Marco Belpoliti, La Stampa 20/7/2015, 20 luglio 2015
NOSTALGIA DEL FERROVIERI
L’allarme suscitato dalle violenze perpetuate sui controllori dei treni pendolari ha provocato un’immediata risposta nell’amministrazione regionale della Lombardia, cui fa capo l’ente regionale dei trasporti, Trenord. Si spenderanno almeno 2 milioni di euro l’anno per i servizi di vigilanza sui convogli più pericolosi, che s’immagina affidati a società di polizia privata, che per altro pattugliano già alcuni di questi treni.
Nella catena invisibile di cause ed effetti che ha portato a questo, c’è una causa delle cause che senza dubbio ha provocato il degrado delle condizioni del trasporto pubblico su rotaia: l’abbandono delle piccole stazioni che sorgono lungo le linee ferroviarie. Non che le stazioni non esistano più, ma sono state lasciate vuote dal personale ferroviario che le gestiva. La meccanizzazione, l’informatizzazione e la necessità di abbattere i costi, di cui gli stipendi dei dipendenti sono parte importante, ha causato il degrado degli edifici e dei luoghi un tempo presidiati dai ferrovieri. Molte stazioncine sono in stato penoso: sporche, deturpate da scritte, invase da erbacce. Nessuno fa più manutenzione e soprattutto nessuno sorveglia più chi scende e chi sale.
In un capitolo del suo libro fondamentale, Vita e morte delle grandi città (Einaudi), Jane Jacobs spiega la funzione che hanno i marciapiedi nelle città. In se stessi non significano niente, scrive, sono un’astrazione, eppure si tratta con i viali e con le piazze (quasi assenti in America) dei principali luoghi pubblici di una città, i suoi organi più vitali. Il controllo sui marciapiedi non è esercitato dalla polizia, ma dalla «complessa rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi». Là dove il controllo è affidato solo alla polizia, i marciapiedi si trasformano in vere e proprie giungle urbane.
La Jobs, che era una giornalista e non una studiosa, nota come gli urbanisti non abbiano mai compreso questo effetto-marciapiede. Pensano, scrive, che la gente cerchi l’ordine e la quiete più banali. Al contrario, è proprio l’animazione e la vista degli altri ad attrarre. Peccato che i progettisti di Trenord e i suoi manager non abbiano letto il libro della Jacobs e proceduto imperterriti a sostituire i ferrovieri delle piccole stazioni con le voci metalliche degli avvisatori e con le scritte dei tabelloni elettronici, che governano in distante e automatico. Tutto questo costerà alla collettività nei prossimi decenni più degli stipendi di chi vi lavorava, le gestiva, teneva pulite e sorvegliava. Piccole cose che hanno grandi effetti.