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 2015  luglio 23 Giovedì calendario

IMBALSAMATE LE BORSE CINESI – 

C’è stato un momento durante il recente tracollo delle borse cinesi nel quale i listini locali sono stati di fatto quasi azzerati. La data è quella del 9 luglio, all’indomani del mercoledì nero vissuto da Shanghai e Shenzhen. Quel giorno soltanto 93 titoli erano aperti agli scambi su un totale di 2.879 società quotate sulle due piazze.
In termini percentuali si parla di appena il 3,2% trattato liberamente, senza sospensioni o restrizioni. È quanto emerge dai dati forniti da FactSet, in base all’analisi commissionata dal Wall Street Journal alla società indipendente Gottex Fund Management. Nel periodo più grave della crollo dei listini, il 51% delle società aveva chiesto volontariamente la sospensione dei propri titoli. Le ragioni delle sospensioni sono state le più disparate: si va da «operazioni di ristrutturazione» o «discussioni su appuntamenti rilevanti per l’azienda». Ma come spiega al Wsj un manager di una delle società che aveva scelto di fermare gli scambi, i moduli per fare richiesta di sospensione contengono almeno una decina di motivazioni precompilate tra le quali scegliere. Alla percentuale di aziende che per un motivo o per un altro si erano tirate fuori dal listino si aggiunge inoltre un altro 46% di società che era stato fermato per aver violato la regola sull’oscillazione.
In sintesi si è stabilito che un titolo non può crescere o diminuire durante la stessa sessione di borsa di oltre il 10%.
Questa la situazione a metà di due settimane fa. Passata la turbolenza, con i listini risaliti su preciso intervento del governo, il numero delle sospensioni volontarie è tornato più o meno alla pari con quello di metà giugno, quando il rialzo dell’azionario cinese aveva raggiunto il picco. Martedì 14 luglio, ossia al quarto giorno delle misure draconiane imposte dal governo, che comprendono tra le altre l’obbligo per chi detiene partecipazioni superiori al 5% di non cedere parte delle quote per sei mesi, i titoli volontariamente sospesi erano 547 in linea con i 474 del 12 giugno. È comunque probabile che la sospensione delle transazioni da parte di oltre mille società, motivata soprattutto dall’insoddisfacente attività del mercato agli inizi di luglio, «non incoraggi Msci a proseguire nell’intento di introdurre le azioni di classe A nei propri indici», hanno puntualizzato gli analisti di WisdomTree Europe, che da parte loro notano come non tutto l’azionariato cinese si trovi in condizioni di bolla. Una fiducia rimarcata anche da Chia-Liang Lian di Legg Mason: «Il nesso tra prezzo azionario e crescita dell’economia non è così forte e le autorità cinesi hanno messo in atto misure per stabilizzare il mercato, in risposta all’elevata volatilità», spiega l’analista. «Noi continuiamo a vedere la Cina come un’ancora difensiva nel mercato degli emergenti e ci piacciono i titoli delle imprese governative in settori strategici quali le banche statali, le utility e i gruppi petroliferi».
Dal canto suo il quotidiano finanziario statunitense ha messo in evidenza i maggiori problemi dati dall’evaporazione delle società dai listini rispetto alle oscillazioni al rialzo o al ribasso dei titoli. I fondi internazionali che investono in questi titoli hanno infatti l’obbligo di mantenere una certa liquidità giornaliera per operare.
«Bisogna riconoscere che sarà sempre difficile proteggersi da decisioni politiche inattese», ha sottolineato Michael Lai di Gam. «La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione di permettere a metà delle società quotate di sospendersi dagli scambi, trasformando in pratica il mercato delle azioni A-share in una piazza su cui non è possibile investire». E prosegue. «Piuttosto che vietare le vendite allo scoperto, avere un limite agli scambi giornalieri di più o meno 10% e permettere alle società di sospendere gli scambi, le autorità dovrebbero rimuovere tutti i vincoli artificiali, permettendo al mercato di assestarsi in maniera naturale».
Ciò comporterebbe inoltre di scoraggiare gli acquisti sul margine; obbligare le società che hanno sospeso gli scambi a tornare sul listino; avere una procedura di ipo più aperta e trasparente. L’obiettivo generale dovrebbe essere un minor intervento delle autorità regolamentari, anche perché, guardando al passato, è risaputo che questo tipo di comportamento è sempre destinato al fallimento. Ironia della sorte, questo implicherebbe anche permettere un maggior numero di ipo, creando un processo più trasparente per il mercato.
Rimarcato anche dalla decisione di chiudere le borse ai primi di settembre per celebrare la resa giapponese nella seconda guerra mondiale, l’obiettivo di Pechino è però al momento cercare di evitare scossoni e riportare Shanghai a 4.500 punti (ieri ha chiuso con +0,21% a 4.026 punti). «Con i mercati che sembrano stabilizzarsi, il numero di sospensioni dagli scambi si è dimezzato e i listini di Shanghai e Shenzhen dovrebbero scambiare normalmente entro fine luglio», spiegano Ahn Lu e Chris Kushlis di T. Rowe Price. «Il danno a più lungo termine per i mercati, però, è poco chiaro. La fiducia degli investitori stranieri nelle azioni A-share è stata chiaramente intaccata, poiché le implicazioni sono ovvie: ridotta capacità di capire i prezzi, liquidità inaffidabile, alto rischio politico».