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 2015  luglio 19 Domenica calendario

Sir Alan Parker. “Ho accettato il titolo di Sir perché faceva piacere ai miei cinque figli. Ma io vengo dalla working class, a diciott’anni mio padre mi disse che avevo studiato già fin troppo”

Sir Alan Parker. “Ho accettato il titolo di Sir perché faceva piacere ai miei cinque figli. Ma io vengo dalla working class, a diciott’anni mio padre mi disse che avevo studiato già fin troppo”. Al cinema arrivò per caso, dopo anni di spot pubblicitari: “Fuga di mezzanotte”, “The Wall”, “The Commitments”, “Evita”. E da anni non gira più un film: “Preferisco scrivere sceneggiature che nessuno leggerà. E poi dipingere. Così almeno non rischio di avere star tra i piedi. La verità è che mi sono sempre sentito un clandestino del grande schermo. Lo sa? Sul mio passaporto non c’è scritto che sono un regista, ma uno scrittore. E forse un giorno anche pittore ”– Un regista dovrebbe avere la pazienza di un poeta e la forza fisica di un muratore. Ricetta di Alan Parker, autore di film memorabili, da Fuga di mezzanotte a Pink Floyd The Wall e The Commitments . Ricetta di un Sir del cinema, che da buon inglese ha subito il correttivo di humor: « Tanti i registi che scambiano gli ingredienti, adottando la pazienza di un muratore e la forza fisica di un poeta». Sir Alan Parker, settantuno anni, siede trionfale davanti all’ennesimo bicchiere, stavolta un rubicondo Primitivo di Puglia. La lunga sciarpa penzoloni nella tasca della giacca, camicia jeans in libertà dentro il panciotto piuttosto pancione, rotondo e vispo, occhialoni di tartaruga e candida frangetta, con le sue dita paffute ha buttato giù in due secondi l’autocaricatura: «Quasi tutti quelli che scrivono di me hanno ricevuto una mia vignetta. Da più di mezzo secolo, disegno e pittura sono la mia attività preferita, insieme alla scrittura. Ma vado più veloce con le matite che con le mail. I disegni sono la migliore forma di comunicazione, superano ogni barriera linguistica: quanti ne ho mandati ai produttori di Hollywood per spiegare i miei progetti. La volta dopo, quando poi li andavo a trovare, li trovavo incorniciati nei loro Studios». Faccia, e statura, di putto stagionato, Parker sorvola, appena può, sull’attività che l’ha reso famoso — il cinema — per la quale è stato anche “incorniciato” al Bif&st di Bari con il premio di rito. Si schermisce, anche se quasi tutti i suoi film, proiettati in rassegna nell’omaggio al Festival Champs-Elysées di Parigi del mese scorso, sono veri e propri casi cinematografici: Piccoli gangster , baby-parodia dei film di mafia, con la tredicenne Jodie Foster, inaugurava nel ’76 il filone giovanilistico; Fuga di mezzanotte del ’78 riceveva il primo Oscar per una musica realizzata da Giorgio Moroder con il sintetizzatore; altro Guinness, Evita del ’96, per il maggior numero di cambi d’abito in un film — ottantacinque per Madonna, contro i sessantacinque di Elisabeth Taylor in Cleopatra — inclusi 39 cappelli, 45 paia di scarpe e 56 coppie d’orecchini. «D’accordo — ammette Parker — ma sa quanto tempo mi ci è voluto per convincermi che, forse, potevo definirmi “regista”? Pensi che sul passaporto ho sempre indicato la professione di scrittore, non di regista». Scrittore lo è davvero, sia pure con pigra cadenza british: tre romanzi (e, nel 2008, Sid Vicious, l’icona del punk , sul bassista dei Sex Pistols) a fronte dei quattordici lungometraggi e della miriade di spot sfornati in poco più di trent’anni, dal ’70 ai primi Duemila: «Il fatto è che davvero scrivere mi piace più che girare film. Il mio autore preferito? Steinbeck, forse. Hemingway, Fitzgerald? Allora, piuttosto, Shakespeare. Devo confessare che non sono un lettore accanito, come per esempio mia moglie, che si fa almeno due romanzi a settimana, tenendosi persino aggiornata sulle novità cinematografiche. Il guaio è che ne parla a tavola con gli ospiti e tutti chiedono il mio parere. Faccio finta di conoscerli tutti, libri e film, ma mia moglie sa bene che non li ho letti e non li ho visti. E così, a tu per tu, mi prende in giro: nel lavoro, mi dice, sei influenzato dai libri che non hai letto e dai film che non hai visto». Una volta ha ammesso che negli zapping tv si fa prendere da sequenze trascinanti, d’aspetto familiare e, quando ha ormai deciso che è proprio un bel film, si accorge che è suo: «Sì, che vergogna, vero?». Ma perché prende le distanze dalle sue glorie in pellicola? «Perché mi sono sempre ritenuto un clandestino del grande schermo. Vi sono arrivato attraverso la scrittura e, prima, gli spot. A diciotto anni, mio padre mi ha detto: “Hai già studiato anche troppo. Stop”. Lui aveva smesso a quindici. Io vengo dalla working class, da quel tipo di mentalità: perciò il titolo di Sir mi fa sorridere, è come un marchio a fuoco su una pelle riottosa. Ho accettato volentieri questo timbro di nobiltà per far piacere ai miei cinque figli. Fossi venuto fuori dalla comunità ebrea, sarebbe stato diverso: lì, i genitori sono orgogliosi di predisporre ai figli un destino di avvocato, di medico…». O di farmacista, com’era nelle ambizioni, ripetutamente frustrate, del papà di Woody Allen, divenuto “solo” regista. «Anche lui vittima, come me, di una carriera sbagliata», ride Parker: «Abbandonati gli studi, ho seguito i corsi di Belle Arti e ho cominciato a lavorare nella pubblicità: è stata la mia scuola di cinema e la mia università. Scrivevo i soggetti, imparavo via via la tecnica delle riprese. Miei compagni di ventura erano Hugh Hudson, poi regista di Momenti di gloria , e i fratelli Ridley e Tony Scott: tutti scolaretti dello spot e, quasi subito, maestri di un cinema nuovo». Per Parker è stata un’esperienza preziosa, tra l’altro, per il futuro clippone grande schermo Pink Floyd The Wall: «L’ho realizzato nell’81, quando ancora Mtv non esisteva e il videoclip era ai primi vagiti. Se avessi ricevuto anche un solo dollaro per ogni idea rubata a The Wall nella valanga di clip successivi, sarei l’uomo più ricco del mondo». Ha invece continuato ad arricchire le platee di originali exploit di cinema & musica, come già era avvenuto nell’80 con Saranno famosi : «Sì, a parte che, a fine riprese, avrei voluto ucciderli tutti, uno dopo l’altro. E non parliamo di Roger Waters o di Madonna...». Parliamone, invece. Parker chiede rinforzi a un secondo bicchiere di Primitivo: «Capirà perché preferisco essere scrittore: tranquillo, a casa mia, davanti al computer, magari con un buon bicchiere a lato, ma nessuna star nei paraggi. Andiamo per ordine. Waters è stato un inferno: non accettava ciak che non fossero come lui li aveva immaginati. Non concepiva l’eventualità d’un confronto. L’ego che si nutre di sé. Il film è stato comunque un successo. E ne ho ricavato una lezione: non è detto che solo un set armonioso produca un buon film. È più probabile che esca da set di guerra, come The Wall ». E Madonna? «Discorso diverso. Durissima con tutti gli altri interpreti, ma adorabile con me. Aveva ottenuto il ruolo che aveva ostinatamente desiderato, battendo una concorrenza da capogiro: Meryl Streep, Cher, Glenn Close, Olivia Newton-John e, soprattutto, Michelle Pfeiffer, che da mesi studiava la parte e aveva già registrato le canzoni. Ho ricevuto da Madonna una lettera di cinque pagine, dove mi spiegava di essere l’unica in grado di ricoprire il ruolo. Che fare? Era, allora, la donna più famosa al mondo, come lo era stata a suo tempo Eva Peròn. Ma che fatica: quattro mesi per registrare le canzoni prima di metter piede sul set. Il film più costoso della mia carriera. Quando penso che, di norma, le prove sono un lusso negato: gli attori costano, non puoi permetterti extra. Così succede che due interpreti, appena arrivati, girino subito una scena bollente di sesso e, dopo, facciano conoscenza». Dal 2003, cioè da The Life of David Gale , sulla pena di morte in Usa, non vediamo più suoi film. Perché ? «Perché scrivo. Da allora a oggi, sono nate tante sceneggiature mai diventate film: un intero festival che mi è rimasto in testa e che nessuno potrà mai vedere. L’ultimo soggetto è il migliore di tutti, ma non ha trovato produttori. Forse non ho conservato la pazienza o la disperazione del poeta: e la forza di un muratore non ce l’ho più. Inoltre, un regista che invecchia non è, come il vino, un regista che migliora: non ha più la freschezza, l’originalità delle prime volte. Perciò, sempre di più, dipingo. Ho in progetto una mostra in autunno a Londra. La pittura è gioia, è qualcosa che resta. Invece, se guardo indietro, a quarantacinque anni fa, quando è cominciato il mio cinema, apro la mano e la vedo vuota. Granello dopo granello, i film mi son scivolati via, come sabbia tra le dita».