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 2015  luglio 18 Sabato calendario

CHI VINCE CON L’ACCORDO

Vicino ai minimi degli ultimi tre mesi. Il petrolio Wti (il benchmark americano) ha concluso la settimana poco sopra i 50 dollari al barile, mentre il Brent ha chiuso a 57,14 dollari. Merito dell’accordo sul nucleare iraniano raggiunto lunedì 13, che prevede l’eliminazione delle sanzioni, dopo 36 anni di isolamento, e che fra gli effetti principali ha quello di aumentare l’offerta globale di greggio, in uno scenario di ripresa globale debole.
Nei 12-18 mesi successivi alla rimozione dell’embargo le esportazioni dall’Iran sono stimate tra 300 e 500 mila barili al giorno. Riguardo ai tempi, l’Unione europea valuterà, secondo quanto affermato dal vicepresidente della Commissione europea, Maros Sefcovic, l’eliminazione dell’embargo sulle esportazioni di Teheran fra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. Fin dove proseguirà la discesa dei prezzi? Secondo la maggioranza degli esperti l’effetto sarà rilevante nel breve, poi molto dipenderà dal ritmo della ripresa economica. Per gli specialisti di Bank of America-Merrill Lynch l’offerta proveniente dall’Iran implica una revisione al ribasso delle stime precedenti di 5-10 dollari al barile, con una proiezione di medio periodo per il Brent compresa fra 60 e 80 dollari. Secondo gli analisti di Morgan Stanley, in uno scenario a 12-18 mesi, il Wti dovrebbe essere scambiato sotto 70 dollari al barile nel 2016, mentre per il Brent la previsione è 72 dollari, con il rischio però di dover essere corretta.

A beneficiare di più del trend discendente del petrolio saranno le compagnie di raffinazione, che vedranno i loro margini salire.
Per le società europee la combinazione di prezzi del greggio più bassi ed euro debole ha già dato i suoi frutti nel secondo trimestre. Secondo gli analisti di Barclays «i margini di raffinazione hanno battuto le attese del mercato, toccando i massimi dal terzo trimestre 2008 e trainando la crescita degli utili». Fra le società più avvantaggiate da questa tendenza ci sono Saras e Motor Oil. A conferma di questa tesi, il gruppo guidato da Massimo Moratti venerdì 17 ha fatto un balzo del 9,7%, toccando quota 1,92 euro. Per gli specialisti della banca d’investimento britannica merita il rating positivo (overweight) con un prezzo obiettivo di 2,20 euro, che implica un potenziale di rialzo di un altro 14,5%. Il bilancio del secondo trimestre, che sarà pubblicato il 13 agosto, dovrebbe evidenziare, in base alle loro proiezioni, utili operativi per 135 milioni, contro la perdita dello scorso anno, in crescita del 55% rispetto al periodo gennaio-marzo. Il margine lordo di Saras è stimato a 5,2 dollari al barile, inferiore a quello di Motor Oil (7,2) ma superiore a Hellenic Petroleum (3,7). Nel caso della società greca, quotata anche a Francoforte e Wall Street, il target price è 10,50 euro, del 23,5% superiore alle quotazioni attuali. Negativo quindi il giudizio su Hellenic Petroleum, mentre è neutrale sulla compagnia finlandese Neste, che è valutata 25,50 euro, di poco superiore ai prezzi recenti sul listino di Helsinki (24,77 euro).

Sono ottimisti su Saras anche gli specialisti di Equita sim, che sempre nel settore petrolifero, fra le società italiane che possono beneficiare maggiormente della ripresa delle attività commerciali e degli investimenti per l’ammodernamento dell’industria petrolifera iraniana, mettono in evidenza Saipem , Tenaris e Danieli .

Nel caso di Eni gli analisti, che hanno assegnato all’azione il rating hold (mantenere), con prezzo obiettivo 17 euro, ritengono che ci saranno effetti sia positivi che negativi. Da un lato il gruppo guidato da Claudio Descalzi potrà ottenere il rimborso dei crediti commerciali incagliati (valutati 800 milioni) a causa dell’embargo, di solito rimborsati tramite forniture petrolifere, e potenzialmente potrà fare nuovi investimenti in Iran. Dall’altro risentirà del calo previsto del prezzo del Brent nel medio termine, a causa del ritorno sulla scena di un produttore che detiene il 13% delle riserve Opec e il 10% di quelle mondiali. Gli specialisti della sim sottolineano che Teheran, dopo l’introduzione delle sanzioni, ha perso oltre 1 milione di barili al giorno in termini di produzione, che potrebbero essere solo in parte recuperati grazie agli investimenti delle compagnie estere nel settore.

Fra le compagnie di servizi che potranno avvantaggiarsene, gli analisti di Bank of America-Merrill Lynch mettono in evidenza Saipem , date le relazioni storiche dell’azienda con l’Iran, che dovrà investire massicciamente per modernizzare la sua industria petrolifera. Fra le società di raffinazione sono ottimisti in particolare su Tupras (Turchia).

Per i big oil la partita diventerà più interessante nel lungo termine, anche se nel breve ci sono compagnie meglio posizionate rispetto ad altre, come Cnpc e Simopec, che sono attualmente i soli partner di società iraniane attive nel Paese. Total , Eni , Statoil e Repsol operavano invece tramite contratti di buy-back prima delle sanzioni del 2011. Fra queste le più esposte sono Total (South Pars 2&3, Doroud) ed Eni (South Pars 4&5, Darkhovin). Pars comprende uno dei giacimenti offshore più redditizi del Golfo Persico, che offre inoltre grandi opportunità, grazie alla possibilità di ulteriori connessioni con la terraferma.

Allargando lo sguardo oltre il settore petrolifero, gli esperti della banca d’affari americana sottolineano i vantaggi che dalla rimozione dell’embargo possono derivare alle società che hanno già un’esposizione al Paese, come Savola Group (Arabia Saudita) del settore consumi, e l’operatore di tlc Mtn. Ma non solo. Anche i gruppi immobiliari di Dubai risentiranno dell’aumento della domanda da parte di investitori iraniani, così come le compagnie automobilistiche, in prima linea quelle turche (Tofas e Dogus Otomotiv) che ne trarranno beneficio nel breve termine, mentre nel lungo periodo sarà la volta dei gruppi europei, come Renault e Peugeot.