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 2015  luglio 23 Giovedì calendario

CORSIVI

Noi italiani, punto primo, siamo una massa di deficienti. Sappiamo da 30 anni di essere intercettati, eppure da 30 anni raccontiamo al telefono come ammazzeremmo la moglie che ha bruciato le polpette, o il capoufficio perché ha promosso un altro: quella poi scivola sulla cera, quello inciampa per le scale, e ti danno l’ergastolo. Punto due. Non c’è più la privacy, dice. È da mo’ che non c’è. Avete fatto un monumento di Antonio Di Pietro? Bene, le intercettazioni a tappeto (a tappeto: quelle mirate sono cosa diversa) da lì nascono. Da lì, e dalla smania antimafia fasulla per cui, se un poliziotto bazzica un mafioso che gli fa da spia, mafioso diventa il poliziotto. Quello tra intercettazioni penalmente rilevanti e penalmente irrilevanti, punto tre, è un distinguo che vale e non vale: nella giungla in cui siamo, la penalmente irrilevante ammazza l’avversario (vedi Rosario Crocetta) come l’altra. Brevi manu, sui giornali. E chi prima aveva protestato per l’intercettazione vergognosa che aveva incastrato l’amico, poi applaudirà quella altrettanto vergognosa che sega il nemico. È il punto quattro. Il punto quinto è il più semplice e riguarda soldi e carriere dei magistrati (trovatene uno, colpevole di aver passato alla stampa una notizia da non dare) e dei giornalisti. Perché non esiste direttore che si rifiuti di pubblicare spazzatura e che prenda a calci il cronista che gliel’ha portata. E perché appena qualcuno (l’ultimo è Matteo Renzi) accenna a regolare la situazione indecente, la stampa che ci marcia grida al bavaglio sull’informazione. E il magistrato, insieme a qualche Rodotà, applaude. Laddove, altro che bavaglio: un lenzuolo matrimoniale arrotolato ci vorrebbe.