Leonardo Maugeri, la Repubblica - Affari & Fiananza 19/7/2015, 19 luglio 2015
EFFETTO IRAN SUI PREZZI DEL PETROLIO
Tra le tante domande in attesa di risposta suscitate dall’accordo sul nucleare iraniano ce n’è una che agita i sonni di produttori di petrolio e investitori: che impatto avrà sui prezzi del greggio il pieno ritorno di Teheran sul mercato mondiale del greggio? Occorre capire quali siano le reali potenziali produttive iraniane. Che sono enormi. Già nel 1979, l’Iran era arrivato a estrarre 6 milioni di barili al giorno di petrolio. Poi la rivoluzione islamica, la lunga guerra con l’Iraq, le ondate di sanzioni e l’isolamento internazionale fecero regredire il paese, affossandone la produzione fino ai circa 3 milioni di oggi.
Leonardo Maugeri segue dalla prima In tre decenni, gli iraniani hanno dovuto far miracoli per mantenere a livelli accettabili il funzionamento dei loro giacimenti maturi, essendo sprovvisti delle tecnologie più moderne, di fondi adeguati, delle conoscenze più avanzate su sviluppo e gestione delle riservei. Per questi motivi oggi l’Iran riesce a estrarre solo il 20% del petrolio intrappolato nei suoi giacimenti. È bene ricordare che un giacimento di petrolio (e di gas) non è un lago sotterraneo ma una formazione di roccia nelle cui porosità – invisibili a occhio nudo si nascondono petrolio e gas. Portare questi ultimi in superficie è frutto di tecnologia e di sapiente gestione del giacimento stesso: con il meglio di entrambe, l’Iran potrebbe produrre molto più greggio anche senza scoprire nuovi giacimenti.
Ma negli ultimi quindici anni Teheran ne ha scoperti di nuovi senza portarli in produzione. Da qui nasce l’enorme potenziale: il paese potrebbe produrre 3,6 milioni di barili entro sei mesi, superare i 4 entro un anno e raggiungere i 5,5 in cinque anni. C’è chi sostiene che le sanzioni non verranno rimosse subito, per cui occorrerà più tempo per veder rifiorire il petrolio iraniano, ma in effetti per quanto l’edificio delle sanzioni abbia più piani e alcuni siano destinati a essere smantellati in fasi successive, quelli che impediscono al paese di raggiungere il suo potenziale di breve-medio termine sono di fatto già vanificati. L’Iran potrà aumentare la produzione dei giacimenti maturi ed esportarla intanto verso Paesi asiatici che già oggi sono esentati dal divieto di acquistare greggio iraniano. Peraltro, l’accordo sul nucleare consente al paese di riappropriarsi di 100 miliardi di dollari congelati all’estero, che consentiranno a Teheran di aumentare la produzione. Nel più lungo termine, la rimozione delle sanzioni più critiche e l’apporto di competenze, investimenti e tecnologie delle compagnie petrolifere internazionali consentirà lo sviluppo di nuovi giacimenti. Da mesi Teheran negozia più o meno segretamente accordi su singoli giacimenti con molte società europee, russe e asiatiche: non solo compagnie petrolifere, ma anche società di servizi petroliferi che svolgono gran parte del lavoro per le stesse multinazionali dell’oro nero. Per rendere più allettante la prospettiva di investimento, il ministero del petrolio iraniano ha predisposto una nuova formula contrattuale ancora segreta, facendo però filtrare a più riprese che sarà più conveniente per le società straniere di quelle offerte da molti altri paesi del mondo. E’ probabile che Teheran non faccia regali, ma offra dei miglioramenti: le compagnie accorreranno. Le uniche che per un po’ di tempo dovranno stare a guardare saranno quelle statunitensi, che a causa di alcune sanzioni specifiche avranno ancora difficoltà a entrare nel paese, a meno che Obama non le esenti da quegli obblighi. Per questo sbaglia chi pensa che dietro l’accordo sul nucleare ci sia un interesse precipuo degli Stati Uniti a mettere le mani sul petrolio iraniano. Se tutto andrà come previsto, entro un anno cadranno anche gli ultimi piani dell’edificio delle sanzioni direttamente o indirettamente collegate al petrolio. Gli ostacoli al pieno rilancio dell’Iran sono legati alla capacità del Paese di eliminare gli intoppi agli investimenti internazionali eretti dalla sua burocrazia bizantina o dalla tendenza a negoziati interminabili, in particolare quando si tratta di ripagare le società per gli investimenti realizzati e i risultati ottenuti. Questi ostacoli complicherebbero non solo lo sviluppo di vecchi e nuovi giacimenti, ma anche la costruzione o la ristrutturazione delle infrastrutture necessarie ad accompagnare la crescita. Pur tra luci e ombre è però difficile che l’Iran manchi gli obiettivi a breve termine che sono alla sua portata. A metà del 2016 è molto probabile che un milione di barili di petrolio al giorno in più raggiunga i mercati internazionali. Non è una buona notizia per chi produce oro nero. In un mondo che ha una capacità produttiva di quasi 103 milioni di barili al giorno ma ne consuma soltanto 92, la rinascita iraniana rischia di essere un altro macigno pronto ad abbattersi sui prezzi del petrolio, mentre l’Arabia Saudita aumenta la produzione per mettere in difficoltà i produttori a più alto costo – Canada, Stati Uniti e Russia – e arginare gli spazi futuri dell’Iran stesso e dell’Iraq. Questa guerra non ha fermato la produzione di nessuno di quei paesi che hanno raggiunto record produttivi nei mesi scorsi. Gli investimenti per lo sviluppo di giacimenti continua senza posa in tutto il mondo, sull’onda di un’inerzia ineluttabile: si tratta di completare investimenti colossali avviati anni fa. Ma la domanda cresce meno delle attese: il peggio deve ancora venire per i prezzi del petrolio.