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 2015  luglio 11 Sabato calendario

RUGBY PRIDE


«Nel mondo del rugby non c’è un’omofobia forte come in altri sport, però è vero che finora abbiamo giocato solo partite amichevoli. I problemi, se ci sono, potrebbero affiorare nel momento in cui dovessimo l’anno prossimo iscriverci alla Serie C». Nelle parole di Stefano Iezzi, 39 anni, ideatore della Libera Rugby due anni fa, presidente oggi e terza linea in campo «fino a quando il mio fisico non implorerà di smettere», c’è parecchio del complicato, solidale ed emozionante universo della prima squadra ovale italiana gay-friendly e inclusiva, aperta cioè ad atleti di ogni orientamento sessuale. In quei concetti c’è il sogno iniziale e ci sono i (costanti) pregiudizi, il gruppo divertente e le offese («ma mai in campo»), c’è l’accoglienza ricevuta dagli All Reds di Serie C nel loro campo all’ex Cinodromo e c’è l’articolo apparso su quel sito ultra-cattolico «che ci insultava pesantemente», ricorda Daniele Michienzi, 25 anni, studente di Economia e pilone di ruolo. «Ma in quelle righe si andava ben oltre», rincara il 38enne capitano Umberto Cesaro, uno dei tre etero del gruppo: gioca terza linea e nella vita si occupa di clownterapia, oltre a essere membro di una compagnia d’improvvisazione teatrale. «Si diceva che la nostra squadra avrebbe minato le anime dei poveri bambini che d’ora in poi inizieranno a giocare a rugby. A quel punto, mentre leggevo incredulo, mi domandai: “ma in che mondo viviamo?”».
Iezzi ebbe l’idea di creare la Libera nel 2013. «Avevo iniziato a giocare con gli All Reds nel 2011, prima per me la palla ovale era solo il Sei Nazioni allo stadio e qualche partita in tivù. Poi, grazie ad alcuni amici, sentii parlare della Union Cup, un torneo riservato alle formazioni europee gay-friendly. A quel punto iniziai a pensare che anche a Roma avremmo potuto formare una squadra». Autotassazione, due allenamenti settimanali, ricerca (difficoltosa) degli atleti, procacciamento (quasi impossibile, sughi Althea a parte) degli sponsor, convocazioni per partite amichevoli (sempre di più), dagli Italian Gaymes ai Mondiali antirazzisti della settimana scorsa: in questi due anni, com’era d’altronde prevedibile – per una realtà prevalentemente omosessuale in un ambito, quello degli sport di squadra in Italia, ancora attanagliato da un’ignoranza ai limiti dell’oscurantismo – ogni passo compiuto in avanti non è stato come quello celeberrimo di Armstrong sulla Luna, ma insomma siamo lì. «Giocando con loro, ho scoperto un mondo prima per me sconosciuto come quello LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali; ndr)», svela Cesaro, la cui fidanzata Cristiana, sempre presente alle partite, è diventata la prima tifosa del XV capitolino. «In virtù di questo ho capito come un omosessuale abbia, ogni santo giorno, la necessità e il coraggio di lottare per sconfiggere e superare le offese e le cattiverie che gli vengono riservate».
«Per fortuna abbiamo creato un gruppo forte, molto unito», spiega il trequarti ala Raffaele Ragini, 23 anni, marketing strategy planner in una multinazionale. «E questo mi e ci dà forza anche se non è stato affatto facile arrivare fin qui». Fin qui vuol dire (anche) all’Arena di Milano, dove un mese fa la Libera Rugby è stata invitata dall’ex ala della Nazionale ovale, Marcello Cuttitta, a un evento rugbistico che vedeva in campo anche ex azzurri ed ex All Blacks. «Lui non solo ha detto bellissime parole su di noi durante la presentazione», ricorda il capitano. «Anche in campo, prima della partita, senza che sapesse che lo stavo sentendo, ha ripetuto ai suoi di evitare anche il minimo sfottò altrimenti se la sarebbero vista direttamente con lui. Le sue parole mi hanno emozionato». Quanto agli sfottò, in spogliatoio come in campo, quelli di Libera ne hanno fatto una parte integrante del loro stare insieme: «Un esempio: in un torneo di beach rugby scoprimmo che esisteva una formazione femminile chiamata Cagne Maledette», ride Cesaro. «Ebbene, da quel giorno ci siamo detti che il prossimo torneo sulla spiaggia che faremo, il nostro nome sarà sicuramente Cesse Malefiche».
Anche sulla questione calendario sì/calendario no, nata pensando al successo straordinario conseguito in Francia da anni dal Dieux du Stade, a un certo punto il dibattito all’interno del gruppo si è trasformato nell’ennesima occasione per farsi due risate. «Più che altro perché ci si era divisi tra chi voleva farlo e chi voleva farlo... ma più “erotico”», scherza il presidente. «Poi c’ero io, che non volevo farlo. Infatti non l’abbiamo fatto...».
All’ironia dilagante i ragazzi di Libera hanno dovuto imparare ad abbinare vicende quotidiane (o quasi) ben più sgradevoli, per esempio l’omofobia presente all’interno del mondo omosessuale stesso. «Dai gay, sia personalmente, sia sui social, abbiamo ricevuto molti incoraggiamenti e complimenti, ma anche tanti attacchi», spiega Iezzi, che con Giacomo, farmacista che gioca pilone, forma l’unica coppia di fidanzati della Libera. «D’altronde, va detto: c’è una parte di questa comunità che è anche contraria ai matrimoni e alle adozioni. E che a noi rugbisti dice: cosa serve una squadra così? Il problema è che l’omosessuale è omofobo perché ha interiorizzato l’omofobia, cioè, essendo cresciuto in un ambiente in cui ti hanno detto sempre che hai sbagliato, se hai 30/40 anni e quindi hai passato periodi in cui non c’era l’apertura che c’è adesso, l’hai interiorizzata talmente tanto sin da piccolo che arrivi, oggi, a sentirti sbagliato, quindi non credi nel fatto di avere certi diritti e in una vita normale, con un compagno».
Fabrizio Morlacchi, “nativo ovale” con gli All Reds e oggi allenatore-giocatore della Libera, aggiunge un altro carico da undici: «Più di un giocatore, quando è arrivato, mi è sembrato limitato dal punto di vista motorio, e sa perché? Perché non avevano mai praticato sport di squadra intimoriti dallo spogliatoio». Già, lo spogliatoio, che al coach, al pari delle partitelle a calcio nel cortile da bambino, sembravano situazioni naturali che un qualsiasi ragazzino potesse vivere senza alcun problema. «Purtroppo l’ignoranza di massa, e di conseguenza le innumerevoli battute più o meno ironiche ma comunque sessiste, incidono non poco su ragazzini che stanno scoprendo la propria intimità. Avendo a dir poco timore dello spogliatoio, per evitarlo in tanti hanno scelto di fare palestra. E così, una volta finiti su un campo da rugby, non è stato semplice per loro riadattarsi».