Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 18/7/2015, 18 luglio 2015
TEHERAN E RIAD COSTRETTE A UN’INTESA
Alla fine del Ramadan hanno pregato insieme alla Mecca re Salman e il capo di Hamas Khaled Meshal, un tempo protetto di Damasco e dell’Iran. Un evento che segna il riavvicinamento tra Riad e il movimento palestinese di Gaza sostenuto da Teheran. Arabia Saudita e Iran sono senza dubbio potenze rivali, da anni si fanno la guerra per procura in Siria, in Iraq, in Yemen, ma forse saranno costrette a cooperare per evitare il collasso del sistema Golfo-Medio Oriente dove l’Europa deve trovare ancora una strategia comune.
L’Arabia Saudita, il più oscurantista degli Stati islamici, è la roccaforte del sunnismo ma anche la nazione musulmana con il più antico patto di collaborazione con gli Stati Uniti firmato tra Ibn Saud e Roosevelt nel 1945 pochi giorni dopo Yalta. L’Iran, dopo la rivoluzione islamica del 1979, si è presentato come il bastione dello sciismo e dell’anti-americanismo. I sauditi adesso, dopo l’accordo di Vienna, si sentono traditi da Washington ma le cose non stanno del tutto così.
Sulla rivalità tra Riad e Teheran in Medio Oriente si giocano nuovi equilibri da guerra fredda e calda ma anche affari colossali. Lo stesso scenario secondo il quale, dopo Vienna, gli americani e in parte l’Occidente avrebbero fatto una scelta di campo a favore degli sciiti, non è del tutto esatto: è più probabile che prevarrà la consumata, e forse logora, strategia del “doppio contenimento” dei due campioni islamici dell’integralismo, come accadde durante la guerra tra Iran e Iraq negli anni 80, quando si armava Saddam Hussein e allo stesso tempo si voleva evitare il tracollo della Repubblica islamica. Il prezzo di quella politica allora fu un milione di morti, i costi dei conflitti in corso sono già centinaia di migliaia di vittime e milioni di profughi.
Nessuno dei due, tra Iran e Arabia Saudita, uscirà vincitore dal confronto. Appare folgorante una frase riportata dal Financial Times del defunto principe Saud Feisal al segretario di Stato Usa John Kerry: «Daesh è la nostra risposta sunnita al vostro appoggio in Iraq al Dawa sciita dopo la caduta di Saddam». Ma la stessa Riad è il bersaglio sempre più frequente degli attentati dell’Isis; all’interno e fuori si moltiplicano i dubbi sull’efficacia della politica estera saudita, intossicata dalle sue involuzioni con i jihadisti, mentre la guerra in Yemen, dove gli Usa hanno dato carta bianca contro i ribelli sciiti Houthi, non va affatto bene. Neppure l’Iran sta vincendo la partita: la guerra in Iraq, il sostegno a Bashar Assad in Siria e agli Hezbollah libanesi stanno drenando miliardi di dollari. E la prospettiva, dopo l’accordo sul nucleare, di diventare sul campo i “soldati degli americani” al posto dei marines contro il Califfato, non è poi ritenuta così attraente dai falchi ultraconservatori che contestano l’intesa con il Cinque più Uno.
In realtà l’accordo di Vienna forse è arrivato troppo tardi per frenare la corsa nucleare nella regione, ma coincide perfettamente con gli interessi economici occidentali. Mentre si negoziava a Vienna, l’Arabia Saudita ha speso miliardi di dollari sul mercato delle tecnologie nucleari. Tra i beneficiari della generosità saudita c’è la Francia con cui Riad ha firmato un accordo da 12 miliardi di dollari per due reattori dell’Areva.
Anche i russi hanno siglato un accordo di cooperazione sul nucleare e intese simili sono state raggiunte con Corea del Sud, Cina, Argentina. In una dozzina d’anni Riad ha l’obiettivo di costruire 16 reattori nucleari. Lo scopo, dicono i sauditi, è superare con l’energia nucleare e solare la dipendenza dal petrolio. Tutto è assai ragionevole e lungimirante. Ma sono più o meno gli stessi argomenti che l’Iran ha usato per sviluppare il programma nucleare. Ma a differenza dell’Iran, che ha sempre insistito di avere un nucleare “pacifico”, Riad ha fatto capire che quando si parla di atomica tutte le opzioni sono possibili.
Questi due campioni degli opposti integralismi rischiano di andare a fondo insieme, prosciugati e destabilizzati da guerre inconcludenti, assediati dal Califfato e con qualche problema di cassa. Non è con questi prezzi del petrolio che si possono fare bilanci attendibili, tanto è vero che i sauditi, in vista di un vertice Opec-Mosca del 30 luglio, avrebbero concordato con i russi che i tagli alla produzione non sono necessari. Come in passato Teheran e Riad ripartiranno da qui, dal petrolio, per trovare un accordo ed evitare il collasso del Golfo.