Mario Giordano, Libero 18/7/2015, 18 luglio 2015
CRONACHE DEMENZIALI DAGLI INVIATI SUL FRONTE DEL CALDO
«E se mandassimo un inviato a cuocere un uovo sul cofano dell’auto?». Confesso: è venuta anche quest’idea malsana. Peggio: è venuta a me. Chiedo la clemenza della corte: non ho preso troppo sole, semplicemente sono costretto ormai da settimane a parlare del troppo sole. Più o meno gli effetti sulla mente umana sono gli stessi: si perde lucidità, sudorazione a palla, senso di disorientamento e improvviso vuoto mentale. Scatta il bollino rosso. Delle città a rischio? No, di noi giornalisti tv condannati a parlare delle città a rischio. Perdonateci ma non sappiamo più che cosa inventarci per raccontare ai telespettatori che, essendo luglio, è meglio non uscire con il cappotto perché fa calduccio. Sento già nelle orecchie la vostra domanda: perché lo fate? Vi potrei dire perché funziona. Perché il caldo d’estate, come il freddo d’inverno, in Tv va come il pane. Perché è sempre il servizio più seguito, quello che fa raggiungere i picchi d’ascolto. Perché in fondo è come quando ci si sente al telefono o ci si incontra sull’ascensore («Come va?», «Eh oggi si suda»), il tempo sarà una banalità ma è di quello che parla la gente. Ma non è vero. Noi ci occupiamo del caldo perché siamo degli inguaribili masochisti e amiamo passare i pomeriggi a tormentarci l’un altro: l’estate torrida, oggi, come l’affrontiamo? Con le tabelle? Con le curiosità? Con i collegamenti in diretta? Mandiamo uno in piazza Duomo con le braghette corte? Usciamo a Torino? Magari a Genova? Classiche intervista su «come ha dormito stanotte»? I soliti anziani sulla panchina? La mamma con il passeggino che dice «meglio evitare le ore centrali»? L’operaio con il martello pneumatico che si asciuga la fronte? C’è qualcuno che ci fa vedere un termometro a Bologna? Meglio Firenze? Mare o montagna? Ad Asiago fa fresco? E in spiaggia come stanno? Come voi capite sono domande fondamentali. Ne va del nostro destino. Per questo ci spremiamo le meningi. Fin troppo. Alla fine, infatti, per noi il vero tormento d’estate non è il caldo, ma parlare del caldo. Le notti insonni, le zanzare, l’afa soffocante, il muro di umidità sono bazzecole di fronte all’eterno interrogativo che coglie il giornalista televisivo alla riunione del mattino: e il caldo, oggi, come lo affrontiamo? C’è sempre qualcuno che pensa di essere originale e con aria di quello che la sa lunga butta lì: «Potremmo fare il servizio sul 118». Ecco sì, potremmo fare il cinquantaduesimo servizio sul 118, il settantaquattresimo servizio sui centri-commerciali-presi-d’assalto-perché-hanno-l’aria-condizionata, l’ottantaduesimo servizio su al-mare-però-ci-si-diverte-e-si-può-fare-il-bagno, il novantacinquesimo su fa-caldo-d’accordo-ma-è-meglio-se-non-vi-buttate-nelle-fontane-del-Bernini. Oppure potremmo chiedere i consigli dell’esperto, che per la centocinquantesima volta ricorderà che a pranzo anziché polenta e cinghiale sarebbe preferibile mangiare frutta e verdura, che è meglio bere acqua piuttosto che cognac misto a whiskey, e che non sarebbe una pessima idea vestirsi un po’ leggeri. Informazione molto utile, si capisce, caso mai qualcuno avesse intenzione di andare a zonzo in pieno luglio con berretto e guanti di lana. Mi appello ancora una volta alla clemenza della corte e confesso che mi sono macchiato di tutti questi crimini efferati nei confronti del buon senso. Personalmente (ma non so se può valere come attenuante) al centocinquantesimo servizio con i consigli degli esperti ho detto basta: interrompendo la riunione di redazione con un liberatorio e fantozziano «i consigli degli esperti sono una cagata pazzesca», ho minacciato tremende punizioni al riguardo. «Il prossimo che suggerisce i consigli dell’esperto lo mando a far l’isobara nel meteo di Giuliacci»,ho proclamato, consapevole dei rischi cui andavo incontro. Le proposte successive, infatti, sono state: «Mandiamo una ragazza a vedere se l’asfalto bollente si scioglie sotto i suoi tacchi» e, appunto, «Mandiamo un ragazzo a cuocere l’uovo sul cofano dell’auto». Quest’ultima idea, lo dico sempre nella speranza di ottenere qualche attenuante, non è nuovissima. L’abbiamo scoperta in una Settimana Incom in bianco e nero, segno evidente che i servizi sul caldo si facevano già negli anni Cinquanta. Come vedete, anche da questo punto di vista, in Italia non cambia nulla: mentre sto scrivendo alzo gli occhi e vedo su Rainews24 una lunga intervista a un dermatologo di Tor Vergata sull’appassionante tema: «Come difendersi dai raggi solari». Starà dicendo di mettersi la crema? O di stare sotto l’ombrellone? L’altra sera, dopo una giornata passata a sudare in mezzo al caldo (cioè in mezzo ai servizi sul caldo), appena tornato a casa ho detto a mia moglie: «Hai visto il telegiornale?». E lei: «Sì, fino ai servizi sul caldo, poi ho cambiato canale». Ci sono rimasto male. Posso sperare che voi, gentile tribunale dei lettori, siate più comprensivi? Nel frattempo vi lascio, perché, ovviamente, devo studiare il modo in cui stasera mi occuperò del picco di calore in quest’estate torrida. E temo che in redazione stiano meditando la vendetta. Servizio sul caldo: abbiamo mandato un direttore a cuocere sul cofano di un’auto...