Riccardo Ruggeri, Italiaoggi 23/7/2015, 23 luglio 2015
Ho ricevuto due suggerimenti da due amici che mi vogliono bene: a) usare meno la locuzione “ceo-capitalism”; b) non eccedere con le critiche alla disruptive innovation
Ho ricevuto due suggerimenti da due amici che mi vogliono bene: a) usare meno la locuzione “ceo-capitalism”; b) non eccedere con le critiche alla disruptive innovation. Sul primo d’accordo, essendo mio il copyright, trovo corretto non autocitarmi, lo sostituirò con “capitalismo bastardo”, il secondo non posso, lo considero una delle minacce per il futuro: alcuni semplificano “Viva l’hi tech, morte ai Big Data”. Confesso di subire il fascino degli scrittori anglosassoni di economia, di business, di management, non tanto per ciò che dicono, ma per il modo con cui lo dicono. Ammiro la loro straordinaria capacità di scrittura, l’uso di metafore brillanti, l’invenzione di locuzioni linguisticamente affascinanti. Più sono banalità, più le dicono bene. Quando ero operaio a Mirafiori, non iscritto alla Fiom, mi innamorai della locuzione distruzione creativa, mi sembrava che Schumpeter avesse disegnato il modello proprio per un diciottenne come me, pieno di sogni, di voglia di fare. Lui era austriaco, da sabaudo lo sentivo “confinante”. Negli anni ’60 mi innamorai della sociologia, prima franco-tedesca, poi americana. Nel ’97 Clayton Christensen coniò la meravigliosa locuzione, pure onomatopeica, disruptive innovation, il termine via via assunse nuovi significati. Mi eccitai quando la piccola Microsoft sfidò e batté il gigante IBM, quando la piccola Apple sfidò e batté il gigante Microsoft, da allora non riuscii più a distinguere Davide da Golia. Da qualche tempo, un nuovo scenario: alcuni non vogliono più competere secondo le regole, del mercato, del capitalismo liberale, della Legge, ma adottarne di nuove, imporre, costi quel che costi, i loro prodotti/servizi sfidando lo Stato, la Legge, il Fisco. Ne ho già parlato, e non intendo certo tornare su casi orrendi tipo Uber. Ciò che mi preoccupa è il fascino malsano che esercita questo modello, modificando il concetto di business, introducendo strumenti di pressione inqualificabili, che con leggerezza chiamano lobbying. E qui mi taccio, ho piena fiducia nella Magistratura italiana: sia occhiuta con costoro. Bello e giusto essere affascinati dalla mentalità innovativa di questi giovani in felpa, dal loro sogno di voler progettare l’inimmaginabile (ragazzi, però dobbiamo dircelo, per ora come inventori non siete andati al di là di qualche “App”), il termine disruptive mi piace quando lo si declina in termini di concorrenza (leale) per prodotti/servizi, mi preoccupa quando cerca di entrare, con la violenza lobbistica, nel mondo delle regole del vivere civile, contro la legge. Ogni legge può essere cambiata, nel rispetto, appunto, della Legge. Mi sembra un’ovvietà, il business è come l’amore, tutto è ammesso, ma i pedofili li si butta in galera o li si castra. Mi è tornato alla mente un libro di qualche anno fa “Il secolo imprevedibile” di Joshua Ramo, direttore della Kissinger Associates, grande esperto di geopolitica, che conteneva una descrizione entusiastica di un capo di Hezbollah (nota organizzazione criminale), nel quale l’autore coglieva (eccitato) la stessa mentalità di disruptive innovation dei ragazzotti di Silicon Valley. Ne fui scioccato. Il libro era del 2010, quindi un Ramo ancora fermo allo scontro classico IBM-Microsoft-Apple, non poteva immaginare: a) nel business l’evoluzione verso il modello Uber; b) in geopolitica l’evoluzione dal modello Hezbollah verso il modello ISIS. Se Joshua Ramo si eccitava con la disruptive innovation di Hezbollah, non oso pensare gli orgasmi multipli che gli avrà provocato quella dell’ISIS. Che ISIS sia Davide non c’è dubbio, 30-40 mila uomini contro la Santa Alleanza da oltre un miliardo di uomini, guidata da Obama e Cameron. Che il suo modello di business sia innovativo e disruptive non ci piove. Che il Califfato abbia innovato in termini di marketing, formazione, comunicazione è un dato di fatto. Mio papà, nella sua infinita saggezza, diceva: essere troppo intelligenti può essere un dramma.