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 2015  luglio 20 Lunedì calendario

A SINISTRA NON CI SONO SOLO FESSI

Della rubrica Gewissensfrage, un problema di coscienza, ho già parlato, e anche sotto un altro aspetto di come si paga il conto al ristorante, ma la pagina del Doktor Doktor Rainer Erlinger, sul Magazin della Süddeutsche Zeitung, rimane per me una tentazione settimanale e una fonte preziosa per capire i tedeschi tra cui vivo.
Il doppio dottore (i titoli sono importanti da queste parti, purché autentici) per rispondere alle questioni dei suoi lettori, non rifugge dalle citazioni culturali. Venerdì scorso, Frau Hella da Kiel si chiede e chiede: al termine di un pranzo o di una cena, il cameriere chiede «Zusammen?», insieme. Può fare un conto totale oppure ogni cliente pretende il suo individuale? È normale a Berlino e altrove, e fa perdere un sacco di tempo. Ma il Kellner è allenato e paziente, ascolta quel che ha consumato ognuno e gli porge il conto personalizzato. Alla romana. Se si risponde insieme, continua Hella, dopo si divide in parti uguali, per quattro, o per sei, e così via. Ma è giusto se qualcuno ha bevuto o mangiato più di me?
Toccherebbe a chi ha esagerato proporre per primo di pagare in proporzione. Avviene di rado. A questo punto ci vuole del coraggio per dire all’amico: «Eh no, bello mio, tu hai pasteggiato a champagne e io ho bevuto acqua minerale». Parlo per me, perché i tedeschi questo coraggio lo possiedono, come ho constatato al ristorante, ascoltando le battute al tavolo vicino. Avviene di rado. Io ho osato solo una volta, e il conto non lo avrei pagato io ma il mio giornale. Mi trovavo al seguito di Pertini ad Algeri, uno dei luoghi più cari che abbia visitato.
Ero in un’osteria del porto, insieme con un collega, quando al tavolo vicino giunse la troupe della tv, sei o otto persone. Noi abbiamo ordinato acqua minerale, loro vino (pessimo, presumo, dall’odore). E alla fine conclusero con tre o quattro cognac a testa. Un cognac in Algeria costava (e costa, ritengo) quanto un pasto completo. Dopo l’ennesimo bicchierino, i televisivi proposero: «Paghiamo tutti insieme?». Penso proprio che non sia il caso, risposi. E notai il loro sguardo pieno di disprezzo. Tanto non avrei pagato io. Ma ci tenevo al mio record di una carriera da inviato speciale senza mai una rimostranza dell’amministratore.
Non ho avuto altrettanto coraggio quando un’amica del nostro gruppo, in viaggio per un altro paese arabo, si ostinava a ordinare champagne. Mia moglie è astemia, e spesso ordina un’insalata. Non ha bisogno di stare a dieta, ma in certi paesi non si fida di fritture e altri intrugli. Quelle sue foglie di lattuga ci costavano ogni sera quanto un’aragosta. Ma non sono avaro, e sono timido. Capisco Frau Hella.
Dr. Dr. Erlinger la prende alla lontana partendo da Totem e tabù di Sigmund Freud. Il professore viennese scrive che «mangiare e bere insieme nelle tribù arcaiche era un simbolo di comunità sociale e della accettazione di obblighi reciproci». Quindi il conto andrebbe diviso in parti uguali, senza calcolare filetto o pollo, perché vi è compresa amicizia e comunità che non possono essere spartite. Bene, anche se non mi sarei mai fidato di condividere una responsabilità sociale con la signora che amava le bollicine nel deserto.
In Germania, noto io e non il Doktor Doktor, c’è un altro particolare da ricordare: il conto, in certe circostanze, può essere dedotto dalle tasse, e nessuno osa accaparrarsi il conto collettivo per rifilarlo al Finanzamt. E capita che anche i coniugi, entrambi in attività, debbano presentare dichiarazioni separate. La questione se in pizzeria bisogna seguire il consiglio del professor Freud vale anche per la Grecia di questi giorni. Anch’io l’ho presa alla lontana. In Europa siamo seduti tutti allo stesso tavolo, qualcuno mangia di più, altri di meno, poi il conto arriva collettivo. E si divide in parti non eguali ma equivalenti (calcolando pil, abitanti e così via). Essere solidali o no?
«Perché dobbiamo pagare anche per i ricchi greci che non hanno alcuna coscienza sociale?», si è sdegnato il leader socialdemocratico Sigmar Gabriel. Essere di sinistra non vuol dire, a Berlino, essere fessi. Il cristianodemocratico Wolfgang Schäuble era per non accettare più a tavola il commensale greco. Frau Angela, figlia di un pastore protestante, è stata più generosa: chiudiamo un occhio, e che sia l’ultima. Il conto si divide, ma uno comunque non paga. In nome di Lutero o per non dispiacere al professor Freud?



PORTO RICO VUOLE DIVENTARE TEDESCA
di Simonetta Scarane

Il ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Schäuble, avrebbe fatto meglio e non parlare. Irritato per le lezioni americane in materia di salvataggio della Grecia, non ci ha pensato due volte quando si è rivolto al suo amico Jack Lew, segretario americano al tesoro, proponendogli di essere disposto a fare entrare Porto Rico nella zona euro, se gli Stati Uniti fossero stati pronti ad accettare la Grecia nel sistema del dollaro.
La piccola isola, libera, ma in territorio degli Stati Uniti dal 1898, senza fare parte dell’unione federale, è asfissiata da un debito pubblico di 72 miliardi di dollari (66,3 miliardi di euro) che non può rimborsare.
Washington mostra una certa sollecitudine ma non ipotizza un recupero annettendo Porto Rico negli Stati Uniti. Risultato: un pugno di portoricani hanno lanciato, sulla scia delle dichiarazioni ironiche di Schäuble, una petizione chiedendo che Porto Rico, ribattezzata la «Grecia dei Caraibi», diventi tedesca.
«Chiediamo a questa amministrazione di mettere fine al purgatorio politico dell’isola imponendo al Congresso di cedere la sovranità di Porto Rico e dei suoi cittadini alla Germania», recita la petizione che dovrà essere accompagnata da centomila firme per poter accedere all’esame della Casa Bianca. Il primo giorno ne aveva raccolte soltanto 350.
Se lo scopo di questa iniziativa è quello di far ridere piuttosto che ottenere un risultato, invece, al contrario il Movimento di riunificazione con la Spagna (Mre) sostiene di essere serio. I suoi rappresentanti hanno già avuto una riunione informale con il consolato spagnolo a Porto Rico. E contano di lanciare una petizione affinché gli abitanti si riprendano la cittadinanza spagnola perduta alla fine del XIX secolo.