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 2015  luglio 20 Lunedì calendario

L’IDIOZIA DI QUELLI CHE CREANO LA CODA PER STUPIDITA’

Ci sono molti elementi che inducono a pensare che, nel corso della storia, l’evoluzione umana abbia subito ben più di qualche inciampo. L’esistenza di Maurizio Gasparri, per dirne uno. Forse, però, il grado zero dell’umanità è la cosiddetta “coda per curiosi”. Una delle più grandi dimostrazioni di come, ahinoi, c’è un limite all’intelligenza umana. E quel limite è insormontabile.
Chiunque viaggi molto si trova costantemente di fronte a questo fenomeno di rincoglionimento generale, il cui effetto oltremodo nefasto – stress, rallentamenti, tamponamenti – è acuito da quell’elemento di morbosità che lo caratterizza. Tecnicamente la “coda per curiosi”, che sin dal nome appare squisitamente deficiente, accade quando nella corsia opposta c’è un incidente o comunque qualcosa di insolito (e spesso di drammatico).
Avviene allora che, quasi sempre, chi procede in carreggiata opposta – pur non avendo nessun impedimento davanti – rallenti di colpo o addirittura inchiodi. Perché? Per sbirciare, il più “comodamente” possibile, quel che accade dall’altra parte: non sia mai che, per la troppa velocità, il pilota non abbia la possibilità di osservare con tutta calma l’incidente altrui.
L’auto accartocciata, le forze dell’ordine, le ambulanze. Il fenomeno, che aumenta di anno in anno, è spesso comunicato da Isoradio. Spesso, non sempre. Anche Isoradio, che fornisce un servizio di per sé meritorio, vive in un universo tutto suo, e le notizie sul traffico arrivano non di rado dopo mezzora di chiacchiere sul nulla e trasmissioni di brani così sconosciuti che anche chi le ha scritte (giustamente) le ignora.
Qualcuno, evidentemente “curioso” e dunque parte interessata, difende tale prassi sbarazzina.
Un lettore del Corriere della Sera, cinque anni fa, sbottava: «Io penso che se in lontananza si intravede del fumo o mezzi di soccorso con lampeggianti accesi, che sia sulla propria carreggiata o su quella opposta, la prima cosa da fare è diminuire la velocità. È una questione di sicurezza, non di morbosa curiosità».
Una tesi appena – ma giusto appena – autoassolutoria.
Altri, in maniera un po’ ironica e un po’ no, lanciano fantomatiche «raccolte firme per eliminarli dalla superficie terrestre».
C’è chi rallenta perché desidera sbirciare la morte (altrui). Chi, come in quella vecchia canzone di Enzo Jannacci, vuol vedere l’effetto che fa. Chi scatta foto sulle macerie per poi condividerle su Instagram.
E molti di questi, probabilmente, se fossero nella corsia opposta – quella dell’incidente, della coda, del dramma – non solo non farebbero nulla per aiutare i feriti, ma verosimilmente li maledirebbero pure perché rei di fargli perder tempo.
Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano lunedì 20 luglio 2015