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 2015  luglio 18 Sabato calendario

FUORI DAL TUNNEL SE...

Nell’ultimo Bollettino Economico, pubblicato venerdì 17, la Banca d’Italia ha rivisto al rialzo le stime dei crescita sul pil italiano, allo 0,7%, dallo 0,4% dell’edizione di gennaio, per il 2015, e all’1,5% dall’1,2% per il 2016. Un miglioramento, riporta il documento di Via Nazionale, legato soprattutto all’aumento della domanda di investimenti e all’evoluzione più positiva del contesto esterno, quest’ultimo «in larga misura riconducibile agli effetti delle decisioni di politica monetaria, all’aumento del commercio mondiale, al deprezzamento del cambio, e alla riduzione dei tassi».
L’aumento degli investimenti interni nella prima parte dell’anno si spiega soprattutto con la forte ripresa del mercato europeo dell’auto (dove i volumi di vendita a giugno sono aumentati del 14%, vedere altro articolo a pagina 24), di cui si sta avvantaggiando molto il gruppo Fca . «Tuttavia cominciano a moltiplicarsi i segnali di progressiva diffusione della ripresa, che non sembra più limitata ad alcuni specifici settori come appunto l’auto», spiega Stefania Tomasini, responsabile di analisi e previsioni sull’economia italiana della società di consulenza Prometeia.

Nel frattempo l’offerta di credito da parte delle banche di credito dà anch’essa segni di ripresa, come ha dichiarato giovedì 16 a MF-Milano Finanza Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit : «Stanno aumentando gli impieghi.
Giugno è stato il primo mese di crescita delle erogazioni a livello di sistema dopo un lungo periodo di variazioni negative». Le parole di Ghizzoni trovano riscontro nei numeri della stessa Banca d’Italia, secondo la quale il credito alle imprese manifatturiere è aumentato dello 0,4%.

L’Italia sta finalmente uscendo dal tunnel? Stavolta si potrebbe davvero dire che l’uscita è vicina. Purtroppo i binari sui quali viaggia (non si può ancora dire corre) l’Italia Express non sono ancora quelli della Tav. È infatti abbastanza lungo l’elenco dei caveat che Via Nazionale reputa necessari perché la ripresa effettivamente acceleri. Anzitutto gli stimoli monetari della Bce devono continuare a indebolire l’euro, dato il peso che l’export ha sul pil italiano. Ma la politica espansiva di Draghi deve continuare a farsi sentire anche sui rendimenti a lungo termine, leggi spread tra Btp e Bund, attualmente intorno a 120 punti base, e sulle condizioni del credito. Ma deve rafforzarsi anche la domanda estera, «soprattutto quella proveniente dai partner europei» recita il Bollettino, e il prezzo del petrolio deve restare agli attuali livelli, vista la sua influenza sul potere d’acquisto delle famiglie italiane e sul costo dell’energia per le aziende.
Infine, ma assolutamente non in ordine di importanza, la politica fiscale deve mantenere un atteggiamento neutrale, in linea con i programmi del governo.

Perché gli economisti di Via Nazionale ritengono che la ripresa italiana sia ancora molto fragile e soggetta a un mix di fattori su cui il paese non ha alcuna influenza? In buona sostanza perché l’economia italiana non può affidarsi alla domanda interna, soprattutto quella di beni di consumo. Il motivo è che l’Italia e il governo Renzi ancora oggi non possono permettersi, come evidenziato dalla Banca d’Italia, un deciso taglio delle aliquote fiscali, il solo in grado di rimettere un po’ di soldi in tasca agli italiani. C’è sempre infatti da fare i conti con la montagna del debito pubblico italiano, oggi a quota 2.218 miliardi di euro, il 133% del pil. Certo, come sottolinea Anna Maria Grimaldi, dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo , «la spesa per interessi è scesa dal 3,8% del pil nel 2010 al 3,2% nel 2015». Si tratta di un risparmio di circa 10 miliardi di euro. Nel frattempo l’avanzo primario, al lordo degli interessi, è passato dall’1% del 2010 al 3,6% previsto per quest’anno.

Di conseguenza, il saldo strutturale (corretto per gli effetti della congiuntura) dei conti pubblici è passato dal 3,3% nel 2010 allo 0,7% del 2015. Se il pil accelera come stimato da Via Nazionale, per lo Stato italiano a fine 2016 il pareggio di bilancio non sarà più un miraggio.

Eppure, sul problema del debito pubblico non è possibile abbassare la guardia, a meno di una sensibile riduzione grazie dal denominatore del rapporto debito/pil, la variabile alla quale i mercati guardano con più attenzione. Lo testimonia quanto accaduto allo spread Btp-Bund in occasione della burrasca greca: è bastato che la crisi del debito di Atene spingesse il Paese quasi alla porta di uscita dall’Eurozona perché lo spread superasse quota 160 punti base. Due giorni prima era a 120. Ora, per il momento, l’incendio greco, se non proprio estinto, sembra essere stato almeno circoscritto, con l’approvazione da parte del Parlamento di Atene mercoledì 15 (e del Bundestag il venerdì successivo) delle riforme chieste a Tsipras dalle istituzioni europee, l’estensione del prestito ponte da 7 miliardi di euro da parte dell’Eurogruppo e l’innalzamento (per una settimana) di 900 milioni di euro del tetto alle erogazioni di emergenza della Bce alle banche greche. Queste ultime, che però non è detto che riaprano i battenti lunedì 20, riporteranno una parvenza di normalità nel Paese ellenico. Ma tutto questo non vuol dire affatto che la terza crisi del debito greco appartenga ormai al passato. Tante cose possono ancora andare storte, soprattutto se Tsipras dopo avere di nuovo vinto alle elezioni, che molti danno per sicure da settembre in poi, dovesse chiedere all’Europa di alleggerire i termini dell’accordo del 12 luglio. «Una nuova crisi della Grecia potrebbe ulteriormente rafforzare i movimenti antieuropeisti in diversi Paesi d’Europa, con conseguenze oggi imprevedibili», aggiunge Tomasini.

Quindi è necessario chiedersi se l’Italia, la più grande delle economie periferiche dell’Eurozona, può sentirsi al sicuro dal rischio che gli sconquassi legati a un’eventuale Grexit in qualche parte di Eurolandia non si ripercuotano, tramite i tassi di interesse sul debito pubblico e alle imprese, su reddito e occupazione. Sottolinea Grimaldi: «Lo stato dei conti pubblici nel 2015 non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello del 2011. La situazione si è stabilizzata, ma adesso è di vitale importanza aumentare le potenzialità di crescita dell’economia. E questo non è ottenibile se non con le riforme strutturali». Che è l’ultimo punto sottolineato dal Bollettino della Banca d’Italia: se vuole accelerare la crescita, il governo deve andare avanti con le riforme.

In altri termini, se, come stima Prometeia, il rapporto debito/pil sta invertendo la tendenza e comincerà a calare dal 2017, al 131%, questa non è affatto una garanzia per il futuro, soprattutto se il contesto internazionale è ancora costellato da tanti focolai di instabilità.

Ecco perché diventa essenziale, come più volte sostenuto da MF Milano Finanza, ridurre il monte del debito, e quindi l’onere complessivo degli interessi, attraverso una serie di privatizzazioni di imprese pubbliche e di beni del patrimonio demaniale. E la ripartenza dell’economia potrebbe rendere l’operazione meno difficile di quanto si è rivelata sinora. Spiega Tomasini: «È una mossa molto opportuna. Il problema è che in Italia sono rimasti pochi beni pubblici rapidamente alienabili, come le aziende. Certamente c’è il patrimonio demaniale, ma la poco brillante situazione del mercato immobiliare negli ultimi anni non solo rendeva difficile vendere o conferire asset in veicoli finanziari, ma esponeva la pubblica amministrazione al rischio di potenziali perdite» E tuttavia oggi «la ripresa del mercato del real estate potrebbe rendere più semplici queste operazioni. Probabilmente», conclude Tomasini», questo potrebbe essere il momento giusto per lavorarci sul serio».