Valeria Pacelli, Il Fatto Quotidiano 18/7/2015, 18 luglio 2015
DOPO SEI ANNI, GENCHI VIENE REINTEGRATO: TORNERÀ IN POLIZIA
Dopo sei anni, Gioacchino Genchi, il perito informatico, può tornare a fare il proprio lavoro e indossare la divisa. Il Consiglio di giustizia amministrativa, che in Sicilia è organo di appello del Tar, ha stabilito che deve essere reintegrato nel corpo di polizia dal quale era stato destituito nel 2009 per scelta del ministero dell’Interno, guidato in quegli anni da Roberto Maroni.
Il tribunale ha così confermato quanto deciso in primo grado: già il 24 luglio 2014 il Tar aveva disposto l’annullamento della destituzione e di tutti i provvedimenti disciplinari e cautelari adottati nei confronti del vice-questore, in servizio da 27 anni. Per molto tempo Genchi è stato in aspettativa, prestato alle procure e ai tribunali per svolgere delicate consulenze tecnico-informatiche.
Ha lavorato come consulente con Giovanni Falcone, ma anche più di recente, con l’ex pm di Catanzaro, Luigi de Magistris, in indagini delicate come “Why Not”: entrambi sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Roma a un anno e tre mesi con l’accusa di abuso d’ufficio per aver acquisito utenze telefoniche di alcuni parlamentari. Questa condanna, però, arriva nel 2014, quando ormai Genchi aveva ricevuto non uno, ma tre provvedimenti disciplinari: la prima sospensione arrivò perché il perito discusse su Facebook con il giornalista Gianluigi Nuzzi, all’epoca a Panorama, che gli aveva dato del bugiardo.
Poco dopo arriva un secondo provvedimento per un’intervista. Alla fine la destituzione dopo che aveva risposto all’ex premier Silvio Berlusconi, che nel 2009 prediceva: “Sta per uscire uno scandalo che forse sarà il più grande della storia della Repubblica. Un signore ha messo sotto controllo 350 mila persone”. Quel signore era Genchi e il riferimento era al lavoro fatto a Catanzaro per De Magistris. Il nostro, che intanto era già sospeso dal servizio, quando Berlusconi fu colpito da una statuetta lanciata da Massimo Tartaglia, commentò durante un congresso di Italia dei Valori: “Dopo l’outing della moglie di Berlusconi e il fuorionda” di Gianfranco Fini a Pescara “provvidenziale è arrivata quella statuetta che miracolosamente ha salvato Berlusconi dalle dimissioni che sarebbero state imminenti”. Gli costò la destituzione per aver offeso “l’onore e il prestigio del Presidente del consiglio”, come recitava il provvedimento. Nota a margine: Berlusconi non ha mai sporto querela.
Il ministero dell’Interno dell’epoca chiese, comunque, la destituzione. Dopo – passati gli anni, cambiati i ministri – ma l’orientamento è lo stesso: dopo la sentenza di primo grado che ha annullato la destituzione di Genchi, l’attuale inquilino del Viminale, Angelino Alfano, ha fatto opposizione.
Già in primo grado, peraltro, il Tar aveva stabilito che “si palesa nel provvedimento sanzionatorio addirittura un intento persecutorio nei confronti del ricorrente, laddove si usa l’avverbio ‘pervicacemente’ rispetto ad una condotta nemmeno ascrivibile con certezza al funzionario; ad avviso del Collegio, è invece l’Amministrazione che ha mostrato una eccezionale pervicacia a procedere disciplinarmente nei confronti del proprio dipendente”.
Concetto ribadito in secondo grado: “risulta erronea l’affermazione dell’Amministrazione secondo cui l’apprezzamento della gravità delle dichiarazioni rese da un soggetto rientri tra le valutazioni discrezionali dell’amministrazione”. In altre parole: ogni appartenente al corpo può esprimere la propria opinione, in quanto sua e non dell’arma tutta. “Se così fosse il diritto fondamentale di cui discutiamo perderebbe di consistenza”.
Così dopo sei anni Genchi potrà tornare al suo lavoro. Se tutto fila liscio, spiega il consulente, “dovrebbero chiamarmi entro 24 ore”.
Se Maroni non ha risposto al Fatto che gli voleva chiedere conto della scelta fatta nel 2009, dal Viminale invece assicurano che la sentenza sarà eseguita. Vedremo.