Tino Oldani, ItaliaOggi 23/7/2015, 23 luglio 2015
CHIUDERE I CARROZZONI PER RIDURRE LE TASSE?
Dopo i gufi e i rosiconi, è la volta dei carrozzoni. Il premier Matteo Renzi li ha indicati come i nuovi nemici da combattere nel discorso con il quale ha annunciato di voler tagliare 45 miliardi di tasse: «Ci sono troppi carrozzoni inutili. Li chiuderemo, e troveremo così le risorse per ridurre le imposte». Non è la prima volta che il premier annuncia una sforbiciata degli enti inutili e costosi. Ma se questa volta vorrà fare sul serio, avrà tutto l’appoggio di chi, come Italia Oggi, si batte da sempre per tagliare la spesa pubblica improduttiva, come primo passo per un’effettiva riduzione della pressione fiscale.
Dove cominciare? Fonti di Palazzo Chigi hanno anticipato che Renzi punta molto sulla riduzione drastica delle municipalizzate (da 8 mila a mille), e sulla cancellazione delle attuali 36 mila stazioni appaltanti della pubblica amministrazione, che saranno ridotte a 35 in tutto. Misure sacrosante, suggerite dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, e previste dalla riforma burocratica, che in autunno dovrebbe ottenere il voto definitivo dal Senato. Bene, avanti così.
Le stesse fonti governative hanno fatto circolare anche l’ipotesi della chiusura dell’Agenzia nazionale per i giovani e dell’Ente nazionale per il microcredito. La prima si occupa del programma Erasmus 2014-2020 per gli scambi culturali dei giovani in Europa; il secondo è un piccolo ente presieduto da Mario Baccini, ex deputato Pdl, che si propone di «promuovere la conoscenza del microcredito per lo sradicamento della povertà». Visto che la povertà è in aumento, di questo ente si può fare senz’altro a meno: missione fallita. Quanto al programma Erasmus, sarà sufficiente aprire un ufficio dedicato all’interno del ministero dell’Istruzione, collegato ai provveditorati regionali.
Fin qui, però, siamo alle briciole. Ci vuole ben altro per raccogliere i miliardi (alcune decine) necessari per tagliare davvero le tasse. Un’operazione che non può prescindere da un’esemplare e sistematica liquidazione di quei carrozzoni pubblici che portano, pomposamente, il nome di Authority. In Italia ve ne sono ben 19, costano moltissimo, e nella maggior parte dei casi sono soltanto dei doppioni dei ministeri, con apparati spesso inefficienti. Qualche esempio?
Basta cliccare sul sito dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, per avere la prova provata della sua inutilità. Vi compare infatti, in bella vista sulla home page, l’editoriale del presidente Vincenzo Spadafora, che sotto il modesto occhiello «il mio pensiero» (fermo all’11 giugno 2015), afferma: «Non so prevedere come andrà a finire il dibattito politico sulla #buonascuola (e la conseguente legge)». Ex presidente delle Terme di Agnano, docente di scienza della comunicazione a Roma, nonché presidente dell’Unicef Italia, il dottor Spadafora ha probabilmente troppi impegni, e non deve essersi accorto che la #buonascuola è diventata legge. Di lui e dell’Autorità che presiede, infanti e giovani non sentiranno certo la mancanza.
Un altro carrozzone da tagliare senza esitazione è l’Autorità di garanzia sugli scioperi, che fa ridere solo a sentirne il nome. In teoria, dovrebbe garantire gli utenti dagli scioperi selvaggi nel settore pubblico. In realtà, abbaia alla luna, senza mordere. Ne sanno qualcosa i romani, che da oltre venti giorni sono vittime dello sciopero bianco dei macchinisti della metropolitana: numero ridotto delle corse, ritardi record, carrozze stracolme. Un disagio che non accenna a diminuire, visto che per lunedì 27 è stato annunciato uno sciopero dell’intero trasporto locale a Roma.
Non potendo farlo direttamente, il garante degli scioperi, Roberto Alesse, ha chiesto al prefetto Franco Gabrielli di precettare i dipendenti dell’Atac. In pratica, una grida manzoniana: la sanzione che il garante degli scioperi ha inflitto all’Atac di Roma per un caso analogo (27 aprile) è stata di appena diecimila euro. E poiché l’Atac è sull’orlo del crack, con oltre un miliardo di perdite negli ultimi cinque anni, l’ipotesi che la multa venga pagata è puramente teorica.
Più che gli utenti, in realtà, questa Autorità sembra garantire gli scioperanti. Sull’home page del suo sito, un riquadro è dedicato agli scioperi previsti nelle Poste. Ieri quelli in programma dal 21 al 27 luglio erano otto, di cui uno nazionale e gli altri regionali e provinciali (da Bolzano a Ragusa, passando per Veneto, Marche e Sardegna). In pratica scioperi bianchi, per l’astensione dallo straordinario e dalle prestazioni accessorie, che causano code agli sportelli e disagi per gli utenti, senza che il garante faccia una piega.
Non solo. Tutto ciò avviene mentre il vertice della società, guidato da Francesco Caio, annuncia con aria trionfante a Londra il prossimo collocamento in Borsa di Poste Spa, che si sta trasformando sempre più in una banca, mentre rinuncia a svolgere con la dovuta efficienza il servizio postale universale, di cui è monopolista. Tutto regolare? A pronunciarsi in merito dovrebbe essere un’altra Autorità, l’Agcom, competente sui servizi di poste, Rai tv e telecomunicazioni. Sulla carta, una potenza. In realtà, una bella addormentata, come altre Authority. Dovremo riparlarne.