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 2015  luglio 18 Sabato calendario

LA BANCA DELLE BANCHE

Il cambio al vertice della Cassa Depositi e Prestiti, fortemente voluto dal presidente del consiglio Matteo Renzi, anche per dare una nuova missione alla Cdp ha aperto il dibattito su quale sia il modello ideale cui dovrebbero guardare Claudio Costamagna e Fabio Gallia, nominati rispettivamente presidente e amministratore delegato della Cassa al posto di Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini.
In molti, anche alla luce delle indiscrezioni secondo le quali Renzi spingerebbe la Cdp ad aumentare la propria esposizione all’equity, investendo in aziende strategiche per il Paese, come potrebbe essere Telecom Italia , hanno indicato in Kfw, la Cdp tedesca, l’esempio da seguire, viste le partecipazioni da quest’ultima detenute in Deutsche Telekom (17,4%) e Deutsche Post (21%). Ma, bilanci alla mano, il Kreditanstalt fuer Wiedereufbau (questo il nome dell’istituzione fondata nel 1948 per gestire gli aiuti del Piano Marshall) è tutt’altro che una holding di partecipazione o qualcosa di simile a un fondo sovrano. Al contrario, Kfw assomiglia molto a una banca, pur non essendo giuridicamente un istituto di credito (così come la stessa Cdp), e per questo motivo dunque non soggetta né alla vigilanza della Bce né a quella della Bundesbank né tantomeno alle regole sul capitale di Basilea 3. Anzi, ci si potrebbe azzardare a dire che per il sistema tedesco la Kfw è una sorta di banca centrale ombra, che raccoglie denaro sul mercato per prestarlo poi ad altre banche (prevalentemente tedesche).
Grazie alla garanzia del governo federale sulle sue passività, la cassa depositi tedesca, che per statuto non distribuisce profitti e non è soggetta a tassazione, può fare raccolta fondi sul mercato internazionale dei capitali utilizzando lo stesso rating della Germania. Una possibilità che la Kfw ha ampiamente sfruttato in questi anni diventando, nonostante i rendimenti offerti non siano particolarmente allettanti, uno degli emittenti più richiesti sul mercato. Secondo i dati riportati nel bilancio 2014, le emissioni a medio-lungo termine di Kfw denominate in varie divise erano pari a 375,7 miliardi di euro, cui si aggiungono altri 28,2 miliardi di obbligazioni a notes con scadenze inferiori a un anno. Un’esposizione che, nonostante la cassa tedesca operi sotto lo stretto controllo del governo di Berlino (fino al 2014 presidente del supervisory board era il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, che oggi ne è comunque vicepresidente), non viene contabilizzata nel debito pubblico tedesco. Secondo i principi di Esa 95, il manuale contabile che integra i criteri di Maastricht, il debito delle società pubbliche come Kfw, che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono il 50,1% dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, sono infatti escluse dal computo generale. In questo modo la Germania riesce a mantenere il rapporto tra il debito pubblico e il pil sotto la soglia del 100%, avendo allo stesso tempo un’istituzione capace di prestare liquidità a basso costo anche a quegli istituti, come le «Landesbanken», che nei momenti di tensione sul mercato interbancario potrebbero essere più vulnerabili. Quei 403 miliardi raccolti di Kfw sui mercati internazionali sono infatti in gran parte impiegati in prestiti erogati al sistema bancario. Secondo quanto riportato nel bilancio 2014, più della metà dell’attivo del Kreditanstalt fuer Wiedereufbau, circa 279 miliardi di euro, è infatti rappresentato da prestiti e garanzie offerti ad altre banche, di cui 75 miliardi destinati alle Landesbanken (l’attuale ceo di Kfw, Ulrich Schröder, è cresciuto professionalmente in una di esse: la Westdeutsche Landesbank Girozentrale, meglio nota WestLB). In base agli accordi presi tra il governo tedesco e la Commissione europea nel luglio del 2001, alla fine del 2015 questi istituti, il cui controllo è nelle mani dei governi regionali e che sono stati tra i più colpiti dall’esplosione dalla crisi finanziaria post-Lehman, perderanno la garanzia pubblica sulle loro emissioni. Ma proprio grazie a questo «subsidy funding» prestato dal Kreditanstalt fuer Wiedereufbau, che come visto gode della garanzia della Repubblica federale tedesca, le Landesbanken potrebbero avere meno problemi di quanti ne avrebbero senza tale supporto del sistema Paese.

A differenza del Kfw, la Cassa Depositi e Prestiti ha invece un’esposizione di gran lunga inferiore nei confronti del sistema bancario. Secondo il bilancio 2014 della Cdp i crediti nei confronti di istituti di credito rappresentano solo l’8% dell’attivo contro il 57% della cassa tedesca. Nonostante l’accento posto in questi anni dai media sul ruolo di grande azionista pubblico rivestito dalla Cdp, le partecipazioni rappresentano solo il 9% dei 349 miliardi di attivo (con un’incidenza dunque superiore al 6% del Kfw, additato da molti come modello di Stato imprenditore). Anche per una diversa composizione del passivo, con i 252 miliardi di raccolta postale (prevalentemente a breve termine, essendo in gran parte depositi a vista) che pesano per circa il 72% del totale, la Cdp, nonostante la diversificazione compiuta in questi anni, continua a essere impegnata in prevalenza nel finanziamento dello Stato e degli enti locali.

Questo non significa che la missione della Cassa non possa mutare. Anche se bisogna ancora capire in che direzione voglia puntare Renzi e il nuovo vertice formato da Costamagna e Gallia. La sensazione è che il peso delle partecipazioni, anche attraverso fondi e veicoli partecipati e promossi dalla Cdp, possa aumentare. Ma c’è chi, pur non avendo responsabilità di governo o operative, ha proposto soluzioni alternative. In un report pubblicato lo scorso giugno, per esempio, il responsabile della ricerca azionaria di Mediobanca Securities, Antonio Guglielmi, ha proposto di utilizzare la Cassa Depositi e Prestiti, le cui passività come nel caso della Kfw sono garantite dallo Stato ma escluse dal computo del debito pubblico, per fornire le garanzie ai titoli che potrebbero essere emessi da un’eventuale bad bank capace di farsi carico dello stock di crediti problematici delle banche italiane. Una soluzione per certi versi non dissimile da quella tedesca, dove proprio il Kreditanstalt fuer Wiedereufbau agisce da stabilizzatore del sistema creditizio nazionale. «Kfw fa leva sulla tripla A tedesca per raccogliere fondi a un tasso basso e poi reimmetterli sul mercato interbancario tedesco», scriveva lo stesso Guglielmi in un report del febbraio 2012, «di conseguenza le banche tedesche sono meno vulnerabili a potenziali tensioni che nascono sui mercati interbancari, a differenza della maggior parte delle altre banche europee». Insomma, secondo l’analista di Mediobanca Securities, «questo diventa un modo che la Germania ha di fornire un’implicita garanzia dello Stato al suo sistema bancario attraverso la liquidità immessa tramite Kfw».