Sergio Romano, Corriere della Sera 18/7/2015, 18 luglio 2015
SAVORGNAN, UN ESPLORATORE FRIULANO ALLA SCOPERTA DELL’AFRICA
Sto leggendo un libro sul Congo. Ma com’è questa storia di Pietro Savorgnan di Brazzà, al cui nome è dedicato l’aeroporto del Friuli, che sul finire dell’Ottocento, con le sue esplorazioni e scoperte, regalava alla Francia il Congo francese e il Gabon ricchissimi di materie prime e minerali preziosi?
Vittorio Dinetto
Caro Dinetto,
Non è facile facile attribuire una nazionalità a Pietro Savorgnan di Brazzà. Nacque da un nobile friulano a Castelgandolfo, residenza papale, nel 1854, e crebbe negli Stati pontifici. Aveva quindici anni quando suo padre lo affidò a un amico, l’ammiraglio Louis de Montaignac, per avviarlo a una carriera militare nella Marina francese. Ma l’esperienza sul mare gli schiuse le porte dell’Africa in un momento in cui i governi europei, riuniti a Berlino per una grande conferenza internazionale, si stavano spartendo il continente nero. Savorgnan fece tre spedizioni, fra il 1875 e il 1905, viaggiò particolarmente nelle zone del Congo e del Gabon, dimostrò di avere un carattere alquanto diverso da quello strettamente utilitario e fondamentalmente razzista di altri esploratori del suo tempo. Amava l’Africa, la sua arte, le sue tradizioni e non era fatto per andare d’accordo con certe politiche coloniali del suo tempo. Ebbe qualche dissenso con le autorità francesi e decise di stabilirsi in Algeria, ma interruppe il viaggio a Dakar, in Senegal, dove morì nel 1905. In Africa esiste un Paese, il Congo Brazzaville, che porta il suo nome e ospita dal 2006 le sue spoglie.
Non è facile quindi attribuire una nazionalità a Savorgnan di Brazzà. Ma se un uomo appartiene al Paese in cui è maggiormente amato e ricordato, questo avventuroso e generoso esploratore è al tempo stesso congolese e friulano. In Congo è una sorta di padre della Patria. In Friuli è una delle maggiori attrazioni del castello, nella provincia di Udine, da cui la famiglia trae il suo nome. Gli eredi si chiamano Pirzio Biroli perché questo è il nome che una delle figlie di Pietro assunse con il matrimonio. Il pronipote Ditalmo, morto nel 2006, era ufficiale di cavalleria allo scoppio della guerra nel 194o. Partecipò alla Resistenza, fu segretario di Ferruccio Parri durante la sua breve presidenza del Consiglio nel 1945, e dedicò buona parte della sua vita all’Africa come scrittore, professore e diplomatico della Commissione di Bruxelles. Non è sorprendente, quindi, che il castello di Brazzà ospiti oggi una collezione di arte africana e di cimeli appartenenti all’epoca delle grandi esplorazioni. I figli di Detalmo, Corrado e Roberto (il primo funzionario della Commissione, il secondo architetto), ne sono i custodi.
Aggiungo che il castello merita di essere visitato per un’altra ragione. Qui è vissuta sino alla sua morte, nel 2010, Fey von Hassell, moglie di Detalmo. Si erano conosciuti a Roma quando il padre di lei, Ulrich von Hassell, era ambasciatore di Germania a Roma, e si erano sposati nel 1940. Richiamato a Berlino da un regime che non amava gli ambasciatori troppo indipendenti, Hassell ebbe subito rapporti con gli ambienti antinazisti che si stavano formando nel Paese e partecipò alla congiura del 20 luglio del 1944. Se la congiura avesse avuto successo, sarebbe diventato, probabilmente, ministro degli Esteri. Ma il complotto fallì e Hassell fu arrestato, processato e impiccato con gli altri «complici» nel carcere berlinese di Plötzensee. La vendetta di Hitler colpì i parenti dei congiurati e le SS arrestarono in quei giorni non meno di cinquemila persone. Fey fu inviata in un campo di concentramento tedesco e attraversò, di campo in campo, durante la rotta della Wermacht, buona parte della Germania sino al Brennero, dove venne liberata. I bambini (il primo aveva tre anni, il secondo due) furono strappati alla madre e affidati a una famiglia di contadini tirolesi dove Fey li ritrovò fortunosamente qualche mese dopo la fine della guerra. La storia è raccontata in un libro autobiografico, apparso in due edizioni, di cui l’ultima, pubblicata dall’Altana nel 2000, si intitola I figli strappati.