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 2015  luglio 17 Venerdì calendario

ERASMO DA FORMIA «LA MIA UNITÀ? PIÙ RENZIANA DI RENZI E ME NE VANTO»– [Erasmo D’Angelis] ROMA

ERASMO DA FORMIA «LA MIA UNITÀ? PIÙ RENZIANA DI RENZI E ME NE VANTO»– [Erasmo D’Angelis] ROMA. «Matteo è un brand fortissimo». Allora è vero che Erasmo D’Angelis, nuovo direttore de l’Unità, è più renziano di Renzi, allora è possibile che Gramsci si rivolti nella tomba. «Paragono il renzismo ai momenti storici del Paese: il Risorgimento, la Resistenza, il boom economico, la battaglia vinta contro il terrorismo. Non la voglio fare troppo grande, ma siamo in un fase simile». Allora è passione, come quella di Giuliano Ferrara per Berlusconi che sul Foglio veniva definito l’amor nostro. Infatti il direttore la racconta come una storia di coppia. «Pensare che tra noi è cominciato tutto con querela». Dal 30 giugno D’Angelis siede sulla poltrona che fu di Pietro Ingrao, Alfredo Reichlin, Massimo D’Alema, Walter Veltroni e in tempi più recenti Antonio Padellaro, Concita De Gregorio e Claudio Sardo. Una testata storica della sinistra italiana, il giornale su cui comparve, a caratteri cubitali rossi, il titolo TUTTI per il funerale di Enrico Berlinguer. I figli di quella tradizione hanno subito riconosciuto in D’Angelis un usurpatore. Fassina ha chiesto di togliere dalla prima pagina la scritta «fondato da Antonio Gramsci nel 1924». Gianni Cuperlo, a lungo corteggiato da Renzi per prendere le redini del quotidiano, oggi dice: «Basta leggerlo e si capisce perché ho rifiutato». Secondo loro è diventato un house organ del governo, un luogo dove la voce critica viene sbianchettata per la lasciare spazio a roboanti articoli in cui si racconta che tutto va bene: le riforme, il Jobs Act, l’economia, il peso internazionale. Marco Travaglio li ha sbertucciati senza mezze misure. Ma D’Angelis ha un’espressione allegra, per nulla turbata. La sua storia è un po’ più complessa di quella di molti interpreti della rottamazione. Ha 60 anni, è di Formia, fiorentino d’adozione ma senza nessuna c aspirata. Ha lavorato a lungo al Manifesto, vale a dire nel quotidiano che riunì alcune firme del giornale di Gramsci dopo la rottura con Botteghe oscure. È stato allievo di Luigi Pintor, poi ha scelto la politica. Prima a Legambiente, consigliere regionale rutelliano in Toscana, infine renziano sfegatato come presidente di Publiacqua negli anni di Palazzo Vecchio, sottosegretario nel governo Letta e capo missione per il dissesto idrogeologico con Renzi a Palazzo Chigi. Avete avuto il merito di riportare in edicola l’Unità dopo un anno di chiusura, ma non rischiate di rovinare tutto con una linea da tifosi di curva? «Figuriamoci. Per me Matteo è anche troppo moderato». Più renziano di Renzi quindi è una definizione corretta. «Ho avuto la fortuna di entrare nel labirinto dello Stato per un paio di anni. Abbiamo ereditato un Paese davvero allo sbando. Una pubblica amministrazione demotivata, un’Italia che non regge le sfide. Come nel libro di Verne, più scendi al centro della Terra, più smarrisci il bandolo della matassa. Uno Stato collassato, ma capisco che faccia fatica a capirlo chi passa la giornata a Montecitorio». Poi è arrivato Renzi. «Adesso c’è una rivoluzione in corso e Matteo è fin troppo moderato. Io spingerei molto di più». Cacciando i dissidenti? «Assolutamente no. Non vanno messi in un angolo. Anzi. La verità è che sono stati fatti degli errori nei loro confronti. Il Pd deve avere la capacità di parlare anche a quei mondi, come i sindacati. Un esempio: c’è un governo che mette la scuola come priorità, trova 4 miliardi per finanziarla, assume 100 mila persone e si trova tutti contro. Significa che è stato battuto dalla comunicazione». Per fortuna adesso ci siete voi. «Faremo anche noi le pulci al governo». Ma quali pulci. «Io conosco il pubblico dell’Unità. C’è una fascia di renziani che vorrebbero il manifesto programmatico del renzismo ogni giorno; c’è un’altra parte che ha un legame sentimentale con la testata, con la sua storia, e quando compra il giornale ha bisogno di sentirsi a casa. Sergio Staino in qualche modo rappresenta questo mondo. Poi ci sono nuovi lettori, che provengono da mondi diversi dell’area di centrosinistra. Vogliamo rispettarli tutti». Il giorno del ritorno in edicola, Renzi ha dato un’intervista al Sole 24 Ore anziché a voi. Un tradimento? «In qualche modo abbiamo perso uno scoop. Ma Matteo ci farà tanti regali. Al momento giusto anticiperemo qualche mossa del governo, vedrete». L’avere paragonato il premier al comunista Luigi Pintor non è piaciuto a molti. «Ho fatto arrabbiare Norma Rangeri e tanti miei ex colleghi del Manifesto. Ma confermo: Renzi mi ricorda un maestro, un mostro sacro come Pintor. Per l’effetto spiazzante che Pintor introdusse nella sinistra sovietica fino all’espulsione dal partito. Renzi ha spiazzato il centrosinistra e si è conquistato il Pd con le primarie. Percorsi politici diversi, ma simili nella rottura delle ritualità, degli schemi». L’Unità si è schierata per il Sì al referendum greco. Nella tua vita precedente lei è stato a capo dei comitati promotori contro i quesiti per l’acqua pubblica. Sconfitto tutt’e due le volte... «La sinistra demagogica confonde l’acqua con i tubi, la risorsa idrica con le gestioni. Quel referendum è stato un gigantesco equivoco. Noi andiamo a letto con talk show che ti inondano di servizi sulle municipalizzate corrotte, con le parentopoli, e ci risvegliamo con Turati, Salvemini, Montemartini, Sturzo che pubblicizzano i servizi municipali. Siamo il Paese più sovietico d’Europa». A proposito di talk show, il premier dice che il Pd, nella comunicazione, deve passare dal catenaccio al tiki-taka del Barcellona. È quello che volete fare voi con l’Unità? «Sai, Matteo è amicissimo di Guardiola». Sfrutterete le feste dell’Unità per aumentare le vendite o è roba vecchia? «Certamente sì. Tornano le Feste dell’Unità, l’input è che si chiamino tutte così e non più feste democratiche. È un circuito politico che esiste solo in Italia e noi proveremo a usarlo». Come vanno le vendite? «Il break even è 20 mila copie. Adesso siamo sopra. Puntiamo a essere un quotidiano che forma la prima opinione». Significa? «Che si rivolge alla fascia di dirigenti, amministratori, militanti del Pd. Il pubblico più vicino alla politica. Il nostro obiettivo non sono le centinaia di migliaia di copie, ma le decine di migliaia». Un giornale così schierato può farcela? «Paure, allarmi, criticità, preoccupazioni. I giornalisti italiani, nei talk show e sui quotidiani, sono bravi a raccontare questo. Ma non sono bravi a raccontare le mille piccole storie che alla fine costruiscono un altro racconto. Quello dell’Italia che fa l’Italia, come dice Matteo». Com’era la storia della querela? «Matteo era segretario del Ppi di Firenze e pubblicava un giornale. Noi con Rutelli facciamo i Democratici, l’Asinello. Un giorno lui mette in prima pagina la foto di una nostra candidata che volantinava per Forza Italia, due anni prima. Scoppia una lite furibonda, io minaccio querela. Così siamo diventati amici».