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 2015  luglio 19 Domenica calendario

Quel che insegna la cameriera• Il Diario di una cameriera (Le Journal d’une femme de chambre), uscito presso l’editore Fasquelle nel luglio del 1900 dopo due versioni precedenti, è senza dubbio l’opera romanzesca più celebre di Octave Mirb eau (1848-1917)

Quel che insegna la cameriera• Il Diario di una cameriera (Le Journal d’une femme de chambre), uscito presso l’editore Fasquelle nel luglio del 1900 dopo due versioni precedenti, è senza dubbio l’opera romanzesca più celebre di Octave Mirb eau (1848-1917). Da questo testo sono state tratte due celebri riduzioni cinematografiche, una di Jean Renoir nel 1946 e la seconda, nel 1964, diretta da Luis Buñuel; proprio dell’aprile di quest’anno è l’ultima, per la regia di Jacquot Benoît, con Léa Seydoux nel ruolo della protagonista. Tuttavia, nonostante il considerevole successo di vendite, il Journal venne da subito molto criticato e poco compreso anche dagli stessi ammiratori di Mirbeau; molti vi vollero vedere un’opera scandalosamente erotica da relegare negli inferi delle biblioteche, «un’interminabile e fetida epopea», un esempio di «naturalismo isterico, forsennato e deviato». Sicuramente, come dimostra la nuova edizione Elliot tradotta da Luisa Moscardini, questo romanzo ormai divenuto un classico non solo non ha perso nulla della sua lucidità e forza, ma resta di grandissima attualità proprio per i motivi che allora scandalizzarono i più: è un quadro profondamente vero, senza concessioni né ipocrisie, della società francese nel periodo della Belle Époque, un’opera d’arte dallo stile raffinato, e l’espressione di scelte etiche, politiche ed estetiche dell’autore, materialista convinto, di sinistra o meglio anarchico, che non ha avuto nessun timore di dire e denunciare la verità. E per compiere il suo scopo ha scelto una donna, una cameriera per di più, Célestine, che a dispetto del suo nome ha ben poco di «colei che viene dal cielo» e rimanda piuttosto alla sua omonima protagonista dell’opera spagnola del 1500 di Rojas, che trattava argomenti osceni e scabrosi. Nella prefazione dell’opera Mirbeau avverte che questo è il diario di una vera femme de chambre di cui lui si dichiara soltanto il revisore, e anticipa che qui vi si troverà «quella tristezza che fa ridere, quella comicità che commuove le anime nobili», un sentimento e un’atmosfera cui Flaubert, un maestro per tutta la generazione di Mirbeau, avrebbe dato il nome di «grottesco triste», «lirismo nella farsa», un genere di «comico arrivato all’estremo» che non fa più ridere bensì «sognare», lo scrittore e il lettore con lui. La vicenda ha come sfondo il podere Prieuré a Mesnil-Roy, in Normandia, proprietà di una coppia borghese che a partire dal ridicolo cognome Lanlaire (l’espressione «va te faire lanlaire» significa «vai a quel paese»...), è l’emblema e l’incarnazione della turpitudine morale (ancora con Flaubert del borghese inteso come «quiconque pense bassement») e della miseria affettiva e sessuale; una classe, un tipo umano, su cui l’autore, con la sua portavoce Célestine, riversa tutto il suo disprezzo, e di cui vuole impietosamente denunciare vizi e corruzioni, appetiti sordidi e prevaricazioni vergognose. Célestine strappa i veli per mostrare le anime a nudo, toglie le maschere di rispettabilità dei potenti, disbosca le canaglierie camuffate dietro «smorfie» che ingannano solo gli ingenui. Con uno sguardo acuto e irriverente che penetra «fin nel buco della serratura» delle case che frequenta così come dei teatri o delle cene di rappresentanza, l’implacabile e voluttuosa protagonista, che per prima sa di «non essere una santa» (proviene da un ambiente torbido e violento di prostituzione, da cui eredita una sessualità quasi animalesca e un’attrazione-repulsione per le perversità, le abiezioni e perfino i delitti), decide di rivelare ciò che si cela dietro il decoro e l’ipocrisia di una classe e di una società profondamente corrotta, da cui esala «un odore acre di marcio». Mirbeau attacca un ordine sociale inumano in cui si perpetua la «schiavitù», di cui il lavoro della domestica, «principio stesso della decadenza», è una forma più sottile, moderna e altrettanto rivoltante. Ne risulta una condanna feroce nei confronti delle classi dominanti, la cui putredine morale, nella visione esistenzialista di Mirbeau, non è che un riflesso di una ben più profonda putredine universale. Prendendoci per mano in questo istruttivo e intrigante «voyage au bout de la nausée» (l’espressione è di Pierre Michel), la bella Célestine dalle forme avvenenti e dagli occhi azzurro cupo, provocanti e lascivi, svela la «decomposizione delle carni e la corruzione delle anime» attraverso personaggi che lentamente perdono la loro sostanza vitale o rimangono «sotto la minaccia costante della liquefazione», e per questo motivo tutta l’opera, che non è rischiarata dall’«oppio della speranza», è fortemente intrisa di morte. L’universo di Célestine è senza Dio, le sue delizie sono i suoi supplizi (a ridosso del Journal Mirbeau pubblica Le Jardin des supplices, opera dal gusto decadente per l’erotico e il mostruoso); un mondo senza redenzione dove, sulle anime dannate, tutte inchiodate da Mirbeau senza distinzione, regna Satana con i suoi attributi di Eros e Thanatos. Ma su tutto, anche, regna incontrastata, leggera e beffarda l’ironia dell’autore, che avrebbe sottoscritto una confessione di Flaubert: «ciò che mi ha salvato dalla dissolutezza non è la virtù, ma l’ironia». Ironia che è forza creatrice di arte e bellezza, e che alla fine della lettura di questo diario-romanzo, un sublime inno di amarezza e derisione, anche se disgustati e impotenti, come l’autore, di fronte a tanta ingiustizia sociale e morale, ci fa domandare, con un altro décadent capace di sprofondarci nei «miasmi pestiferi» così come di elevarci nell’«aria superiore» degli «spazi limpidi»: che Célestine venga dal Cielo o dall’Inferno, che importa, se è tanto bella e, pour cause, tanto vera?