Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 19 Domenica calendario

OLTRE IL GIARDINO

Sembra di vederlo. Atermico, insensibile al caldo e al freddo, rinchiuso nel suo gelido aplomb, l’uomo del sud Europa che scala le montagne in solitaria, come ama fare. E’ la stessa immagine che Mario Draghi ha rimandato nel dramma Grexit che al momento, ma solo al momento, lo vede croupier al disastrato tavolo verde europeo.
Nel ritratto di algido economista ossessionato dai numeri non si riconosce affatto, tanto che in una rara digressione rispetto alla tradizionale discrezione sulla sua persona ci tenne a dire che anche gli economisti hanno un cuore, non sono tristi come diceva il filosofo scozzese Thomas Carlyle. Un’altra volta si avventurò ad usare l’espressione di fonte sindacale «macelleria sociale», definendola «un’espressione rozza ma efficace». A bassa voce, a chi una volta gli chiedeva quali sentimenti politici nutrisse, rispose che apprezzava le idee che oggi verrebbero definite di «socialismo liberale». Del resto, si laureò con Federico Caffè, economista particolarmente attento alle politiche sociali e ai ceti deboli, con una tesi sul piano Werner, precursore della moneta unica.
Ora la vicenda greca ha condotto Draghi, volente o nolente, a incarnare un ruolo che più politico non si può, costretto a fare il lavoro che l’intera governance europea non ha voluto o saputo fare. Con il rischio di porre una delicata questione di legittimità. Nell’alba tragica dell’Europa, come in molte delle fasi precedenti, ha dato l’impressione di essere l’ultimo politico rimasto nel continente, dotato di buonsenso e di qualità diplomatiche. Wolfgang Schaeuble, politico di lunghissimo corso, non si è sottratto alla stizza nei suoi confronti ringhiandogli di non prenderlo per uno stupido. Lui ha replicato gelido «Non faccio commenti sulle affermazioni di uomini politici». Ma Angela Merkel ha accettato il suo aiuto nello scegliere infine il pragmatismo e non l’ideologia. Francois Hollande e Matteo Renzi, nel ruolo dei tardivi mediatori sono risultati irrilevanti, solo pallide comparse.
I guai seri per l’italiano più potente al mondo (Forbes) vengono adesso, nel ruolo politico non voluto ma indossato per riempire il vuoto di leadership. E’ un’arma a doppio taglio. Non cesserà il fuoco nordico con le accuse sui cedimenti ai paesi più indebitati, si sezionerà ogni atto per verificare la perfetta coincidenza con le clausole dello statuto, si porrà una questione di legittimazione democratica, Draghi sarà giorno dopo giorno sotto il microscopio non benevolo di chi voleva buttare fuori Atene. Lui ne è perfettamente consapevole quando dice che la Bce è «il punto focale» di tutte le frustrazioni generate dalla crisi.
L’Eurotower è autonoma per legge, ma –disse Draghi ricordando il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, che della politica fu vittima incolpevole – «l’autonomia abbisogna di un retroterra culturale e morale che si chiama indipendenza di giudizio, rigore analitico e impegno civile».
La Bild ha scritto che il Quantitative easing di Draghi è «la più grande bomba monetaria di tutti i tempi». Un aperitivo per chi ha lo scopo di dimostrare che si possono espellere i paesi reprobi anche se il tentativo con la Grecia per ora è fallito, che l’euro non è irrevocabile per tutti, e probabilmente per chi vuole abbattere la Bce di Draghi, lo strumento più forte e fin qui più saggio per tenere insieme l’Unione europea nell’inettitudine e nella latitanza di leadership politica.