G. Tr, Il Sole 24 Ore 20/7/2015, 20 luglio 2015
Uno studente su quattro si perde al primo anno. Molti sono gli studenti che lasciano ancora di più quelli che cambiano facoltà
Uno studente su quattro si perde al primo anno. Molti sono gli studenti che lasciano ancora di più quelli che cambiano facoltà. In basso alla classifica c’è Viterbo che, al secondo anno trova solo il 62% degli studenti che si erano iscritti al primo. Ma non è sola, come lei ci sono Reggio Calabria, l’Aquila, Sassari e Foggia La vera sfida per gli studenti non è iscriversi all’università, ma realizzare il percorso che si è scelto; il momento critico è il primo anno, durante il quale si misurano la solidità del progetto ma anche la qualità della struttura che lo ha accolto e la capacità dell’ateneo di condurlo al traguardo. Da questo punto di vista, i dati registrati nell’università italiana sono preoccupanti, perché al secondo anno manca in media all’appuntamento quasi un quarto degli studenti che si erano iscritti al primo. In un Paese che continua ad avere un tasso di laureati fra la popolazione attiva più basso rispetto alla media europea, e una quota di 19enni che si iscrivono all’università lontanissima rispetto a quella delle economie concorrenti, questa ulteriore dispersione di energia rappresenta un altro colpo alla competitività e alla crescita del”capitale umano”. Ma prima che il Paese, le tante storie di giovani che inciampano all’inizio del percorso accademico preoccupano studenti e famiglie, che si impegnano ad avviare un investimento destinato a non arrivare a conclusione. Senza una laurea in tasca, come spiegano concordi tutte le statistiche, trovare lavoro diventa ancora più complicato, e le prospettive di carriera e retribuzione a medio termine si fanno più modeste. Certo, fra il primo e il secondo anno molti studenti decidono di cambiare corso o università, e non di chiudere i libri: le “classifiche della qualità” universitaria, che misurano le performance dei singoli atenei, calcolano per ogni caso la quota di studenti che al secondo anno non si ritrovano nella stessa università, comprendendo quindi nel tasso di dispersione sia chi ha deciso di abbandonare gli studi sia chi ha deciso di proseguirli altrove (i dati delle singole classi di laurea saranno proposte nei dossier di documentazione consultabili nello speciale università all’indirizzo www.ilsole24ore.com/classificheuniversita). Anche in questo caso, i risultati sono i più diversi. Il quadro migliore è generalmente offerto da atenei “specialistici”, perché si concentrano su facoltà tecnico-scientifiche in cui la dispersione è strutturalmente inferiore e ospitano studenti mediamente più motivati e più consapevoli della scelta fatta con l’iscrizione. Questo spiega i primati di Venezia Iuav fra gli atenei statali, seguita dal Politecnico di Milano, e della Bocconi fra i non statali, in un testa a testa con la Luiss. Se questo è il quadro, meritano una citazione le performance brillanti (almeno rispetto alla media) ottenute da Ca’ Foscari a Venezia e dalla statale a Torino. Dall’altra parte della classifica si incontra invece l’Università di Viterbo, che al secondo anno ritrova meno del 62% degli studenti che si erano iscritti al primo. Risultati simili si incontrano all’Università di Reggio Calabria, alla Parthenope di Napoli, all’Aquila, Sassari e Foggia, in una teoria di numeri che contribuiscono a fare della dispersione un altro problema a trazione meridionale. La questione si fa strutturale quando si pensa che i dati sulla dispersione vanno spesso a braccetto con quelli sul l’efficacia dei percorsi formativi, misurata in termini di crediti ottenuti ogni anno in media dagli studenti. Dove questo indicatore è debole, spesso è alto quello che misura le mancate conferme al secondo anno, e l’unione dei due fattori indica un sistema universitario ricco di buchi in cui inciampano gli studenti più deboli dal punto di vista motivazionale, culturale o, peggio, socio-economico. Come la dispersione, anche la scarsa efficacia dei percorsi si rivela un problema generalizzato quando si pensa che un piano di studi regolare prevede 60 crediti all’anno, mentre all’atto pratico le medie di ateneo non vanno oltre i 44,4 crediti a testa dello Iuav di Venezia fra le statali (fra i non statali i 53 crediti del San Raffaele sono favoriti dalla presenza di medicina). Alla Mediterranea di Reggio Calabria, però, ci si ferma a quota 24,6 e non fanno molto meglio gli studenti di Cagliari, Benevento, di Potenza, della Parthenope di Napoli o di Salerno. G. Tr.