Fabio Licari, La Gazzetta dello Sport 21/7/2015, 21 luglio 2015
«MIA CARA JUVE, PRENDI GÖTZE MILAN, OK IBRA NON ROMAGNOLI A CERTE CIFRE»
Trapattoni, squadra che vince si cambia: la Juve perde Pirlo, Tevez, Vidal. Come se lei avesse dato via d’un colpo Platini, Boniek e Tardelli…
«Un processo che ho già affrontato. Da tecnico non programmi sempre il futuro, hai giocatori che invecchiano o rischiano l’assuefazione, contratti onerosi. Un tempo era più difficile fare rivoluzioni, non c’era l’adattabilità tattica del calcio globalizzato. Cambiare per restare competitivi. E poi l’Avvocato mi diceva una cosa…».
Quale?
«”I giocatori passano, la Juve resta”, filosofia che nella famiglia Agnelli s’è tramandata dai nonni ai nipoti. E aggiungeva: “Caro Trap, noi non vogliamo vincere sempre, ma almeno un successo ogni due anni. Questo basta per farci felici”. Era saggio anche in questo».
Saggio giocare con tre attaccanti?
«Se Allegri trova gli equilibri, perché no? Io a volte ne schieravo quattro: Bettega, Rossi, Platini, Boniek e dietro tanta copertura, soprattutto sulle fasce, con Cabrini che segnava. Boniek tornava a coprire, poi ripartiva da seconda punta. Bettega, uno da 10/12 gol all’anno, una stagione ne ha fatti 5 ma spesso arretrava da stopper o libero. Si chiama equilibrio. Allegri non è stupido, sa come fare, deve stare attento agli equilibri tra reparti e ai rapporti personali: oggi dietro ai giocatori ci sono spesso gli agenti».
Uno dei tre è Dybala: anche trequartista?
«Entrambe le cose, gran giocatore, solo non dite che somiglia ad Aguero o Messi. Ognuno è se stesso. I tecnici più giovani commettono l’errore di dire “giocherò col 4-3-3, col 4-4-2…”, senza pensare ai loro giocatori: poi magari devono smentirsi. Il tecnico bravo è quello che fa ottimo vino con l’uva che ha, aggiustando le situazioni. Boniek mi faceva anche la mezzala per un’ora, poi doveva rifiatare: lo spostavo di punta e rinforzavo il centrocampo. E niente fretta: anche in Germania ci ho messo 6 mesi, poi siamo decollati».
Germania, appunto. Prenderebbe Götze?
«Sì, perché fa tutto, il 10 e l’attaccante esterno abituato a tagliare e andare in gol. Ma ricordiamo che non c’è campionato tatticamente difficile come quello italiano. Noi siamo strateghi per storia e mentalità: per questo Capello, Ancelotti, Mancini, Lippi, io siamo stati così richiesti all’estero. Vedo partite della Premier dove, sullo 0-0, i tecnici non toccano una virgola: accidenti, mi dico, perché? Niente, non sono abituati».
Allegri com’è?
«Un calmo saggio. Ha fatto esperienza e ora ha dimensione internazionale. Qualche merito l’avrò pure io se lui, Conte, Pioli, tutti miei ex giocatori, sono diventati bravi tecnici… Oh, mi raccomando, si sono fatti da soli, ma hanno appreso anche dal mio calcio».
Si aspettava Pioli allenatore?
«L’ho preso che era un ragazzino di 17 anni, mi piaceva, da centrale sapeva trasformarsi in laterale. Ha sofferto ma è cresciuto, lo sento anche da come parla, è concreto, fa giocar bene».
E Allegri? Sia sincero...
«L’ho avuto per pochi mesi al Cagliari, era un po’ stretto nei miei schemi, lui voleva giocare. Con Cellino l’abbiamo accontentato. Tecnicamente forte, tatticamente intelligente, era un po’, come dire, toscano… Sa, in Toscana c’è stato Dante, la cultura italiana e tutto il resto… Una terra di grandi allenatori con i quali ho spesso discusso, vedi Orrico: quanto abbiamo questionato su gioco offensivo e difensivo e puttanate così…».
Allegri riparte dalla Supercoppa. Da favorito?
«Certo. Inter e Milan stanno ricostruendo, Lazio, Roma e Napoli sono già forti, ma la Juve è in vantaggio, anche per l’ambiente: non ci sono le polemiche romane o di altre parti, tutto resta confinato e protetto nella cintura piemontese».
Conte sembra essersi un po’ intristito.
«Antonio deve abituarsi ad avere più elasticità critica. Quando vinci, tutto va bene e sei circondato da elogi. Quando va meno bene, però, ricevi attacchi anche ingiustificati: che colpa ne ha se può convocare 30 giocatori su 100?».
E se i leader sono ancora i «suoi» Buffon e Pirlo…
«La squadra puoi affidarla a Pirlo, un leader, e non a Marchisio che pure è un gran giocatore. Ci sono giovani, per esempio mi piace El Shaarawy, si inserisce bene. E dagli Under 21, a patto che li facciano giocare, avremo soddisfazioni: quel Berardi, per esempio, è un fenomeno. Ma ci vuole un regista che abbia in mano la Nazionale».
A proposito: alla Juve si prospetta un centrocampo Marchisio, Khedira, Pogba, senza regista. Come la prima Juve con Furino, Benetti e Tardelli.
«Adattabilità. Arrivato alla Juve c’era Capello reduce da un brutto infortunio, un ginocchio scassato, il martedì non si allenava… Fosse stato come prima, l’avrei tenuto. Invece decisi di cambiare, anche se lei non immagina quanto fu difficile strappare Benetti al Milan. Oggi Allegri ha un centrocampo di grande agonismo, senza l’uomo col passaggio da 40 metri, forse un po’ offensivo: le fasce daranno una mano».
Le strategia delle milanesi sembrano a volte discutibili. Il Milan, per esempio: Bacca, Luiz Adriano, Ibra nel mirino, ma la difesa sempre quella…
«Nel Milan ha sempre prevalso la filosofia berlusconiana dello spettacolo: forse è il momento di cambiare un po’. Certe difese se le può permettere soltanto il Barça: meglio pensare ogni tanto più al risultato, anche giocando meno bene. I successi fanno morale oltre che classifica: quanti musi lunghi ho dovuto tirar su al lunedì… Mihajlovic ha carattere, esperienza e personalità e non mi sembra insensibile a questi concetti. Non che Inzaghi non ne avesse, ma ha subito una situazione psicologica particolare. E non è sempre facile allenare i tuoi ex compagni».
Ibra sì o no? Non servirebbe più un difensore?
«Non temo minestre riscaldate o trentenni: ricordate Boninsegna nella mia Juve? Ibra è un fuoriclasse con tempi, testa, personalità, un carattere particolare, ma spetta all’allenatore lavorarci come ho fatto io con tanti, tipo Edmundo. Un difensore serve ma, se ti costa mezzo Milan, tipo Romagnoli, allora meglio di no. Meglio un parametro zero o una soluzione interna».
L’Inter invece ha rifatto la difesa e speso parecchio per Kondogbia: troppo?
«Bene che Mancini abbia trovato un presidente che vuole spendere, anche se pare gli abbia chiesto risultati immediati. Per Kondogbia il problema è stato anche uscire troppo allo scoperto: alla Juve, ma anche all’Inter di Pellegrini, non facevamo uscire nomi sui giornali, così abbiamo preso Brehme. Altrimenti la pressione del pubblico ti obbliga a spendere».
I nostri grandi tecnici sono senza panchina: Capello, Ancelotti, Lippi, Prandelli, Trap…
«Gli altri sono ancora giovani e in gamba, io ho scampoli di carriera. Il problema sono i presidenti e la pressione che ricevono da stampa e tifosi. Pur con la mano di Henry ho dovuto lasciare l’Irlanda… Ero via dalla Juve e un giorno l’Avvocato, con cui parlavo ancora spesso, mi disse: “Non vorrei cambiare questo tecnico, ma ho il dovere di farlo”».
Lei cosa farà da grande?
«Dipende dalle proposte. Ne avevo qualcuna da posti “pericolosetti”: ho preferito dire no, per la famiglia. La Nazionale ti darebbe più possibilità di programmare. Io comunque ci sono, ancora lucido, e studio i colleghi più giovani e il calcio di oggi. Sempre».