Andrea Luchetta, La Gazzetta dello Sport 21/7/2015, 21 luglio 2015
I BRAVI RAGAZZI DEL BEITAR IMBARAZZANO IL GOVERNO
Non è stata una gara per gentiluomini, Charleroi-Beitar Gerusalemme (5-1). Giovedì sera, la curva belga ha accolto gli ospiti con uno sventolio di svastiche e bandiere palestinesi. Non che ci fosse bisogno di provocarli: i bravi ragazzi della Familia — gruppo ultrà del Beitar, il più violento di Israele — si sono presentati con un piccolo arsenale di fumogeni e bombe carta, per non fallire il ritorno sulla scena europea. Obiettivo centrato, come la testa del portiere avversario, solo uno dei tanti episodi in cui l’arbitro è stato costretto a interrompere la gara.
NERVO SCOPERTO Prima del ritorno di giovedì, si è mosso pure il primo ministro israeliano: Bibi Netanyahu — tifoso del Beitar, squadra storicamente legata al sionismo di destra — ha promesso un’inchiesta. Il presidente del club, Eli Tabib, ha annunciato di voler vendere il Beitar, troppo disgustato per continuare. Lacrime di coccodrillo, si può sospettare: da anni la Familia è santuario del nazionalismo più violento. Il Beitar è la sola squadra israeliana a non aver mai ingaggiato un giocatore arabo, e ha sede a Gerusalemme, dove il 40% della popolazione è palestinese: quando ha acquistato due ceceni, i tifosi hanno bruciato la sede del club e la storia si è chiusa là. Pochi giorni prima della trasferta belga, il governo ha convocato per la prima volta il club di fronte alla Commissione per le pari opportunità: il Beitar rischia così di trovarsi fra l’incudine dei tifosi e il martello del governo. Non è però scontato che il procedimento si concluda con una condanna del Beitar, perché la sua politica scopre un nervo delicatissimo per il futuro di Israele: come conciliare la sua natura democratica con la difesa dell’identità ebraica come elemento fondante dello Stato? Una piccola parte della risposta passa anche per il destino del Beitar.