Michele Brambilla, La Stampa 19/7/2015, 19 luglio 2015
1925, LA TV CHE SARA’
A noi che passiamo le giornate davanti allo smartphone e che attendiamo l’arrivo dell’automobile senza pilota o, più semplicemente, quello in Italia di Netflix, pare di vivere l’epoca del massimo trionfo della tecnologia nella storia dell’umanità; ma in fondo nulla dei cambiamenti cui stiamo assistendo è paragonabile allo choc che fu prodotto novant’anni fa dall’invenzione di John Logie Baird: la televisione.
Era, questo Baird del quale ben pochi conoscono l’esistenza, un ingegnere scozzese. Il 25 marzo del 1925, nel centro commerciale «Selfridges» di Londra, spiegò la sua creatura: una tv «a scansione meccanica», costruita con due dischi detti di Nipkow e una lampada al neon, in grado di poter trasmettere a distanza immagini formate da 28 linee. Il 2 ottobre dello stesso anno Baird riuscì a mettere in pratica la teoria e trasmise - dal proprio laboratorio a una stanza a fianco - la faccia in bianco e nero del suo fattorino William Taynton, che si era offerto come cavia e che sarebbe quindi diventato il primo essere umano a comparire il televisione.
Nemmeno Leonardo da Vinci aveva ipotizzato la possibilità di trasmettere a distanza le immagini: aveva previsto la realizzazione delle macchine volanti, dei cannoni e dei sottomarini, della bicicletta e del calcolatore, dell’automobile e dell’uso industriale dell’energia solare: ma non della televisione. John Logie Baird, seguendo l’evoluzione della radio, era riuscito a rendere possibile l’impossibile.
Così, novant’anni fa, il mondo conosceva le prime trasmissioni radiofoniche e i primi esperimenti televisivi, rivoluzionando le comunicazioni assai più di quanto non avvenga oggi. Solo nove anni prima, nel 1916, la morte di Francesco Giuseppe era stata fatta conoscere ai cittadini dell’Impero con un passaparola di casa in casa, ciascuno aveva l’incarico di battere le nocche sui vetri delle finestre del vicino.
Fu Hitler il primo a comprendere la portata devastante che la televisione avrebbe avuto sul mondo nuovo. Il primo programma televisivo regolare del pianeta va infatti in onda nel 1935 nella Germania nazista. L’anno successivo, in occasione delle Olimpiadi di Berlino, la televisione diventa un formidabile strumento di propaganda e si calcola che il discorso del Führer durante la cerimonia di apertura è la prima trasmissione con una potenza sufficiente a superare l’orbita terrestre. In Inghilterra la Bbc inizia le trasmissioni «ad alta definizione» il 2 novembre dello stesso anno, 1936, dall’Alexandra Palace di Londra, alternando gli standard delle tv prodotte da Baird, giunte ormai a 240 linee per quadro, a quelle della Emi-Marconi, in grado di produrre 405 linee. Il 10 maggio 1937 l’incoronazione di re Giorgio VI è il primo evento trasmesso in diretta nella storia della televisione; il primo luglio del 1941 la Nbc americana trasmette il primo spot pubblicitario: è degli orologi Bulova.
In Italia le prime prove sperimentali vengono effettuate nel 1934 a Torino, all’Eiar, nei locali del teatro di fianco alla storica sede di via Verdi; poi a Roma e a Milano. Anche Mussolini, naturalmente, capisce il ruolo fondamentale della televisione nella propaganda, e incoraggia gli studi, che però subiscono un’interruzione con lo scoppio della guerra. È nel 1949, e sempre a Torino, che riprendono gli esperimenti. Il 5 febbraio del 1950 la Rai trasmette per la prima volta una partita di calcio, un Juventus-Milan sul manto innevato e fangoso del Comunale. I bianconeri passano in vantaggio con Hansen, ma poi subiscono le reti di Nordhal (tre), Liedholm, Gren, Burini e Candiani, per un clamoroso 1-7 finale. Immagini, comunque, destinate a pochi schermi piazzati a Torino, perché la televisione, in Italia, comincia le sue trasmissioni il 3 gennaio 1954.
Il resto è noto. La televisione realizza l’Unità d’Italia più di quanto l’abbiano potuta realizzare i garibaldini e Cavour: tutti cominciano, piano piano, ad abbandonare i dialetti, e ad adottare quella che per secoli era stata chiamata «la lingua toscana in tasca romana», perché utilizzata e custodita solo dai dotti chierici del Papa. La tv favorisce anche la socializzazione: i primi anni gli apparecchi sono pochi e le visioni sono collettive, nei bar, dove si guardano Il musichiere di Mario Riva e Lascia o raddoppia? di Mike Bongiorno. Negli Anni Sessanta il maestro Alberto Manzi contribuisce all’alfabetizzazione di massa con Non è mai troppo tardi; anche i grandi sceneggiati favoriscono la cultura del popolo: I promessi sposi, I miserabili, La cittadella, l’Odissea.
La televisione è un mezzo potente e autorevole: la sua diffusione viene associata all’imminente e sicura morte dei giornali (anche qui niente di nuovo, insomma) perché chi scrive può raccontare balle mentre le immagini non mentono. «L’ha detto la televisione» diventa garanzia di autorevolezza, di verità. «La televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando», canterà infatti Lucio Dalla e d’altra parte già Jannacci aveva spiegato che «la televisiun la g’ha na forsa de leun».
E tutto questo grazie all’intuizione di Baird. Il suo primo apparecchio tv aveva uno schermo di 3 per 5 cm e le immagini, grandi come un francobollo, venivano ingrandite da una lente. Ma tutte le moderne televisioni e le avanzatissime tecnologie dei giorni nostri sono figlie indiscusse di quell’invenzione del 1925; tutte insomma sono state partorite dalla mente geniale di quell’ingegnere scozzese finito chissà come mai tra i grandi dimenticati dalla storia.
Di John Logie Baird resta un busto a Helensburgh, il paese dov’era nato il 13 agosto del 1888, e poco più. Una ventina d’anni fa, quando ancora ci documentavamo sulle enciclopedie in venti volumi, la Rizzoli Larousse liquidava Baird in undici righe; oggi Wikipedia gliene dedica dieci, contro le trentuno che concede a Mario Magnozzi, attaccante del Livorno che nello stesso 1925 in cui veniva inventata la televisione vinceva la classifica dei cannonieri con 19 gol. Beffa del destino, e in fondo anche ingratitudine di noi contemporanei, poveri ingenui che pensiamo che nessuna rivoluzione tecnologica sia mai stata grande come la nostra, perché il mondo è sempre nuovo per chi è nuovo al mondo.