Emilio Cozzi, Il Sole 24 Ore 19/7/2015, 19 luglio 2015
Videogame ed erotismo virtuale– L’uomo è per la tecnologia quello che le api sono per i fiori: l’organo sessuale, un apparato riproduttivo extracorporeo funzionale all’evoluzione delle macchine
Videogame ed erotismo virtuale– L’uomo è per la tecnologia quello che le api sono per i fiori: l’organo sessuale, un apparato riproduttivo extracorporeo funzionale all’evoluzione delle macchine. Queste lo contraccambiano «ottemperando alle sue volontà e ai suoi desideri». Almeno fino a quando, non ci si illuda, superata la propria infanzia la tecnologia basterà a se stessa. Allora l’inutile propaggine fecondativa in carne e ossa potrà essere sostituita una volta per tutte. A scriverlo, ricorda Matteo Bittanti nell’introduzione di VirtualErotico (Unicopli, 300 pagine, € 18), non è lo sceneggiatore di qualche distopia à la Terminator, bensì Marshall McLuhan in L’amore degli aggeggi. Narciso come narcosi. Evocando a sua volta il romanzo satirico Erewhon di Samuel Butler (1872), così come il materialismo meccanicistico costato l’esilio al Julien Offray de La Mettrie di L’Homme machine (1747), McLuhan nel 1964 sosteneva con toni tutt’altro che entusiastici che «ogni invenzione o tecnologia è un’estensione o un’autoamputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri tra gli altri organi e le altre estensioni del corpo». Non stupisce allora che Francesco Alinovi, Luca Papale e gli autori da loro raccolti in VirtualErotico si concentrino sui videogiochi per esplorarne la rappresentazione del sesso quale elemento di design e oggetto di analisi storiografiche, filosofiche o di gender. Primo perché sempre più il nuovo medium si configura come un interprete privilegiato dei nostri tempi, l’apice di quella rivoluzione tecnologica capace di scardinare pratiche socio culturali vecchie millenni. Secondo perché sesso e videogame condividono più di un’affinità, a partire dai circuiti di gratificazione che entrambi attivano: l’uno a fini riproduttivi, l’altro quale esperienza di apprendimento necessaria all’evoluzione in età adulta. Terzo, perché se è vero che «il senso di appagamento e il coinvolgimento emotivo si sono evoluti di pari passo alla tecnologia», oggi i giochi digitali sono l’avanguardia di un’era in cui simulazioni sintetiche e quotidianità diventano indistinguibili. Si immagini come visori virtuali o augmented reality device, dispositivi in grado di visualizzare una realtà alternativa o complementare a quella attorno a chi li indossi, potranno declinare la sessualità in forme nuove. E rendere già vetuste le decine di interfacce fisiche elencate in Sex in Video Games di Brenda Brathwaite (2013), massaggiatori in gomma e circuiti, orifizi con connessioni usb, vibratori multiplayer. Non è un caso se il porno si sia già lanciato fra i nuovi orizzonti erotico immersivi, o se il futuro delle realdoll, giocattoli antropomorfi ultra dettagliati, coincida con l’implementazione dell’intelligenza artificiale: tanto caro a Ridley Scott (e Philip Dick), il «più umano dell’umano» non è più solo uno slogan. Capire se sia un bene è prematuro. Per dirla con il saggio di Rosy Nardone, via da atteggiamenti apocalittici o entusiasmi acritici connettere videogiochi e sessualità «significa ripensare il sistema formativo […] per promuovere una crescita armoniosa tra corpo e mente, e non in contrapposizione, o in negazione, o l’una dominante rispetto all’altra». Con buona pace di Dick e delle api di McLuhan, la sessualità virtuale potrebbe rendere, semplicemente, più umani. Emilio Cozzi