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 2015  luglio 18 Sabato calendario

Elogio del plagio

Notizie tratte da: Luigi Mascheroni, Elogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web, Aragno 2015, pagg. XXXII-270, 20 euro.

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La favola di Cenerentola, dalla Cina all’Egitto, da Giambattista Basile a Charles Perrault, dai fratelli Grimm a Walt Disney, da Pretty Woman alla Cinderella di Kenneth Branagh: sempre uguale ma narrata in almeno 280-300 versioni diverse.

Il barone rampante di Italo Calvino, nato da un racconto di Salvatore Scarpetta una sera del 1950 all’osteria Menghi di via Flaminia, a Roma. Scarpitta raccontò a Calvino di quando bambino, nella California degli anni Trenta, dove viveva con la famiglia, un giorno per scappare a uno scappellotto del padre salì su un albero e vi rimase 34 giorni diventando una vera celebrità. Nell’estate del 1957 da Einaudi uscì Il barone rampante, storia del dodicenne Cosimo Piovasco di Rondò che si arrampica su un leccio dal quale non scenderà più, trascorrendoci 53 anni.

«Il plagio è necessario. Il progresso lo implica» (Lucien Ducasse, noto al mondo come Conte di Lautréamont, 1846-70).

«Ridire le cose già dette e far credere alla gente di sentirle per la prima volta, in ciò consiste l’arte di scrivere» (Remy de Gourmont, 1858-1915).

Copimismo: religione fondata da Isak Gerson e riconosciuta ufficialmente dalla Svezia nel 2012. Predica la convinzione filosofica secondo cui tutte le informazioni dovrebbero essere distribuite liberamente e senza restrizioni, contro ogni forma di copyright e di proprietà intellettuale, incoraggiando la pirateria di ogni genere: di musica, film, spettacoli televisivi e software.

La storia di Romeo e Giulietta: scritta per la prima volta (forse) nel 1531 dal capitano vicentino Luigi Da Porto nella sua Historia novellatamente ritrovata di due nobili amanti con la loro pietosa morte intervenuta già al tempo di Bartolomeo della Scala. Presto ripresa in un poema in ottava rima attribuito a Gerardo Boldiero e nel 1554 in un’opera di Matteo Bandello. Poi dall’inglese Arthur Brooke nel 1562, da William Painter nel 1569 e dallo spagnolo Felix Lope de Vega nel 1590. Romeo e Giulietta di Shakespeare è dl 1596.

«Quando si saccheggia un autore moderno, prudenza vuole che si nasconda il bottino. Ma guai al plagiario se è troppo grande la sproporzione tra quel che ruba e ciò a cui lo incolla» (Charles Nodier, Crimini letterari, 1812).

«Se dovessi copiare, lo farei da Shakespeare o Melville, non certo da uno come te» (Norman Mailer a Maurice Zolotow che lo aveva accusato di avergli rubato la biografia di Marilyn Monroe).

«Oh povero me, quanto è indicibilmente buffa, idiota e grottesca questa farsa sul plagio (…) In fondo tutte le idee sono di seconda mano, prese consciamente o inconsciamente da milioni di fonti esterne e usate quotidianamente dal compilatore con l’orgoglio e la soddisfazione che nascono dalla presunzione di averle create» (Mark Twain).

«Lo scrittore originale non è quello che non imita nessuno, bensì quello che nessuno può imitare» (François-René de Chateaubriand, 1768-1848).

Il sistema operativo Windows, usato sul 90 per cento dei computer del mondo: copiato da Apple, che a sua volta l’aveva copiato da Xerox.

Plagium: termine del diritto romano che indica colui che riduce in schiavitù un uomo libero, oppure sottrae servi o bestiame ad altri. Poi esteso a chi ruba versi (per la prima volta in un epigramma di Marziale).

De Triumpho Stultitiae, scritto dal poeta romagnolo Faustino Perisauli tra il 1480 e il 1490: straordinarie somiglianze, non solo per i temi ma per intere frasi, con l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam (pubblicato nel 1511).

«Avvien che né in prosa è scritto o in rima / cosa che non sia stata detta prima» (Francesco Berni, poeta cinquecentesco).

«I poeti immaturi imitano; i maturi rubano; i cattivi poeti svisano ciò che prendono e i buoni lo trasformano in qualcosa di migliore o almeno diverso» (Thomas S. Eliot).

Jules Verne al direttore del Petit Journal, che nell’ottobre 1867 ha cominciato la pubblicazione a puntate di un racconto intitolato Aventures extraordinaires du savant Trinitus (su un viaggio a bordo di un sottomarino) firmato da Aristide Roger: «Un anno fa ho cominciato un libro che ha per titolo Viaggio sotto le acque. Quest’opera non è ancora uscita solo perché ho dovuto abbandonarla temporaneamente per un lavoro importante… Sia così gentile, signore, da inserire questa lettera nella sua rivista, in modo da mettermi al riparo da qualsiasi reclamo riguardo all’analogia dell’argomento di queste due opere». Ventimila leghe sotto i mari uscirà nel 1870.

Lettres écrites de Vienne en Autriche, sur le célèbre compositeur Jh Haydn, suivies d’une vie de Mozart (…), esordio letterario Henri Beyle – il futuro Stendhal – con lo pseudonimo di Louis-Alexandre César Bombet: i passi relativi a Haydn copiati da un’opera dell’italiano Giuseppe Carpani, quelli relativi a Mozart da un testo di Théophile Frédéric Winckler, a sua volta traduzione del necrologio mozartiano di Friedrich von Schlichtegroll.

«Non c’è una frase in questa pubblicazione che non sia tradotta da qualche opera straniera. Non sono state indicate con esattezza tutte le idee saccheggiate. Questa pubblicazione non è quasi altro che un centone» (nota di Stendhal alla seconda edizione di Vies de Haydn, de Mozart et de Métastase).

Dieci piccoli indiani (1939) di Agatha Christie: analogie «sconcertanti, a partire dal plot» (Lia Volpati) con L’ospite invisibile uscito negli Stati Uniti nove anni prima e scritto da una coppia di giornalisti, Bruce Manning e Gwen Bristow, marito e moglie di New Orleans. Le otto persone invitate dall’ospite misterioso diventano dieci nella Christie, le morti sono praticamente identiche. Plagio mai denunciato, ma dall’anno successivo all’uscita di Dieci piccoli indiani la coppia di scrittori scompare dalla scena letteraria.

«Mi è parso a un certo punto di riconoscere un pezzo di un mio vecchio diario misteriosamente scomparso poco dopo il mio matrimonio e anche brani di lettere che, sia pure molto rimaneggiate, mi suonano vagamente familiari. In realtà pare che Mr. Fitzgerald ritenga che il plagio debba cominciare in famiglia» (Zelda Fitzgerald).

Alex Haley, premio Pulitzer per il romanzo Radici (1976), querelato da Harold Courlander il quale lo accusava di aver copiato, oltre a linguaggio, pensieri, trama e caratteri, ben 80 passaggi dal suo romanzo The African, del 1967. Pagò una multa di 650 mila dollari, continuò a vendere milioni di copie.

Le memorie di un ragazzaccio, volume anonimo tradotto dall’inglese da Esther Modigliani: Luigi Berteli, per tutti il Vamba, ne utilizza per intero i primi capitoli, una cinquantina di pagine in tutto, cambiando i nomi dei personaggi e poche altre
cose per il suo Giornalino di Gian Burrasca. (L’originale tradotto dalla Modigliani era A Bad Boy’s Diary, apparso negli Stati Uniti nel 1880 firmato da tale Walter T. Gray, pseudonimo della scrittrice Metta V. Fuller Victor).

«Oggi ch’è venuta fuori la commedia Vestire gli ignudi, Capuana non è qui per dire qualcosa di simile; ma il suo spirito mi suggerisce di pregarla a confessare che qualche volta fa comodo plagiare i morti e passare sul cuore dei vivi» (lettera aperta, pubblicata sul Giornale d’Italia, di Adelaide Bernardini in Capuana a Luigi Pirandello: il primo atto della sua commedia, del 1922, era fortemente debitore della novella di Luigi Capuana Dal taccuino di Ada, del 1896).

Gustave Flaubert nella Tentazione di Sant’Antonio (1874): «Le secret que tu voudrais tenir est gardé par les sages… au air chaud les nourrit, des léopards tout à l’entour marchent sur les gazons…». Gabriele D’Annunzio nelle Elegie romane (1892): «L’hanno in custodia i saggi… un’aria calda li nutre… su l’erba d’intorno rapidi i leopardi…».

Intere pagine del romanzo Il piacere (1889) ricalcate da L’initiation sentimentale di Joséphin Péladan (1887, la novella Annali d’Anna (compresa nella raccolta San Pantaleone, 1886) che è né più né meno Un coeur simple di Flaubert… I furti letterari di D’Annunzio denunciati già nel 1910 dal critico Enrico Thovez nel libro Il pastore, il gregge e la Zampogna.

Napoli, 30 aprile 1908, D’Annunzio contro Scarpetta: primo processo della storia italiana sul diritto d’autore, dopo che Marco Praga, fondatore e direttore della Società italiana autori editori (Siae) e nello stesso tempo agente di D’Annunzio, ha presentato una querela per plagio e contraffazione contro Eduardo Scarpetta, autore della commedia Il figlio di Jorio, dichiarata parodia della tragedia dannunziana La figlia di Jorio. Passerella dei principi del foro, giornalisti da tutta Italia e perizie di nomi preclari: a difendere Scarpetta si schiera Benedetto Croce, a sostenere D’Annunzio arriva Salvatore Di Giacomo. Aula sempre gremita, grande risalto sulla stampa. Al centro di tutto, una questione fondamentale: può la parodia considerarsi un plagio? La legge alla fine dice no. Il 27 maggio 1908 il tribunale assolve Scarpetta.

«Eppure esistevano famiglie che mangiavano e dormivano tranquille nelle loro case… Dovevano esservi ragazze che vestivano elegantemente, che ballavano, cantavano, come lei stessa faceva fino a poche settimane prima. E vi era una guerra […]. E in qualche parte della Georgia le colline erano azzurre di soldati yankees, ben nutriti e montati su cavalli col pelo lustro» (da Via col vento, di Margaret Mitchell, 1936). «Eppure, si disse, anche adesso esistono famiglie che mangiano e dormono tranquille nelle loro case. Anche in quella mattina in cui lei non aveva la forza di sollevarsi, dovevano esservi ragazze che vestivano elegantemente, che ballavano, cantavano, come lei stessa aveva fatto fino a poche settimane prima. Anche se intorno a lei, e per parecchie miglia, vi era la guerra […]. Mentre, in qualche parte della Lombardia, le coline erano azzurre di soldati francesi ben nutriti in groppa a dei cavalli con il pelo lustro» (da L’orto del Paradiso, di Rosa Giannetta Alberoni, 1989).

«Che la ragazza di Diamante, che Vita così adorabile e così appassionatamente adorata, potesse lasciarlo per quel delinquente di Rocco il quale fra l’altro non poteva sposarla perché aveva già sposato la figlia di Buongiorno – e innamorarsene al punto di fuggire con lui, era una cosa che non riusciva nemmeno a concepire» (da Vita, di Melania Mazzucco, 2003). «Che la fidanzata del principe Andrej, così appassionatamente amata, che Nataša Rostova fino a quel momento così adorabile potesse lasciare Bolkonskij per quell’imbecille di Anatol, il quale per giunta era già sposato […] e innamorarsene al punto di fuggire con lui, era una cosa che Pierre non riusciva a comprendere e nemmeno a concepire (da Guerra e pace, di Lev Tolstoj, 1869).

«Ho letto Guerra e pace a 14 anni ed è stato un libro sicuramente fondamentale per me, ma non l’ho mai riletto. Nel mio libro, però, è tornato da solo…» (Melania Mazzucco).

«L’originalità è un mito di cui bisognerebbe liberarsi. Ogni voce autentica non coincide con nessun’altra e quindi è originale. Però sono convinto che la letteratura sia come una valle di echi, perché gli scrittori non fanno che riprendersi, consapevoli o meno. Quello che differenzia non è tanto la nota, ma il timbro, e quindi ogni autore ha una sua originalità» (Giuseppe Pontiggia).

Settembre 1955, il giornale colombiano El Espectator pubblica un lungo reportage di Gabriel García Márquez sul caso Montesi, riproposto poi in Italia, nel 2001, nel volume Dall’Europa
e dall’America. E’ in questa occasione che uno studioso italiano si accorge che il testo la fedelissima ricopiatura, a parte qualche taglio, piccoli brani di raccordo e grossolani errori di traduzione, della sentenza di rinvio a giudizio scritta dal giudice istruttore Raffaele Sepe che apparve integralmente sul Corriere dell’Informazione, in più puntate, tra il 21 luglio e il 13 agosto
di quel 1955.

Firmino, romanzo breve del quasi settantenne Sam Savane, caso letterario americano del 2006, tradotto nel 2008 in Italia da Einaudi con più di 400 mila copie vendute in brevissimo tempo. La bibliotecaria, del giornalista-scrittore italiano Claudio Ciccarone, pubblica da Guida nel 2000. Di fatto, la stessa storia. «Entrambi i protagonisti sono animali che si nutrono di libri (Firmino un topo e Marta, la protagonista de La bibliotecaria, una tarma); così divorandoli li leggono, e a un certo punto entrambi capiscono che non si devono distruggere e allora trovano il modo di continuare a leggerli senza rovinarli». Intervista a Savage quando uscì Firmino, sul sito letterario Coffee House Press: perché ha scelto come animale un topo? «Non potevo mica scegliere una tarma».

In Rapport de police (2010) la scrittrice e psicanalista Marie Darrieussecq, accusata in precedenza di plagio, esplora i territori della nevrosi letteraria della plagiomania, ossia l’ossessione/desiderio che spinge alcuni autori egomaniaci e sconosciuti a creare scandalo intorno alla propria opera fino a
calunniare scrittori celebri nelle cui pagine si convincono di riconoscersi, accusandoli di imitazione senza che ne esistano gli estremi. Tesi di fondo, che per neutralizzare gli scrittori invisi a un qualsivoglia regime, una delle armi predilette sia l’accusa di plagio.

Il caso di Assassin of Secrets, thriller dell’esordiente Q. R. Markham – pseudonimo del libraio di Brooklyn Quentin Rowan: quando fu messo in vendita su Amazon, nel novembre 2011, con una tiratura iniziale di 6.500 copie, per qualche giorno galleggiò
nell’indifferenza più assoluta. Poi, improvvisamente, in poche ore passò dalla posizione di vendita numero 62.924 alla 174. Su Internet erano girate voci che Assassin of Secrets era una (brutta) copia di diversi classici del genere, mischiati insieme, fra cui romanzi di Robert Ludlum, di John Le Carrè, di Christopher McCray e persino del ciclo di James Bond. I lettori, invece di denunciare il plagio e rifiutare il libro, si erano precipitati ad acquistarlo.

Dan Brown, coinvolto per i suoi libri in sette diversi casi di plagio, quattro dei quali arrivati nei tribunali, tutti comunque conclusi con l’assoluzione.

Accusa di plagio a Dan Brown per Il codice da Vinci, mossa dagli autori di The Holy Blood and the Holy Grail, saggio del 1982 (tradotto in Italia col titolo Il santo Graal) che intendeva dimostrare che Cristo non morì in croce ma sposò Maria Maddalena ed ebbe dei figli, che emigrarono nella Francia meridionale, dove diedero vita a quella che sarebbe stata la dinastia Merovingia, ecc. Il processo nel 2006: l’Alta Corte di Giustizia di Londra mandò assolto il bestseller esoterico affermando che «la Storia, quella con la esse maiuscola, non si può copiare perché è un patrimonio comune».

«Riprendere concetti o stile da un altro scrittore che non si è mai assolutamente letto» (il plagio nel Dizionario del diavolo di Ambrose Bierce).

«Lo stile del giornalismo odierno è “forbice e colla”» (Carlo Dossi nelle Note azzurre).

I lavori di Umberto Galimberti, «costruiti utilizzando pezzi di scritti precedenti, suoi o altrui. Non hanno consequenzialità, i vari pezzi talvolta si contraddicono l’un con l’altro […] Sembra un enorme lavoro di copiatura o, quando va bene, di parafrasi: di Heidegger, di Jung […]. Arrivo a domandarmi se non voglia farsi scoprire. Ormai trascrive capitoli interi, con tanto di titolo» (Francesco Bucci, autore del pamphlet Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale, 2011).

Il caso Augias. Nel maggio 2009, quando Disputa su Dio e dintorni, saggio scritto a quattro mani dal laico Corrado Augias e dal teologo Vito Mancuso, è al primo posto nelle classifiche dei libri più venduti in Italia, un docente dell’Università di Trento si accorge che la pagina 246 della Disputa, che ospita le conclusioni di Augias, è identica alla pagina 14 dell’edizione italiana de La creazione, del biologo di Harvard Edward Osborne Wilson, uscito nel 2008. Augias ammette l’errore: non ha letto il saggio di Wilson, ha pescato il brano tra le fonti anonime di Internet «prestando poca attenzione alla fonte di quel passaggio in fase di scrittura».

Primavera 1993, il caso Villani. Un gruppo di professori di filosofia dell’Istituto Suor Orsola Benincasa, di cui è rettore da anni Antonio Villani, filosofo di fama, allievo di Benedetto Croce, riceve le fotocopie di due articoli su Hegel. Uno intitolato «La critica al dover essere di Hegel», pubblicato a firma di Villani nel 1968 sulla prestigiosa Rivista internazionale di filosofia del diritto. L’altro dal titolo «Hegel und das Sollen» del filosofo tedesco Odo Marquard, pubblicato nel 1964 su Philosophisches Jahrbuch . Il primo è la traduzione integrale del secondo. Di lì a poco si scoprì che non era l’unico episodio: il professore si era appropriato altre volte di saggi scientifici altrui, riproducendo fin nelle singole note molti testi di autori tedeschi. Villani diede le dimissioni.