiamo immaginare l’evoluzione del suo ambiente — sottolinea Jon Jenkins che guida le analisi dei dati all’Ames Research Center della Nasa, a Moffett Field, in California —. Possiamo considerare che se ha trascorso sei miliardi di anni nella giusta posizione rispetto all’astro si siano create anche le opportunità perché la vita si sia sviluppata. Ci sembra che possano esserci tutti gli ingredienti e le condizioni perché la vita su Kepler-452b esista».
Per celebrare i vent’anni dalla scoperta del primo pianeta extrasolare non c’era modo migliore. L’occasione l’ha offerta la presentazione del settimo catalogo di questi corpi celesti identificati dal satellite Kepler. Questo telescopio cosmico ha permesso di compiere un balzo notevole sul fronte della ricerca: dei 5540 finora scoperti da osservatori terrestri o spaziali, ben 4695 sono frutto dei suoi scandagli. Intanto la Nasa sta progettando Wfirst, il successore che dovrebbe riuscire pure nell’impresa di fotografarli, e l’Esa europea ha già in cantiere Plato, sarà lanciato solo nel 2024. La corsa al gemello cosmico è sempre più accesa, insieme alla speranza che nell’Universo non siamo soli. E tanti pianeti scoperti aumentano di giorno in giorno le probabilità.
Giovanni Caprara
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MATTEO PERSIVALE, CORRIERE DELLA SERA –
Nel 1874, nel pieno dell’età vittoriana, un medico scozzese con l’hobby della letteratura pubblicò gli Annali del Ventinovesimo Secolo : raccontavano la colonizzazione del nostro sistema solare. Il dottor Andrew Blair pensava all’Impero Britannico ma finì per inventare un genere fantascientifico — quello basato sui viaggi spaziali e il trasloco di noi umani su altri pianeti — destinato a una popolarità enorme attraverso questi tre secoli.
La letteratura, il cinema, i fumetti: la ricerca di un pianeta se non proprio gemello della Terra almeno abitabile è così presente nella nostra immaginazione perché rappresenta non più una nuova frontiera da conquistare ma una via di fuga da un pianeta, il nostro, sempre più a rischio.
Il Novecento è appena iniziato e nel 1901 HG Wells pubblica I primi uomini sulla Luna , l’anno dopo Georges Méliès usa il neonato cinema per raccontare il Viaggio nella Luna basato sul libro di Jules Verne ( Dalla Terra alla Luna ). Ma bisogna aspettare gli anni 50 del Novecento per capire che la popolarità di questo genere fantascientifico ha radici poco allegre: la Guerra Fredda che trascina con sé la paura di una guerra nucleare. Timore che si può leggere in filigrana nelle pagine delle Cronache Marziane di Ray Bradbury (nel 2004 spiegò al Corriere della Sera che «Marte è il futuro. È un antidoto alla guerra... Qualcun altro ha scoperto il Paese dove viviamo noi americani, il minimo che possiamo fare è scoprire un’altra terra incognita»).
Mentre infuriava il Maggio 1968 a Parigi nel mondo usciva Il pianeta delle scimmie (tratto dal romanzo di Pierre Boulle), Charlton Heston che arriva su un pianeta lontano così simile alla Terra ma popolato da scimmie parlanti con l’ homo sapiens ridotto in schiavitù (con sorpresa finale). Negli anni 70 il Giappone regala agli appassionati l’anime Danguard con la sua ricerca di Prometeo, decimo pianeta del sistema solare sul quale noi terrestri potremo salvarci.
Nel 1986 Star Trek IV: Rotta verso la Terra costringe l’equipaggio della mitica Enterprise a tornare indietro nel tempo, e sulla nostra Terra, per rintracciare la balene ormai estinte (la Terra, prima della catastrofe ecologica, come vera terra promessa). Ed è storia recentissima del cinema — in un mondo che riflette sui temi ambientali — Interstellar di Christopher Nolan con Matthew McConaughey viaggiatore nello spazio (e nel tempo, come un cowboy dei buchi neri) per trovare un pianeta sul quale farci emigrare da una Terra ormai esausta. Ed Elysium , con Matt Damon che tenta di violare una sorta di Arcadia tecnologia (per soli ricchi) costruita nell’orbita terrestre, dover poter vivere al sicuro dalla catastrofe ecologica, come esseri umani.
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GABRIELE BECCARIA, LA STAMPA –
C’è un’altra Terra, là fuori, nella Via Lattea. Il nostro pianeta ha un cugino. E come succede con tutti i parenti stretti ha le sue particolarità, ma ci assomiglia molto. La notizia è - senza esagerazioni - storica.
L’annuncio è arrivato ieri dalla Nasa, a Washington, e l’enfasi era quella delle grandi occasioni. La metafora del cugino l’ha tirata fuori il manager-astronomo John Grunsfeld, spiegando che la scoperta è davvero straordinaria. Se è vero che sono già 4600 i pianeti scovati al di fuori del nostro Sistema Solare e che sono almeno una decina quelli che possono candidarsi a «simil-Terre», l’oggetto appena individuato è quanto di più prossimo si possa immaginare al sasso di roccia e acqua (e vita brulicante) sul quale noi Sapiens abitiamo da 200 mila anni.
C’è un’altra Terra nell’Universo, una Terra 2.0. Ruota anche lei intorno a un sole, è più grande dell’originale - all’incirca il 60% - ed è probabilmente fatta di roccia. Potrebbe perfino ospitare la vita o averla ospitata durante i 6 miliardi di anni della storia di quel sistema orbitante (la Terra «vera» è più giovane e, all’incirca, ha «solo» 4 miliardi di anni). Il che significa che, se domani potessimo esplorarla come si sta facendo con le sonde e i rover a sei ruote che ronzano intorno e su Marte, potremmo vedere un luogo straordinario, capace di toccare le corde profonde delle nostre emozioni. Forse con panorami non così alieni rispetto a quelli a cui siamo abituati. Forse, anche là, ci sono montagne e valli, fiumi e mari. Forse una zuppa di microbi o perfino qualcosa di più sofisticato.
A questo punto si può correre il rischio di precipitare in scenari da rozza fantascienza, eppure - dice Grunsfeld - «la scoperta è più che eccitante». Il pianeta - battezzato assai poco romanticamente Kepler 452b - si trova nella magica «zona abitabile», un’area non troppo vicina e non troppo lontana dalla sua stella (proprio come noi rispetto al Sole) e, quindi, ideale per garantire un clima più o meno «temperato». Né bollente, né gelido. Adatto, prima di tutto, per consentire all’acqua di non evaporare o non ghiacciare e quindi di restare liquida, assumendo le piacevoli forme che conosciamo. Dalla pioggia agli oceani.
Certo, Kepler 452b ha i suoi difetti. È un peccato, per esempio, che sia tanto lontano. È stato individuato a una distanza difficile da concepire per un profano. È a 1400 anni luce da noi - spiegano gli astronomi - ricordandoci che ogni anno luce equivale alla distanza che un oggetto percorrerebbe se viaggiasse alla velocità della luce (pari a 300 mila km al secondo): il che significa poco meno di 10 milioni di milioni di km. Per arrivare al nostro cuginetto spaziale si deve moltiplicare il tutto per 1400. Un viaggio più che epico. Al momento inimmaginabile.
Ma le analisi del telescopio spaziale «Kepler» (che l’ha appena scovato) e le elaborazioni sulla Terra svelano molte caratteristiche. «Questo pianeta ha trascorso 6 miliardi di anni nella “zona abitabile”: è un’opportunità significativa per consentire alla vita di manifestarsi, a patto che ci siano tutti gli altri ingredienti necessari», ha dichiarato Jon Jenkins, analista della Nasa. Aggiungendo che Kepler 452b «ci offrirà l’opportunità di capire meglio la storia evolutiva della Terra».
Come dire che laggiù, nella Costellazione del Cigno, esiste un laboratorio naturale, in cui le stesse leggi che ci governano potrebbero aver realizzato qualche spettacolare esperimento. Geologico e biologico, in cui tanti elementi combinati - la gravità, l’atmosfera o il vulcanismo, tanto per citarne qualcuno - hanno innescato un processo «virtuoso». Cioè simile a quello che ha segnato la storia della Terra.
Kepler 452b, ieri, è entrato nella storia. E tuttavia molti alla Nasa pensano che altre sorprese ci aspettano, con Terre qua e là, disseminate nella galassia (e in miliardi di altre). La caccia al nostro clone è solo agli inizi.
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ANTONIO LO CAMPO, LA STAMPA –
Non li vede, ma li presume. Poi, finalmente, li scopre. E tutte le volte che riesce a monitorare un oggetto che transita davanti ad una stella invia il «segnale di scoperta» di un nuovo pianeta.
Il telescopio spaziale «Kepler» è un vero e proprio «detective del cosmo», in grado di scrutare attorno alle stelle della Via Lattea l’esistenza di altri pianeti, e quindi, di altri sistemi planetari come il nostro. Sono poi gli astronomi che, una volta analizzati i dati, danno conferma o meno della scoperta del nuovo pianeta, che in gergo si dice «extrasolare».
«Kepler» è una creatura della Nasa e fa parte di un programma non a caso chiamato «Discovery» (scoperta). Tra tutti i telescopi - sia a Terra sia nello spazio - è quello che ha scoperto più pianeti (oltre mille). Due anni fa il team della missione aveva individuato 2740 potenziali «candidati», di cui 135 con caratteristiche possibilmente simili alla Terra. Ma oggi quegli stessi stimano che solo nella nostra galassia, la Via Lattea, risiedano almeno 17 miliardi di pianeti simili alla Terra. E uno di questi - al momento il «numero 1» - è quello annunciato ieri sera dalla Nasa.
La missione di «Kepler», telescopio così battezzato in onore dell’astronomo tedesco Johannes Kepler, era iniziata il 7 marzo 2009, con il lancio da Cape Canaveral tramite un razzo Delta II. I tagli di bilancio ne avevano fatto rinviare il lancio di tre anni, ma alla fine «Kepler», superate queste difficoltà, è entrato in un’orbita particolare, detta eliocentrica e di «trascinamento terrestre»: il periodo di rivoluzione è di 372,5 giorni, più lungo di quello terrestre, e questo fa sì che, lentamente, il telescopio rimanga un po’ «indietro» rispetto alla Terra, garantendo una maggiore precisione di puntamento e di osservazione. Due anni fa la missione pareva compromessa, a causa di un guasto, ma in seguito si è riusciti, intervenendo da Terra, a recuperare un’operatività pari al 100%. È così iniziata «K2», la seconda vita di «Kepler».
Il lavoro svolto in quattro anni e la mole di dati raccolta sono stati tali che ci sono moltissime informazioni ancora da indagare a fondo. Una potenza che è merito di uno specchio primario di 1,4 metri di diametro. L’obiettivo della missione (coordinata dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena e sotto la supervisione scientifica del team dell’Harvard Smithsonian Center for Astrophisics) è quello di scandagliare stelle simili al nostro Sole e di scoprire se «ospitano» dei sistemi orbitanti.
Al momento osserva un’ampia porzione della nostra regione della Via Lattea, cercando di capire quante, tra miliardi stelle, posseggano dei pianeti: lo fa utilizzando un «fotometro» che monitora costantemente la luminosità di oltre 145 mila soli. Il suo campo d’osservazione punta, in particolare, le costellazioni del Cigno, della Lira e del Drago. I dati vengono poi trasmessi a Terra, dove sono analizzati. Scattano misurazioni super-sofisticate, che devono individuare indizi decisivi. Quali? Prima di tutto le periodiche diminuzioni di luminosità delle stelle causate dai pianeti extrasolari che transitano di fronte a loro. Sembra facile.
Ma sarebbe come provare a fotografare una lucciola a 1000 km di distanza.
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GIOVANNI BIGNAMI, LA STAMPA –
Non ha ancora un vero nome, ma gli siamo già affezionati. Potrebbe esser il gemello della Terra, un pianeta così simile al nostro che ci potrebbe abitare ET, il simpatico alieno che, in fondo, ci assomigliava moltissimo.
Lo ha appena annunciato la Nasa, dopo aver scoperto l’oggetto tra i dati della missione «Kepler», fatta apposta per dare la caccia ai pianeti. Poi è stata guardata con il telescopio spaziale «Hubble» anche la sua stella madre, la numero 452. Per ora, quindi, il pianeta si chiama «452b», secondo l’arida tradizione astronomica. Ma sembra proprio quello che cercavamo da anni.
Intanto, è roccioso, probabilmente, ed ha una massa solo una volta e mezzo quella della Terra. Poi è alla distanza giusta da una stella giusta. Gira cioè in 380 giorni intorno ad una stella che ha sei miliardi di anni (noi facciamo un giro in 365 intorno ad un sole di cinque). Fin qui ci siamo: parliamo di una stella che è una signora di mezza età, proprio come il nostro Sole, senza grilli per la testa. E infatti «B» riceve una quantità di energia molto simile a noi: solo il 10% di più. Con il caldo di questi giorni, ci sembra già di essere lì.
Il pianeta «B» è quindi nella cosiddetta «fascia di abitabilità», la zona intorno alla stella dove, per esempio, l’acqua potrebbe essere liquida, se c’è. Ma è probabile che almeno un po’ ce ne sia: dopo tutto, l’acqua è la molecola più abbondante dell’Universo, dopo quella dell’idrogeno. A questo punto, abbiamo già un bel po’ di ingredienti interessanti per dire di aver trovato, finalmente, una nuova Terra, un pianeta se non gemello, almeno cugino. E pazienza se ha una massa un po’ più grande di noi: la gravità è maggiore, d’accordo, ma vuol semplicemente dire che, se ET abitasse lì, avrebbe sviluppato un fisico bestiale, come se noi andassimo sempre in giro con 40 chili in spalla.
Per di più, sembra che il pianeta sia «vivo» lui stesso, cioè abbia attività vulcanica, che genera ricambio di materiale in superficie, come da noi: se non ci fossero i vulcani (e i terremoti…), non ci sarebbe vita sulla Terra. E allora, vuol dire che su «B» c’è vita ? Assolutamente troppo presto per dirlo. Non sappiamo ancora niente della sua atmosfera, se ne ha una. Sulla Terra, quando era appena nata, l’atmosfera era molto diversa da quella attuale: per esempio non aveva ossigeno. Che poi è arrivato quando è cominciata la vita, ed è un gas che esiste oggi in forma libera nell’atmosfera proprio grazie alla vita in superficie, cioè alle piante. Ma esistono anche forme di vita semplice che ce la fanno senza ossigeno, come in fondo abbiamo cominciato anche noi sulla Terra.
Purtroppo, «B» dista 1400 anni luce. Distanza ridicola su scala universale, ma per noi infinita, sia per comunicazione sia per trasporto. Che rabbia. Fosse intorno ad una stella 100 volte più vicina (e potrebbe benissimo esserlo), adesso saremmo lì a studiarne in dettaglio l’atmosfera, magari per scoprirvi l’ossigeno, la firma della vita…
Calma: la caccia ai pianeti nuovi è cominciata meno di 20 anni fa, e gli astronomi costruiscono strumenti sempre migliori. Manca poco.
Presidente Inaf
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LEOPOLDO BENACCHIO, IL SOLE 24 ORE –
Trovata un’altra Terra? Difficile da dire al momento, ma certo che il pianeta trovato da Nasa con il suo satellite Kepler a soli 1400 anni luce da noi, vicinissimo quindi, è un buon candidato: ruota attorno a una stella molto simile al nostro Sole, anche se più vecchia di un miliardo di anni, in 385 giorni, contro i nostri 365, ed è solo il 60% più grande del nostro Pianeta, quindi comparabile anche se lì peseremmo molto di più.
Ma quello che intriga maggiormente nella scoperta di K 452b, questo il nome provvisorio del pianeta appena scoperto, è che starebbe nella parte abitabile del suo sistema solare, così come facciamo noi, e questo è raro e importante.
La situazione è in realtà semplice: per essere abitabile si pensa oggi che un pianeta debba essere sufficientemente distante dalla sua stella madre per non essere letteralmente bruciato, come nel caso del nostro Mercurio vicinissimo al Sole, e al tempo stesso non deve essere troppo lontano, dato che anche le temperature troppo basse impediscono la vita. Ci deve in sostanza essere la possibilità per l’acqua di rimanere liquida.
Le condizioni per la presenza di vita sono moltissime, ma quelle sulle dimensioni, simili a quelle terrestri che garantiscono ad esempio la presenza di una atmosfera stabile, e sulla distanza dalla stella madre, per via della giusta temperatura per gli oceani, sono preliminari ad ogni altra considerazione, e in questo caso pare che ci siamo.
Il fatto che il nuovo pianeta riceva dal suo Sole il 10% in più di quanto riceva la Terra da suo non pare un problema, viste le maggiori dimensioni.
L’annuncio è stato dato in conferenza stampa da Nasaieri alle 18 ora italiana, assieme alla notizia che sono stati trovati altri 500 possibili pianeti attorno ad altre stelle, anche se questi ultimi non sono comparabili alla nostra Terra.
In tutto questo spietato cacciatore di “altri mondi”, Kepler di Nasa, ha nel suo carniere la bella cifra di 4175 pianeti scoperti, ovviamente da confermare con osservazioni accurate e prolungate dal suolo. Da specificare che il satellite non vede direttamente i pianeti attorno ad altre stelle, ma li individua notando delle mini eclissi quando il pianeta ruotando attorno alla sua stella madre, si pone sulla linea di vista fra noi e la stella in questione. Quindi chissà quanti non ne vediamo dato che mica tutti passano fra ni e la stella che gli compete.
Comunque nelle 150.000 stelle che Kepler sta osservando costantemente dal 2006 i pianeti abbondano come abbiamo visto e molti altri se ne troveranno. Certo i più piccoli, come la nostra Terra, sono molto difficili da vedere perché l’effetto che provocano è minimo, ma in questo caso siamo stati fortunati. Quanto al numero, sembrano tante le stelle esaminate, e sono un numero enorme per noi, ma pensiamo che nella sola nostra Galassia, la Via Lattea, di stelle ce ne sono almeno 100 miliardi.
Finora di possibili candidati a essere la nuova Terra ce ne erano una dozzina, ma K 451b li batte tutti e sale in cima alla lista.
Gli scienziati non possono dire altro, sia ben chiaro, né se su quel mondo ci sia acqua o vita o atmosfera, ma certamente a questo punto si scateneranno le osservazioni di moltissimi scienziati con altri strumenti per capire di che si tratta, se il sogno di un mondo gemello può essere rappresentato dalla nuova scoperta. A presto, si spera, la conferma.
Leopoldo Benacchio
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VALENTINA ARCOVIO, IL MESSAGGERO –
È un pianeta molto simile alla Terra, che orbita attorno a una stella simile al nostro Sole, separati dalla stessa distanza che c’è tra il nostro pianeta e il Sole. E’ questo quel «qualcosa che le persone hanno sognato per migliaia di anni», come aveva preannunciato nei giorni scorsi la Nasa e come ieri ha poi spiegato in una conferenza stampa. Ora questa ”altra Terra” ha un nome, Kepler-452b e non è escluso che possa ospitare qualche forma di vita, A rendere possibile la scoperta sono state le analisi dei dati della missione Keplero, il telescopio spaziale lanciato nel 2009. Fra tutti quelli individuati dal telescopio Kepler-452b è certamente il più promettente. Ha infatti quasi la stessa dimensione della Terra. Più precisamnete misura una volta e mezza il nostro globo. Si trova nella zona Goldilocks, in "un’area abitabile" di un sistema stellare, dove la vita è possibile perché compatibile con presenza di acqua. La stella attorno alla quale orbita somiglia a una "cugina" del nostro Sole, ma più vecchia di 1,5 miliardi di anni. E inoltre Kepler-452b orbita intorno alla sua stella a una distanza di circa 150 milioni di chilometri, la stessa che separa la Terra dal Sole. Il "cugino" della Terra ha un’età di 6 miliardi di anni e riceve il 10 per cento in più di energia dalla sua stella rispetto al nostro pianeta.
LA RICERCA
«Gli anni su Kepler-452b sono della stessa lunghezza di quelli sulla Terra - spiega Jon Jenkins, capo analista dei dati provenienti dal telescopio della Nasa - e ha trascorso miliardi di anni intorno alla zona “abitabile” della sua stella. Il che significa che potrebbe aver ospitato vita sulla sua superficie a un certo punto, o potrebbe ospitarla ora». Ma su questo non ci sono certezze. Non si sa infatti se il pianeta, scovato grazie agli effetti gravitazionali e di variazione della luminosità della loro stella, sia effettivamente roccioso. Ma la Nasa stima tuttavia le probabilità in poco più del 50 per cento. «La procedura di validazione dei dati Kepler sfortunatamente permette solo di verificare che l’oggetto non è un impostore (o falso positivo) e di determinarne con precisione il raggio», spiega Alessandro Sozzetti, ricercatore dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino. «Per comprendere esattamente quale sia la sua composizione, e finalmente stabilire se sia davvero un pianeta di tipo roccioso come la nostra Terra, è necessaria - continua - una misura della sua massa (che combinata con una misura del raggio dà accesso a una stima della densità dell’oggetto), che può avvenire solo indirettamente misurando le variazioni periodiche nel moto stellare indotte dal pianeta». Per Kepler-452b, l’ampiezza di tale moto è probabilmente dell’ordine di 10 cm/s, un ordine di grandezza inferiore allo stato dell’arte (1 m/s) oggi raggiunto con strumenti quali quello dell’INAF HARPS-N sul Telescopio Nazionale Galileo. «La misura effettiva della massa di Kepler-452b - aggiunge - è però un obiettivo non semplice da realizzare. Richiederà innovazioni tecnologiche per spingere la precisione delle misure ben oltre i limiti odierni». Secondo l’esperto, ci vorranno 5 o forse 10 anni per scoprirlo.
LE ASPETTATIVE
E non è detto che la risposta piaccia. «E’ possibile che vi siano forme di vita microscopiche ed elementari - precisa Sozzetti - e non quindi forme di vita avanzate come la nostra». Tuttavia, al momento siamo ancora nell’ordine delle ipotesi. Ma i risultati raggiunti in questi ultimi 20 anni fanno ben sperare per il futuro. La missione Keplero ha infatti prodotto risultati straordinari. Ad oggi, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Agenzia spaziale statunitense, i possibili esopianeti localizzati sono oltre 4.400. Tra i 500 nuovi candidati aggiunti nel corso dell’esame degli ultimi dati del telescopio spaziale ve ne sono 12 di diametro inferiore al doppio di quello terrestre e che si trovano nella zona abitabile dei rispettivi sistemi: di questi ultimi Kepler 452b è il primo confermato come pianeta.
«Ulteriori vantaggi - sottolinea Sozzetti - potranno venire nel decennio futuro dalla possibilità di individuare pianeti transitanti come Kepler-452b ma attorno a stelle più brillanti e più vicine al nostro Sole rispetto a quelle osservate da Kepler, che verrà fornita dalla missione PLATO di ESA, il cui lancio è previsto nel 2024».
Valentina Arcovio
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ANGELA VITALIANO, IL FATTO QUOTIDIANO –
Chissà cosa avrà pensato Donald Trump, il candidato repubblicano in corsa per le primarie, per le elezioni presidenziali americane del 2016, all’annuncio fatto ieri dalla Nasa, secondo cui, il telescopio spaziale Keplero avrebbe individuato “un cugino della Terra, un po’ piu grande e un po’ più vecchio”. Per un “palazzinaro” come lui, nemico degli immigrati latino americani, si saranno aperte le porte di un futuro radioso: grossi centri abitativi, con il suo nome ben visibile, edificati per pochi centesimi da messicani spediti sul nuovo pianeta.
Se i pensieri di Trump, tuttavia, lasciano (si spera) il tempo che trovano, è invece assolutamente elettrizzante la notizia di questa “zona abitabile molto simile alla nostra” che è stata immediatamente ribattezzata Keplero-452b.
Al momento non è chiaro se sul pianeta – che si trova a 1.400 anni luce da noi – ci siano formazioni rocciose simile alle nostre o acqua o aria respirabile: fatto sta che si tratta del “gemello” più somigliante localizzato finora e quello che fa affermare, con una certa soddisfazione, che “la Terra, oggi, è meno sola”. Keplero-452b, che i ricercatori stanno già indicando con l’appellativo “Terra 2.0”, potrebbe, tuttavia, ospitare forme viventi dal momento che si muove nell’orbita di un proprio sole (anch’esso, cugino anziano del nostro) all’interno dell’area abitabile di un sistema stellare.
Le condizioni riscontrate dai ricercatori confermerebbero, dunque, che Terra 2.0 potrebbe avere un clima né troppo freddo né troppo caldo e, dunque, favorire la presenza di acqua e di forme di vita. Il pianeta individuato dalla Nasa, compie l’orbita intorno al suo sole in 385 giorni, dunque solo 20 giorni in più di quanti ne impiega la terra, che ha un diametro leggermente inferiore, ha un’età di 6 miliardi di anni e una luminosità superiore del 20% a quella della nostra Terra.
“Questo è davvero il primo passo – ha detto John Jenkins del Seti Institute, durante la conferenza stampa della Nasa – per poter rispondere alla domanda ‘siamo soli nell’universo?’. Voi ed io non viaggeremo verso questi pianeti, ma i figli dei figli dei nostri figli probabilmente lo faranno”.
Jenkins ha aggiunto anche che “quasi sicuramente il pianeta ha un’atmosfera” sebbene non sia ancora possibile chiarirne la composizione. “Se le supposizioni degli scienziati sono corrette – ha spiegato – essa dovrebbe essere più spessa di quella terrestre”.
Terra 2.0, tuttavia, non è il primo pianeta “cugino” individuato durante la missione Keplero: il piu simile finora era stato considerato Keplero-186f che, però, riceve dal suo sole solo un terzo dell’energia rispetto a quella che riceve la Terra. Ricordiamo che la missione Keplero, lanciata nel 2009, con un investimento di 600 milioni di dollari, ha proprio come obiettivo quello di realizzare un’indagine lungo la via Lattea alla ricerca di pianeti abitabili.
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UMBERTO FOLENA, AVVENIRE
E adesso sveglia, alziamo gli occhi al cielo. Siamo autorizzati a sognare, a cominciare da chi sognava già. A puntare il dito verso l’alto e a spiccare un grande salto. Affascinanti mondi remoti, pianeti simili al nostro e forse, chissà, abitati da vita intelligente, come e più di noi… Stiamo esagerando? No. Ci sono momenti in cui non solo è lecito ma perfino obbligatorio abbandonarsi all’entusiasmo. Per anni l’esistenza di pianeti, e pianeti simili alla Terra, era stata un’ipotesi praticata dagli appassionati di fantascienza e snobbata da tutti gli altri. Una galassia disseminata di pianeti abitabili era materia per scrittori come Isaac Asimov, che non si accontentavano della Terra come palcoscenico e sentivano il bisogno di spaziare per l’intera Via Lattea. Oppure, ancora più in là, «in una galassia lontana lontana» George Lucas schierava imperiali e ribelli, principesse e pirati spaziali per le sue guerre stellari, portando la fiaba più lontano che si può. Però c’è lui, il grande Albert. Einstein avverte che la velocità della luce non si può superare, tarpando i nostri sogni di viaggi avanti e indietro tra i pianeti, veloci come tra Roma e Milano sul Frecciarossa o, esagerando, tra Catania e Palermo? Nessun problema, basta inventare il motore a curvatura per permettere all’Enterprise di Star Trek di pattugliare allegramente i confini dello spazio conosciuto, con una disinvoltura maggiore di chi cerca di orientarsi tra le rotonde di Rho. Se lo spazio non si spezza, noi lo pieghiamo: facile. Dan Simmons, nella saga di Hyperion, lascia l’arduo compito di scovare il modo di attraversare in un batter di ciglio gli abissi siderali alle intelligenze artificiali, che ne sanno molto più di noi (con il rischio che decidano di fare a meno di noi). Stargate aveva fatto la stessa cosa. Apri una porta e non ti ritrovi in un soggiorno, ma tra i boschi turchesi del pianeta nebbioso Aldebaran III; oppure compri il biglietto, apri un’altra porta e ti ritrovi in tribuna per il derby di Rigel IV, tra gli octopodi di Tau Ceti, con un ottimo portiere ma pasticcioni dei dribbling, e i vermiformi di Andromeda, non velocissimi ma con grande senso tattico: entusiasmante!
Kepler 452b, tieniti pronto che stiamo arrivando. Perché no? Appena un secolo fa, che sono un sospiro al cospetto della storia della Terra, ci alzavamo di pochi metri a bordo di biplani di legno e tela. Cinquant’anni dopo sbarcavamo sulla Luna. Oggi andiamo a fare il solletico a Plutone. D’accordo, a volte noi entusiasti pecchiamo di ottimismo, come Kubrik che faceva volare un’astronave su Giove nel 2001… geniale ma poco preveggente, perché nel suo film i computer sono enormi e non ci sono telefonini. I suoi consulenti, alla fine degli anni Sessanta, avevano sbagliato tutto. Come possiamo sapere come saremo e dove arriveremo tra cinquant’anni? Kepler 452b, manca poco. Trasgrediremo la legge della relatività, piegheremo lo spazio come un foglio di carta e saremo lì. Sempre che nel frattempo non siamo i kepleriani ad arrivare da noi. Come noi stiamo andando a cercare i nostri simili frugando nello spazio, non è da escludere che nello spazio altri stiano facendo la stessa identica cosa. E abbiano i loro romanzi e film di fantascienza, i loro scienziati visionari, gli scettici che scuotono il capo e dicono che è stupido investire energie in simili sciocchezze e tutto il resto. Loro scoprendo noi, e noi scoprendo loro, dovremmo essere indotti ad alzare lo sguardo, ma in tutti i sensi. Ricominciare a darci grandi mete come umanità intera. Abbandonare le nostre meschinerie da cortile. Dare un calcio agli sciocchi provincialismi e unire energie e slanci perché il nostro destino è lassù. Niente e nessuno è mai riuscito a tenerci fermi e non saranno il nostro pianeta, né le nostre mediocrità, a farlo.
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GIORGIO DELL’ARTI, LA GAZZETTA DELLO SPORT –
La Nasa fa sapere che, a 1400 anni luce di distanza da noi, c’è un pianeta molto simile alla Terra, detto poco poeticamente Kepler 452b, forse capace di ospitare la vita e comunque collocato in «un’area abitabile di un sistema stellare», area detta Goldilocks, dove cioè non fa né troppo caldo né troppo freddo.
1 Mi dia un’idea dell’espressione «1400 anni luce di distanza».
In astronomia si adopera l’unità di misura «anno-luce» proprio per non dover riempire di zeri i quaderni degli appunti o gli schermi dei computer. L’anno luce sarebbe lo spazio che la luce percorre in un anno. La luce viaggia alla velocità di 300 mila chilometri al secondo, in un anno ci sono 31 milioni e mezzo di secondi, quindi in un anno la luce copre una distanza di 9.500 miliardi di chilometri. Questo numero va ancora moltiplicato per 1400, se vogliamo planare su Kepler 452b. Esce fuori un numero superiore a 13 miliardi di miliardi di chilometri. Questo numero, che sembra enorme, segnala una distanza piuttosto piccola, per i nostri scopi. Fino a poco tempo fa l’esopianeta (ovvero un pianeta non appartenente al sistema solare) più vicino era Alpha Centauri, a 4,4 milioni di anni luce. Si calcolava che, utilizzando i normali razzi vettori in circolazione, lo si sarebbe potuto raggiungere in 135 mila anni e con i razzi a fusione nucleare, che vanno a un decimo della velocità della luce, in un secolo. Quindi, gli equipaggi avrebbero dovuto riprodursi in volo e l’atterraggio sarebbe stato garantito a persone di tre o quattro generazioni successive a quella dei partenti. E via fantasticando... Kepler 452b diminuisce il problema di tremila volte, cioè è quasi un pianeta a portata di mano.
2 Ma, supponendo di partire, troveremmo lì qualcuno ad aspettarci? Ci saranno piste su cui atterrare?
È presto per sapere se questo gemello della Terra ospita, ha ospitato o ospiterà la vita...
3 Vediamone le caratteristiche.
Kepler 452b ha quasi le stesse dimensioni della Terra (è grande una volta e mezza il nostro pianeta) e ruota intorno a una stella più vecchia del nostro Sole di un miliardo e mezzo di anni. Jen Jenkins, capo analista della Nasa, spiega: «Gli anni su Kepler 452b sono praticamente lunghi come gli anni terrestri, 385 giorni; il pianeta ha sei miliardi di anni (la Terra quattro e mezzo, ndr ) e riceve dal suo Sole una quantità di energia superiore del 10% a quella che riceviamo noi. Anche il sistema solare in cui è inserito il nostro gemello è compatibile con il nostro sistema, e i due Soli sono cugini. Quello del gemello è del 4% più grande e del 10% più luminoso. La distanza tra la Terra bis e il Sole bis è pressoché identica alla nostra: 150 milioni di chilometri».
4 E la vita?
Per la vita come noi la conosciamo ci vuole l’acqua liquida o allo stato di vapore (inutile se è ghiacciata). Ci vuole anche il metano e bisogna poi che il corpo celeste in questione non sia gassoso, come per esempio Giove. Decisiva sarà perciò la misura effettiva della massa. Alla Nasa dicono che c’è una probabilità di poco superiore al 50% che Kepler 452b sia roccioso. Per il resto bisogna aspettare le analisi chimiche e capire meglio come è fatto questo nuovo astro. In ogni caso, il suddetto Jen Jenkins sostiene che «ci sono buone opportunità che possano crescere forme di vita, se tutte le condizioni necessarie sono rispettate». Altra frase di quelli della Nasa: «È una cosa che le persone hanno sognato per migliaia di anni».
5 Come l’hanno scoperto?
Merito di Keplero, sonda-telescopio spedita nello spazio dalla Nasa il 7 marzo 2009 con lo scopo di perlustrare la Via Lattea e individuare gli esopianeti simili alla Terra. Kepler monitora la luminosità di 145 mila stelle e registra fluttuazioni, anche minime, dell’orbita o abbassamenti della luce provocati dal passaggio di qualche corpo opaco. Finora la sonda-telescopio ha localizzato 4400 esopianeti. Tra gli ultimi 500 scoperti, 12 hanno un diametro inferiore al doppio di quello terrestre, cioè cominciano ad avvicinarsi, per caratteristiche, alla Terra. Kepler 452b è il primo confermato come pianeta. Naturale domandarsi se esistano altri pianeti in qualche modo simili alla Terra. Le rispondo che da 51Pegasib, scoperto nell’ottobre del 1995, fino ad oggi ne sono stati classificati più di 800. E ce ne sono di davvero sorprendenti. Possono ruotare intorno a stelle celibi o bigame o poligame: Kepler 16 (AB), per esempio, orbita intorno a due Soli e ha quindi due albe e due tramonti. Talvolta sono così vicini alla loro stella da sopportare temperature altissime, anche di 2600° (è il caso di WASP-12b, un gigante gassoso 1,4 volte più massiccio di Giove). Altre volte hanno una rotazione sincrona con quella della loro stella, quindi una faccia risulta rovente e l’altra ghiacciata: su Corot-7b si passa di colpo da 2000° a -200° sotto zero. Però le prove che in regioni stellari o planetarie aliene esistano molecole organiche complesse ci sono. La vita altrove c’è di sicuro. Per stabilire in qualche modo un contatto bisogna solo aspettare.
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RICCARDO BRUNO, CORRIERE DELLA SERA 25/7 –
Professore, l’annuncio della Nasa sembrava un film hollywoodiano: la scoperta di un pianeta «cugino» della Terra, la distanza dal suo sole compatibile con la presenza di acqua, e di chissà cos’altro ancora. C’è stata troppa enfasi o è davvero una tappa storica nella ricerca scientifica?
«È normale che chi ha un buon risultato cerchi di venderlo al meglio. Ma è davvero impressionante il numero di coincidenze — le dimensioni del pianeta Kepler-452b, le caratteristiche della stella simile al nostro Sole — che aprono nell’immaginario una serie interrogativi. Per esempio, riusciremo mai viaggiare fino a raggiungere un corpo celeste che è a 1400 anni luce da noi, una distanza impressionante?». Roberto Cingolani, 53 anni, fisico della materia e direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, ogni giorno si occupa di nanotecnologie, dell’infintamente piccolo, ma è eccitato dagli scenari che si possono aprire nell’infinitamente grande. «Un secolo fa solo la teoria aveva previsto l’esistenza degli atomi. Dopo cento anni non solo li vediamo, ma li contiamo e li montiamo uno sull’altro. Il progresso fa passi inimmaginabili».
1400 anni luce restano comunque tanti. Si può pensare: e adesso, cosa cambia per noi?
«Intanto è giusto distinguere tra una distanza siderale e una pur ampia che però appartiene a uno spazio noto, dalle dimensioni definite, una sorta di palestra per chi studia il cosmo. E il prossimo traguardo credo che sarà quello di allontanarsi con le missioni il più possibile dal sistema solare in modo da poter fotografare Kepler -452b».
Il fascino, allo stato attuale più cinematografico che scientifico, sta nell’ipotesi di trovare altre forme di vita nell’Universo. Ci si è spinti troppo nella suggestione?.
«Appena sessant’anni fa una lettera, per viaggiare da un capo all’altro del mondo, impiegava settimane, adesso due persone si possono mettere in contatto con un cellulare in due decimi di secondo. Tra duecento anni, un arco temporale ridotto rispetto alla storia dell’uomo, forse considereremo quella distanza di 1400 anni luce in modo diverso».
Bisogna sempre credere nella scienza...
«La conoscenza deve andare più velocemente della tecnologia. Se una teoria è congegnata bene ed è accompagnata dalla giusta intuizione, prima o poi verrà dimostrata nella realtà».
Servono anche i finanziamenti.
«Ecco perché spesso si presentano in modo spettacolare i risultati ottenuti, soprattutto negli ultimi tempi. C’è competizione tra i diversi laboratori, e ognuno cerca di fare del meglio nel convincere gli stati e i governi a investire nei loro progetti. È indubbio che anche questa è una forma di mercato, con un prodotto da vendere».
Non si rischia di trasformare tutto in spettacolo?
«Per evitare questo la divulgazione deve essere una missione. È fondamentale far capire a tutti l’essenza delle ricerche, svelare i grandi principi che ci stanno dietro».
Qualcuno potrebbe obiettare: che senso ha investire grandi risorse per sapere che c’è una Terra 2.0 (definizione della nasa) ma una distanza tale che probabilmente non avremo risposte certe in un tempo ragionevole.
«Sarebbe un errore madornale non sostenere e finanziare anche la ricerca che può apparire inutile e dedicarsi solo a quello che può servire domani. È facile comprendere la necessità della ricerca in campo sanitario. Bisogna avere la stessa convinzione anche per gli altri campi».
Insomma, anche se il pianeta gemello per ora è poco più che una deduzione e tanto meno sappiamo se davvero può esserci vita, è giusto continuare a indagare e fantasticare?
«È questa la sfida della scienza».
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GIOVANNI CAPRARA, CORRIERE DELLA SERA 25/7 –
Il nostro pianeta «cugino» appena scoperto è il più interessante della magnifica dozzina di corpi celesti che assomigliano alla Terra e che potrebbero ospitare vita. Distante 1400 anni luce è però un mondo che i nostri occhi potranno scrutare soltanto attraverso i futuri strumenti. E così gli altri corpi remoti che scopriremo. Ma per noi resterà un sogno la prospettiva di visitarli perché la vita umana ha i tempi della Terra e non del cosmo. La loro ricerca, però, è importante perché dimostra come l’universo abbia un’identità diversa da come l’abbiamo immagina-ta fino a vent’anni fa. Secondo la Nasa nella nostra galassia sarebbero miliardi i pianeti extrasolari e poi ci sono altre galassie e altri miliardi di candidati possibili. Cercare questi pianeti non è inutile: signi-fica inseguire la conferma di un’idea rivoluzionaria; e cioè che la vita non è patrimonio esclusivo del nostro mondo. E in un certo modo si potrebbe dire che sia il completamento del pensiero di Copernico che tolse la Terra dal centro dei pianeti del sistema solare. Quando si scopri-ranno altre forme di vita nello spazio anche la vita sulla Terra sarà una delle tante, come la fantascienza ha suggerito più volte. E la rivoluzione sarà ancora più grande di quella copernicana. Costringerà l’uomo a compiere un altro passo nella sua evoluzione culturale, accettando il diverso cosmico.
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GIANLUCA GROSSI, IL GIORNALE 25/7 –
Ma che cosa significa davvero la scoperta di Kepler 452b, la Terra-bis scovata dagli scienziati della Nasa? Ecco dieci domande da uomo della strada e dieci risposte compilate grazie alla collaborazione di Isabella Pagano, ricercatrice di astrofisica dell’Osservatorio di Catania e coordinatrice nazionale per l’Italia del progetto Plato dell’Esa.
1. Davvero Kepler 452b è un’altra Terra?
È un paragone forzato, ma rende bene l’idea. La certezza è che il telescopio Kepler ha «fotografato» un pianeta caratterizzato da dimensioni molto simili a quelle terrestri. Per poter parlare di una Terra bis è però necessario conoscere la massa del corpo e poi risalire alla sua consistenza, che può essere rocciosa o gassosa. In questo momento non esistono ancora i mezzi per farlo, per via dell’eccessiva distanza.
2. Cosa distingue Kepler 452b da tutti gli altri pianeti scoperti finora?
Orbita intorno a una stella molto simile al sole e la distanza che lo separa da essa è uguale a quella che ci distanzia dalla nostra. È dunque situato in quella che viene chiamata habitable zone, una zona abitabile, ma non necessariamente abitata. Anche Venere e Marte risiedono in una zona simile ma, per quelle che sono attualmente le nostre conoscenze, non presentano tracce di vita.
3. Quali sono le possibilità che sul pianeta appena scoperto ci sia vita?
La vita è più probabile lì che in altre parti del cosmo, ma non si hanno certezze. Ci sono aspetti che possono indurre all’ottimismo. Il fatto che l’irraggiamento e il calore possano essere simili a quelli terrestri, sono prove a conforto della vita. E in sei miliardi di anni avrebbe avuto tutto il tempo per svilupparsi.
4. Come potremmo immaginarci gli abitanti di Kepler 452b?
Forse sono simili a noi. Se avessimo numeri relativi alla massa e alla gravità potremmo azzardare di più. Così è difficile entrare nei dettagli, anche usando l’immaginazione. Magari hanno dieci occhi o venti gambe. Potrebbe anche essere un mondo abitato esclusivamente da microrganismi o specie che non riusciamo nemmeno a ipotizzare.
5. È immaginabile che nell’universo esista una civiltà superiore alla nostra?
Le statistiche dicono di sì. Solo nella nostra galassia ci sono cento miliardi di stelle e moltissime come il sole. Se consideriamo che praticamente ogni stella ha dei pianeti, le probabilità sono elevatissime. Esiste un calcolo probabilistico che stima la possibilità di 600mila civiltà tecnologiche.
6. Cosa significa 1.440 anni luce di distanza?
Significa che la luce ha lasciato Kepler 452b 1.440 anni fa. Quando da noi stava finendo l’epopea dell’impero romano. Se l’uomo volesse dunque raggiungere Kepler 452b impiegherebbe 1.440 anni viaggiando alla velocità della luce, cosa per ora impossibile, se non in qualche episodio di Star Trek.
7. Come si fa a capire che ha sei miliardi di anni?
Si utilizzano metodi diversi. Si studia per esempio la rotazione di una stella su se stessa. Una stella giovane ruota molto velocemente. È più lenta se è vecchia. Il sole ruota su se stesso in trenta giorni, e infatti è una stella a metà del suo cammino. Alcune giovani impiegano due o tre giorni. Si studiano anche le cosiddette righe del litio, un elemento strettamente connesso ad astri appena formati.
8. Come si svolge la ricerca di nuovi pianeti?
Ci sono vari sistemi. Il più usato analizza il percorso di un pianeta che transita davanti a una stella, determinando un indebolimento della luce dell’astro. Così si è fatto con il telescopio Kepler.
9. Che cosa dobbiamo aspettarci in termini di ricerca di nuovi pianeti?
In questo momento facciamo già molte più cose rispetto al passato. Siamo in grado di verificare la massa di alcuni pianeti, di studiarne la composizione atmosferica e addirittura di predire la colorazione del cielo. È accaduto, per esempio, con GJ3470, un altro esopianeta, molto più vicino di Kepler 452b, a soli 100 anni luce da noi.
10. Quanto c’è ancora da scoprire sull’universo?
In realtà sappiamo poco o niente di materia oscura, energia oscura, teoria delle stringhe, multiversi. L’uomo deve ancora comprendere i meccanismi di formazione dei sistemi planetari, cosa determini la loro evoluzione e le condizioni perché la vita possa svilupparsi.
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AMEDEO BALBI, 23 LUGLIO 2014 –
Abbiamo scoperto un pianeta come la Terra intorno a un’altra stella? Non proprio, ma abbiamo fatto un passo importante in quella direzione, ed è una cosa molto bella. Proprio perché è una cosa molto bella, forse è il caso di capirla meglio, senza trarre conclusioni premature.
Potremmo partire da qui: cosa rende la Terra la Terra? Intanto, il fatto di trovarsi a una distanza dal Sole tale da non essere né troppo calda né troppo fredda, cioè nella cosiddetta “zona abitabile”, un nome un po’ infelice, che in realtà per gli astrofisici implica solo la possibilità che l’acqua possa trovarsi allo stato liquido alla pressione della nostra atmosfera (ricordate quest’ultimo requisito perché è importante). Poi le sue dimensioni, la sua massa, un’atmosfera con una certa composizione e pressione, e tutta una serie di altri fattori secondari (un’orbita non troppo eccentrica, un asse di rotazione stabile, la presenza di un campo magnetico, ecc.) ma che hanno giocato un ruolo importante nel rendere l’ambiente terrestre quello che conosciamo. Cambiate uno dei fattori e altererete l’equilibrio.
Per fare un esempio: nel nostro sistema solare c’è un pianeta che ha la stessa massa e lo stesso raggio della Terra, e si trova a una distanza dal Sole che, in linea di principio, cade nella zona abitabile. Si tratta di Venere, un pianeta che, però, è un inferno inospitale, con temperature superficiali di molte centinaia di gradi e pressioni al suolo novanta volte maggiore di quelle terrestri. Tutta colpa di una densa atmosfera di gas serra. Ecco perché parlare solo di “zona abitabile” è una semplificazione.
Se si tiene presente tutto questo, è più facile capire che la ricerca di un pianeta con caratteristiche simili al nostro è un processo che dovrà avvenire per gradi, mettendo insieme diverse osservazioni. Nel caso del pianeta annunciato da Kepler, conosciamo il raggio (simile a quello terrestre) e sappiamo che si trova alla “giusta” distanza dalla stella (che è simile al Sole). Manca tutto il resto (per esempio non conosciamo ancora la massa) e non è poco.
Insomma, siamo all’inizio, alla prima scrematura. Stiamo mettendo insieme possibili candidati al ruolo di Terra 2, ma poi bisognerà capire quali di loro hanno davvero tutte le caratteristiche che cerchiamo, e ci vorrà ancora tempo. (E naturalmente, non dimentichiamo mai che “abitabile” non significa “abitato”).