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 2015  luglio 24 Venerdì calendario

Da Algeri a Città del Capo il rally nell’Africa dei nostri sogni Ripubblicato il resoconto di Egisto Corradi sulla “Mille miglia nera” del 1950 Il continente stava per liberarsi dal giogo coloniale e sembrava rinascere Giuseppe Culicchia C’è stato un tempo, nemmeno tanto lontano, in cui la nostra sorella Africa pareva una terra destinata inevitabilmente alla rinascita

Da Algeri a Città del Capo il rally nell’Africa dei nostri sogni Ripubblicato il resoconto di Egisto Corradi sulla “Mille miglia nera” del 1950 Il continente stava per liberarsi dal giogo coloniale e sembrava rinascere Giuseppe Culicchia C’è stato un tempo, nemmeno tanto lontano, in cui la nostra sorella Africa pareva una terra destinata inevitabilmente alla rinascita. La Seconda guerra mondiale era finita da pochi anni, e complici le conseguenze di quel conflitto sulle antiche potenze europee - non solo sulla Germania sconfitta, ma anche sulle vittoriose Inghilterra e Francia - il continente sembrava sul punto di liberarsi per sempre dal cosiddetto giogo coloniale. In Occidente si era alla vigilia del boom. E su entrambe le sponde del Mediterraneo si guardava al futuro con ottimismo, malgrado la Guerra fredda fosse già iniziata. Due pulmini Lancia Beta È in questo clima che il 29 dicembre 1950 prende il via la «Mille miglia nera», più di quindicimila chilometri tra Algeri e Città del Capo: una competizione a cui prendono parte trentacinque equipaggi di sette paesi. Tra quelli in gara, c’è il team italiano, deciso ad affrontare l’impresa a bordo di un paio di pulmini Lancia Beta. Su quello denominato «Croce del Sud», al volante c’è Emilio Christillin (che talvolta guida a piedi scalzi). La squadra è completata dal giornalista del Corriere della Sera Egisto Corradi, dall’altro pilota Ferdinando Gatta e da Gianni Lancia, Arnaldo Trevisani, Giovanni Canestrini, Luciano Palomba e Pier Francesco Mele. Quel rally, oggi va da sé irripetibile a causa dei mille conflitti che insanguinano il Continente africano, torna a emozionarci attraverso le parole di Egisto Corradi, di cui la casa editrice Corbaccio ripubblica a oltre sessant’anni dalla prima edizione Africa a cronometro (pp. 303, € 25), vera e propria epopea automobilistica oggi arricchita dai curatori Paolo Dal Chiele e Paolo Giusti con una serie di foto d’epoca e con un’Appendice capace di contestualizzare gli avvenimenti narrati. Dune e ricordi letterari C’è davvero tutto quello che deve esserci in un’avventura africana, in questo reportage che è insieme anche un diario di bordo e un catalogo degno di un film alla Wes Anderson. Algeri, la kasbah poi destinata a insorgere e a entrare nell’immaginario collettivo grazie a Gillo Pontecorvo, il Sahara con le sue dune e le sue oasi dove l’autore s’imbatte nella Legione straniera ormai orfana di Ernst Jünger, le sabbie mobili e… la neve. Già: la mattina del 3 gennaio 1951 l’equipaggio della Lancia si ritrova a mettersi in strada con quattro dita di neve sull’asfalto, e ci possiamo solo immaginare il sorriso di Emilio Christillin di fronte a quell’elemento a un tempo sorprendente e familiare. E poi vecchi beduini pieni di rughe e di storie, e incredibili pesci nel deserto arrivati dall’Atlantico attraverso falde sotterranee per essere preda di ufficiali francesi abili nella pesca all’amo. E ancora l’approssimarsi dell’Africa nera: e dunque la Nigeria, e il Congo Belga che a Conrad ispirò il suo Cuore di tenebra, e il Ruwenzori, e l’Equatore. E nel mezzo boscaglie in fiamme, fiumi da attraversare a bordo di traghetti, comunità costrette a vivere sottoterra per sfuggire al caldo, pigmei, concubine, ippopotami, gazzelle, e altre visioni degne di un redivivo Rimbaud: una Stresa del Congo, un Partenone ad Albertville, i leoni col loro odore. In dirittura d’arrivo la Rhodesia e il Sud Africa ancora saldamente in mano agli Afrikaans, e quella che all’epoca è la Nuova York d’Africa, ovvero Johannesburg. E infine, il traguardo. Nel mezzo, volti, voci, riti, usi, costumi, restituiti da Egisto Corradi con uno sguardo partecipe, pieno di umanità. E un’altra sorpresa, almeno per noi lettori d’oggi alle prese con una cronaca costretta a fare i conti con tutta un’altra storia, quella dei disperati che oggi lasciano l’Africa per sbarcare a Lampedusa: «Ceniamo con un gruppo d’Italiani», scrive il giornalista, «tra cui due signore giunte da pochi mesi dall’Italia, non appena venduto in fretta e furia ogni loro bene per timore d’una guerra. Non sono le prime persone, tra le tante incontrate nelle soste del nostro viaggio che, temendo una guerra, abbiano avuto l’idea di correre al riparo in Africa. […] Bisogna tenere conto che lasciare un continente per un altro, con corpo e beni, non è un affare semplice, sia per chi abbia beni di fortuna sia per chi ne sia sprovvisto». Rifugio per Europei Già: è appena scoppiata la guerra di Corea, e gli Europei che cercano rifugio in Africa sono così tanti che l’autore non può fare a meno di registrare una vera e propria «crisi d’alloggi. Se si fanno in conti, i centri africani di una certa importanza abitati stabilmente ed organicamente da bianchi, all’infuori di Tunisia, Algeria ed Egitto, si trova che saranno sì e no un centinaio; si fa presto a riempire i pochi alberghi di quei cento centri, le poche villette vuote, si fa presto a creare una crisi africana d’alloggi per i bianchi». A ogni modo: come scriveva Filippo Caracciolo, presidente dell’Aci, nella prefazione del 1952, «leggete questo libro e sentite spirarvi attorno l’aria libera dello sforzo avventuroso e dei grandi spazi attraenti». C’è stato un tempo, nemmeno tanto lontano, in cui la nostra sorella Africa ci permetteva di sognare, e di vivere i nostri sogni. E tra tanti commercianti d’armi più o meno illustri, e legionari stranieri più o meno letterati, e scrittori capaci di cavare capolavori dai loro safari ai piedi del Kilimangiaro, è quasi straniante leggere oggi questo bellissimo viaggio iniziato peraltro proprio sotto la neve in piazza San Carlo a Torino, nel dicembre 1950: la «Croce del Sud» è fotografata lì, pronta a partire per l’avventura africana. E nella sera innevata l’equipaggio ride: perché ciascuno in cuor suo sogna.