Filippo Santelli, la Repubblica - Affari & Fiananza 19/7/2015, 19 luglio 2015
LEGO, IL MATTONCINO DIVENTA ECOLOGICO
Per decenni le macchinine della Lego hanno fatto rifornimento da Shell. Su pompe di benzina e auto da corsa, nelle sue città in miniatura, campeggiava la conchiglia gialla della multinazionale del petrolio. Finché qualche mese fa gli attivisti di Greenpeace, contrari alle trivellazioni nell’Artico, hanno tirato in ballo anche il produttore di giocattoli: in un video diventato virale su Youtube un Polo Nord tutto cubetti e parallelepipedi viene sommerso da una marea di liquido nero. Stop alla partnership con Royal Dutch Shell, è stata la decisione di Lego. Troppo importante difendere la reputazione di azienda responsabile, specie ora che la rivoluzione verde sta per toccare gli atomi stessi del suo universo: i famosi mattoncini. Il polimero con cui sono prodotti, un derivato del petrolio, è il principale responsabile del carbon footprint, l’impronta ecologica di Lego. Così la società ha annunciato di volerlo sostituire entro il 2030 con una nuova plastica di origine vegetale. Nel quartier generale di Billund nascerà un Centro per i materiali sostenibili, dove verranno assunti un centinaio di scienziati. Un investimento da 1 miliardo di corone danesi, circa 134 mlioni di euro. Questione di sopravvivenza. I 60 miliardi di mattoncini che Lego ha prodotto
nel 2014 hanno bevuto 77mila tonnellate di petrolio. E le riserve di oro nero, si sa, non dureranno in eterno. Ma in un periodo in cui il prezzo del barile resta ai minimi e l’urgenza di trovare alternative è meno pressante, la scelta è soprattutto di immagine: «Vogliamo offrire esperienze di gioco creativo di alta qualità, senza compromettere l’ambiente e il futuro delle generazioni a venire», ha spiegato l’amministratore delegato Jørgen Vig Knudstorp, 46 anni. Prototipo del manager nordico, ex consulente McKinsey, Knudstorp è arrivato al vertice di Lego giovanissimo, nell’anno orribile 2004. A bilancio figurava un rosso vicino ai 240 milioni dollari e la società, fondata nel 1932 dal falegname Ole Kirk Christiansen, era a un passo dalla bancarotta. «Back to bricks», tornare ai mattoncini, è stata la sua formula magica. Chiudere i mille rivoli in cui gli affari si erano dispersi negli anni precedenti, dai vestiti ai parchi a tema, per tornare al nocciolo duro dei giocattoli. I risultati gli hanno dato ragione. Sotto la sua gestione il fatturato ha ricominciato a crescere. E negli ultimi anni, crisi o non crisi, si è impennato. Nel 2014 le vendite sono salite del 13%, a 4,21 miliardi di dollari, gli utili del 15%, sopra il miliardo. Merito di Lego Movie, il film d’animazione con gli omini gialli che ha sbancato i botteghini di tutto il mondo. Ma anche delle nuove linee pensate per le bambine, come Lego Friends, e dell’espansione in Estremo Oriente. Lo storico sorpasso su Mattel, ancora numero uno del settore ma in profonda crisi, è ormai a un passo. Segno che pure nell’epoca di console, smartphone e tablet, come ama ripetere Knudstorp, resta il desiderio di costruire qualcosa di materiale: «Anche se ai bambini piacciono i videogiochi di calcio, poi vogliono comunque tirare pedate a un pallone». Per mantenere tassi di crescita del genere però, in un mercato che a livello globale resta piatto, ci vogliono investimenti. L’anno chiuso a dicembre è stato per Lego il più dispendioso di sempre da questo punto di vista, quasi 500 milioni di dollari in conto capitale. La società ha allargato lo stabilimento in Repubblica Ceca e realizzato un nuovo complesso produttivo in Cina, che da qualche mese ha iniziato a stampare mattoncini per tutta l’Asia Orientale. Il mercato dove l’azienda cresce più veloce (+50% nella Repubblica Popolare sia nel 2013 che nel 2014) e che secondo gli analisti sarà presto il più ricco per i produttori globali di giochi. Collocare le linee il più vicino possibile ai consumatori finali, il cosiddetto nearshoring, dovrebbe aiutare a tenere i margini operativi vicini all’attuale, notevole, 25%. Più difficile conquistare ulteriore terreno sui mercati più ma-turi, Stati Uniti e Europa in particolare. Ed è qui che la responsabilità sociale di impresa acquista tutta la sua importanza. Non un orpello, come ancora viene vissuta da molte imprese multinazionali, ma un fattore decisivo per la reputazione del marchio, aspetto che vede Lego costantemente ai primi posti globali. Una reputazione capace di influire sulle scelte di acquisto delle famiglie: un recente sondaggio di Nielsen mostra che il 55% dei consumatori è disposto a pagare di più se i prodotti vengono da un’azienda che ha un impatto positivo sulla società. Basta vedere la rapidità con cui, nei mesi scorsi, Lego ha affrontato le polemiche sulla discriminazione di genere nei suoi personaggi. In poche settimane ha messo sul mercato le prime scatole con donne scienziato o astronauta, non solo casalinghe. Avviando, con l’aiuto di una società di consulenza, un processo di revisione delle politiche di risorse umane per capire perché su 21 manager dell’azienda solo due fossero di sesso femminile. Una cura maniacale dell’immagine che si sta vedendo anche nella campagna green. La partnership con Shell non era più coerente, per una società che dal 2020 sarà indipendente dal punto di vista energetico, grazie all’impianto eolico offshore in costruzione nel mare del Nord. E che già da tre anni ha siglato con il Wwf una partnership che la impegna a ridurre al minimo la propria impronta di carbonio entro il 2030. Sarà la grande missione del nuovo Centro per i materiali sostenibili, per nulla facile. Perché nessuna delle bioplastiche in circolazione, per caratteristiche fisiche e meccaniche, è paragonabile al polimero Abs che Lego usa al momento, lavorandolo con un livello di dettaglio dell’ordine del millesimo di millimetro. E perché la qualità dei mattoncini, tattile, visiva, perfino sonora (avete mai agitato una confezione di Lego?), è centrale nell’esperienza di chi compra i suoi kit. «Non sappiamo ancora su quali materiali puntare, ci piacerebbe fossero scarti non utilizzabili per altri scopi, per esempio gli steli del granturco», ha detto al Wall Street Journal Tim Guy Brooks, responsabile della Sostenibilità ambientale. «Ma l’obiettivo finale sarà non riuscire a distinguere i mattoncini nuovi da quelli vecchi». Se c’è qualcuno che può riuscirci, dicono gli analisti, è proprio la società danese con la sua filiera del tutto verticale: un solo prodotto, in pratica una sola materia prima. Quindi la possibilità di coinvolgere nella ricerca anche i propri fornitori. Back to bricks, l’ossessione di Lego è sempre quella, rendere i suoi mattoncini inimitabili. Farli ecologici potrebbe essere il prossimo passo. I mattoncini Lego, simbolo universale dei giochi per i più piccini, che stanno conoscendo una seconda giovinezza oltre ad una svolta ecologica: non sarenno più fabbricati con plastica derivante dal petrolio.