Kirk Silsbee, GQ 22/7/2015, 22 luglio 2015
LA FINE DELL’EDEN
Nel 1938, l’autore de Il grande Gatsby si scrisse una cartolina: «Come va? È da un po’ che medito di venire a trovarti. Io sto al Garden of Allah. Tuo, Scott Fitzgerald». Giustificava i 400 dollari mensili di alloggio come “spesa di lavoro” ma, mentre Zelda marciva in casa di cura, affogava nei debiti e nell’alcol; una notte, ubriaco, si trascinò alla reception. Al portiere che cercava un medico, biascicò: «Niente dottore, mi porti dove io possa morire in pace!».
In quegli stessi bungalow, pochi anni prima, l’attrice Lili Damita, bisessuale dichiarata, aveva frequentato Errol Flynn. Una storia di libidine, violenza e alcol. Nel 1937, però, lui ebbe un torrido amorazzo con Lupe Vélez che trovò un nuovo uso della “polvere bianca”: girava voce che la “Sputafuoco Messicana” intingesse nella coca la punta del pene di Flynn per attenuarne la sensibilità e farlo durare più a lungo.
Inizio Novecento. All’8152 di Sunset Boulevard c’è la villa del magnate W.H. Hay, 40 stanze con pavimenti in teak, rivestimenti in palissandro e mogano. Nel 1918 la affitta ad Alla Nazimova, stella russa del muto; lei la chiama “Il Giardino di Alla”. La strapagata, cupa bellezza di Salomé e Sangue e arena, che aveva versato 50mila dollari per un affitto di 90 anni, commissiona una piscina a forma di Mar Nero, omaggio alla “sua” Yalta.
Benché sposata, Alla faceva parte di un gruppo di attrici lesbiche e bisessuali. A fine Anni 20, il crollo di Wall Street la costrinse a vendere la proprietà, che divenne un sontuoso hotel in stile moresco: The Garden of Allah. All’inaugurazione con Marlene Dietrich e Jack Dempsey, schiere di maggiordomi giapponesi servivano tè, punch e sandwich, mentre un quartetto d’archi suonava nell’atrio. Per i turisti, divenne una tappa obbligata. Dopo le ville di Mary Pickford e Greta Garbo, proseguivano sulla Strip finché la guida annunciava: «Alla vostra destra, il famoso Garden of Allah. Vi abitano più divi che in tutto il resto di Hollywood».
Far parte della lista degli ospiti indicava la celebrità di una star. Clara Bow, diva di Poisoned Paradise, ogni tanto si tuffava dal trampolino vestita da sera con in mano un Martini, o spingeva in acqua gli accompagnatori in smoking. Il tabloid Coast Reporter nel ’31 la accusò di esibizionismo, incesto, lesbismo, bestialità, tossicomania, alcolismo e malattie veneree. L’editore cercò di ricattarla ma fu arrestato e condannato a 8 anni di carcere. Il critico teatrale di New York Whitney Bolton scrisse: «Se una nota attrice, tutta nuda con il capo incoronato da una scimmia, andava ad aprire a un fattorino, nessuno faceva una piega. Tanto meno la signora. O la scimmia».
A madame Nazimova era stato concesso di alloggiare per sempre al Garden e lei riprese le sue serate con la Dietrich, la Garbo e altri sex symbol. Ma a Lucius Beebe del New York Herald Tribune, esperto di ingegneria ferroviaria assunto da Cecil B. DeMille come consulente per Union Pacific, interessava il servizio in camera: «Per salvare gente in agonia dopo una notte di fuoco, organizzavano un bar in un attimo».
Il Garden esercitava un gran fascino anche sugli scrittori della East Coast. Dorothy Parker, Scott Fitzgerald e Robert Benchley, umorista di Harvard Lampoon, The New Yorker e Vanity Fair, lavoravano di giorno agli studios e si godevano la notte all’hotel, dove, nonostante il proibizionismo, il liquore non mancava mai. Bastava dare venti dollari a un fattorino e quello volava a rifornirsi di superalcolici da una vecchia italiana. Quando dissero a Benchley che l’alcol era un veleno
ad azione lenta, sollevò la testa dal Martini e rispose: «Benissimo. Non ho fretta».
Nel ’33 si insediò l’attrice Tallulah Bankhead, sessualmente onnivora, fan della Nazimova, e le stravaganze a sfondo erotico aumentarono in misura esponenziale. Tra le sue conquiste pare ci fossero Barbara Stanwyck, Dolores Del Rio, Joan Crawford; e che Johnny Weissmuller, olimpionico di nuoto poi diventato Tarzan, ne avesse fatto, in piscina, «una Jane molto soddisfatta». Persino il giovane Gary Cooper fu visto sgattaiolare nudo, una notte, dal suo bungalow.
I fratelli Marx arrivarono nel 1929 per Animal Crackers. Visto che un vicino si era messo a suonare il pianoforte a mezzanotte, Harpo puntò la sveglia alle 5 del mattino ed eseguì tutto il Concerto per pianoforte n. 1 di Sergej Rachmaninov, finché l’altro non si mise a urlare... Il vicino era Rachmaninov.
Non fu un caso se Cole Porter, un habitué che lì portava gli amanti e scrisse Night and Day, proprio al Garden ha aggiunto il verso «I get no kick from cocaine...» al testo di I Get a Kick Out of You. Durante le riprese de Il gobbo di Notre Dame, infine, Charles Laughton usava la piscina nei panni di Quasimodo, ma faceva il morto per non rovinare il trucco.
In When the Music Stopped, l’agente musicale Bernie Woods ricorda che il direttore d’orchestra Tommy Dorsey, una mattina a colazione, chiese al rivale Kay Kyser chi avesse il pubblico più affezionato. «La discussione si surriscaldò, poi Dorsey disse: “Ora ti faccio vedere delle vere fan”. A un suo cenno, due bellissime ragazze nude uscirono dalla camera. Kyser restò a bocca aperta: avevano il pelo pubico rasato, una a forma di “T”, l’altra di “D”».
Nel salone, le prostitute stavano al banco, e intanto sulla pista da ballo gli avventori – tra cui Marilyn Monroe e Jayne Mansfield – si scatenavano (pare che lì Hugh Hefner abbia ideato la futura “Playboy Mansion”). Né poteva mancare un po’ di noir. A un certo punto arrivò Virginia “The Flamingo” Hill, l’amante del gangster Bugsy Siegel, (che verrà assassinato a casa sua). Si divideva tra Errol Flynn e malavitosi vari, si dice ricattando varie celebrità. Naturale quindi che Rudolph Maté vi abbia girato la scena clou di D.O.A., in cui Edmond O’Brien, disperato, insegue un avvelenatore nell’ombra del Garden of Allah; o che Nicholas Ray abbia usato uno dei bungalow come casa di Humphrey Bogart nel giallo Il diritto di uccidere. Ray aveva abitato al Garden quando il suo matrimonio con l’attrice Gloria Grahame – femme fatale di cui Bogey nel film è innamorato – stava affondando. Portò a termine le riprese, in una gravosa sovrapposizione di arte e vita vissuta.
Alla Nazimova, ormai dimenticata e in bolletta, morì nella sua stanza nel luglio del ’45. Il mese successivo a New York toccò a Benchley. Il Garden, perse la torbida vestale e il principale animatore, non fu più lo stesso.
Poi arrivarono nuove droghe. Il produttore discografico Kim Fowley era la “copertura” del padre: «Andava al Garden a fumare oppio mentre io, vestito da marinaretto, restavo fuori per avvertirlo se arrivava la polizia», ha raccontato. A metà Anni 50, l’attore Robert Blake si sistemò al Garden. «Feci amicizia con Bobby Driscoll e altri attori», ha raccontato. «Tutti usavamo droga, soprattutto marijuana». La cannabis era la passione di Robert Mitchum, assiduo di una casa detta “Reefer Resort”, il villaggio dello spinello; ma anche Louis Armstrong e Bing Crosby l’adoravano.
Poi, la fine. Nell’agosto 1959, Jack Larson era a cena a Santa Monica quando seppe che quella sera il “Giardino” avrebbe chiuso i battenti: i nuovi divi frequentavano il vicino Chateau Marmont che offriva più riservatezza. Si precipitò al Garden con Leslie Caron e centinaia di habitué. «L’attrice inglese Patricia Medina mi ha detto: “Dai l’addio al più meraviglioso bordello di Hollywood, Jack!”».
Nell’autunno del ’59, i cacciatori di souvenir hanno ripulito il posto da cima a fondo, poi sono arrivate le ruspe.