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 2015  luglio 21 Martedì calendario

SERIE A, GLI ESODATI DEL GOL

Forte rilancio negli investimenti uguale riduzione del personale. Una formula che rappresenta un nonsenso per qualsiasi azienda normale, ma non per il calcio italiano, che da tempo – o forse da sempre – azienda normale non è. Nell’estate dei milioni che ricominciano a piovere sul mercato italiano reduce da anni di siccità, ecco stamparsi a lettere sempre più grandi le parole sovrannumero, esubero, disoccupazione.
Il pallone sta sommando due addendi, uno normativo e uno prettamente economico, i risultati sono più di uno, ma quello che forse sarà il detonatore della crisi, delle polemiche e forse delle battaglie legali prossime venture sarà quello occupazionale. I due addendi non sono altro che l’entrata in vigore della recente norma federale sul contingentamento degli organici e la consueta morìa di club professionistici tra Serie B e Lega Pro, che conta già 10 vittime: il cadavere eccellente Parma e altri nove club che hanno fallito l’iscrizione alla terza divisione. Dieci squadre fuori dal football “pro” uguale 200 giocatori circa da ricollocare: ai quali si dovranno aggiungere, inediti e intempestivi, altri 70-80 prestigiosi colleghi, provenienti per direttissima dalla Serie A. Dove, appunto, le 20 partecipanti dovranno allestire una lista ufficiale di non più di 25 calciatori, 8 dei quali tra l’altro vincolati a uno status di formazione calcistica avvenuta all’interno del nostro territorio.
È una vera e propria bomba per sodalizi che, per eccessiva frenesia negli ingaggi e nella stipulazione di contratti di lunga durata, sono ormai arrivati ad avere rose pletoriche, abbondantemente sopra le 30 unità. Un “check” effettuato tramite il sito tedesco Transfermarkt, aggiornata e autorevole banca dati su calciatori e trasferimenti, assesta a 565 il numero degli elementi ufficialmente facenti parte degli organici delle prime squadre d’Italia: moltiplicando 20 società per 25 giocatori, capiamo che già ora lo spread tra ammissibili e candidati è a +65, e questo con ancora davanti oltre 40 giorni di possibili, anzi, sicuri arrivi dall’estero o da altre leghe nazionali. Dando uno scorcio al dettaglio, si nota come solo tre club, in questo momento, galleggino prima della boa dei fatidici 25 e sono le due neopromosse Bologna e Carpi (non casualmente, da due stagioni la Serie B ha adottato la politica dei tetti degli impiegabili e dei salari) e il solito, oculato Empoli. Il record di opulenza è a Udine, dove sono ancora in 33, ma almeno i Pozzo, alla malaparata, hanno gli sfiatatoi delle squadre che posseggono all’estero, lo spagnolo Granada e l’inglese Watford: molto più critica la situazione di Inter e Chievo, che contano ancora 32 unità, di Lazio e Atalanta (31), di Sampdoria e Palermo (30), di Milan e Roma (29). Tutte squadre che sono ancora notevolmente attive sul mercato in entrata, e sentono dunque squillare sempre più forte il segnale di allarme sulle cessioni.
O si riescono a piazzare i calciatori in eccedenza, oppure saranno guai sia dal punto di vista economico che, forse, da quello legale: assurdo, infatti, che una regola scritta in una logica di spending review provochi il pagamento di un regolare - e spesso profumato - salario a un atleta che non si potrà utilizzare in nessun caso; e inoltre, come prospettato dalla Gazzetta dello Sport, occhio alle mosse dell’Associazione Calciatori e dei singoli neo-esodati del pallone che potrebbero impugnare il loro contratto, perfettamente valido, di fronte a un giudice.
«Vendere, vendere, vendere», insomma, e soprattutto all’estero, visto che ben pochi dei pedatori di Serie A in odore di esubero hanno ambizioni e ingaggi concilianti con i piani più bassi del calcio nazionale: e visti i chiari di luna della fiera calciomercato, sarà improbo piazzare pseudobig quali Shaqiri (Inter), Cerci (Milan), Llorente (Juventus), Gomez (Fiorentina), tutti già fuori dai rispettivi progetti tecnici, ma pure smistare gli operai ai margini di Atalanta, Chievo o Palermo - con la B e la Lega Pro incastrate tra problemi di cassa e di norme - non sarà per niente agevole.
E allora succede che i dirigenti piangono, i calciatori pure, sorridono sotto i baffi i presidenti e senz’altro espongono il sorriso delle migliori occasioni gli allenatori, che finalmente non dovranno più cimentarsi nelle acrobazie e nei rischi della gestione di gruppi troppo allargati.
E sorridono, sicuramente, anche le vecchie glorie, e i residui difensori del calcio che fu, del «prima era meglio»: si torna a rose più identificabili, meno giocatori uguale meno turnover, pratica della quale qualcuno ha troppo abusato, a dispetto di impegni non himalayani. Il Milan 2014-15, escluso dalle competizioni europee, ha disputato 40 partite ufficiali: tra gestione spericolata delle sessioni di mercato, infortuni e fallimenti sul campo è arrivato a schierare qualcosa come 36 giocatori: e viene in mente la Juventus del 1977, «Zoff Gentile Cuccureddu» e tutto il resto, che con 15 dicasi 15 uomini – 8 dei quali nazionali – vinse lo scudetto dopo una lunghissima ed estenuante volata col Torino, la Coppa Uefa (roba estremamente seria ai tempi), contribuì alla qualificazione azzurra ai Mondiali 1978 e fece la sua parte pure in Coppa Italia per un totale di oltre 50 partite.
Si correva di meno, era un altro calcio, obiettano i modernisti: sarà vero. Ma è anche vero che tutti, evidentemente, ragionavano di più. A cominciare da chi dirigeva la navicella pallone.