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 2015  luglio 17 Venerdì calendario

CRONACA DI DUE TENTATIVI PER OTTENERE DALLE POSTE SPA LA CONSEGNA DI UNA RACCOMANDATA, ENTRAMBI FALLITI. UN SERVIZIO DA TERZO MONDO

In ottobre Poste Spa sarà collocata in Borsa. L’ha annunciato pochi giorni fa l’amministratore delegato, Francesco Caio, insieme alla presidente Luisa Todini, entrambi a dir poco euforici: quella delle Poste sarà la prima grande privatizzazione del governo di Matteo Renzi, ed è chiaro che il management, nominato dallo stesso premier, voglia fare bella figura. Un progetto ambizioso, studiato per mesi, per fare dell’azienda qualcosa di nuovo: più finanza, e meno lettere; più banca, e più utili (forse). Ma i vertici delle Poste hanno una minima idea di quanto sia diventato inefficiente il servizio postale? Lo sanno o no che certi servizi sono da Terzo Mondo? Ecco un esempio, vissuto di persona.
Tornato a Roma dopo una settimana, trovo l’avviso di recapito di una raccomandata. È un biglietto bianco, lungo mezzo metro, in cui mi si informa che entro tre giorni dalla data ivi riportata posso chiamare un numero verde e farmi recapitare di nuovo la lettera a casa. Purtroppo i tre giorni sono già trascorsi, quindi non mi resta che recarmi di persona all’Ufficio recapiti, che però non si trova più nell’ufficio postale più vicino a casa, ma è stato spostato in quello centrale del quartiere Montesacro di Roma.
La novità si deve al fatto che le Poste hanno deciso di riorganizzare il servizio universale, risparmiando sui costi. Così, insieme alla chiusura di 455 uffici postali ubicati nei piccoli comuni (compresi quelli in montagna) e alla riduzione dell’orario di apertura di 608 uffici, i vertici delle Poste hanno modificato anche le funzioni degli uffici periferici delle grandi città. Nel mio caso, l’ufficio postale vicino a casa ora può accettare una raccomandata da spedire, ma non mi può più consegnare quelle in arrivo quando il postino non mi trova in casa. Insomma, per avere la raccomandata (o un pacco), ora devo prendere l’auto e andare all’ufficio postale centrale del quartiere Montesacro. Amici che abitano in altre zone di Roma mi dicono che, da diversi mesi, devono fare altrettanto.
Fare un piccolo sacrificio a fin di bene, non è poi la fine del mondo. Se le Poste hanno deciso di risparmiare, pensavo che l’obiettivo fosse di migliorare l’efficienza. Purtroppo mi ero illuso. Ieri e l’altro ieri ho compiuto due tentativi di farmi consegnare la raccomandata, ma alla fine ho dovuto rinunciare. Montesacro è un quartiere con circa 400 mila abitanti. L’avere accentrato la consegna delle raccomandate e dei pacchi di così tante persone in un solo ufficio, ha aumentato di molto il suo volume di lavoro. Ma non per questo è stato aumentato il numero del personale addetto. Anzi, sia ieri che l’altro ieri, nello stanzone seminterrato deputato alla consegna delle raccomandate, su tre postazioni di lavoro, solo una era attiva, con solo impiegato, che in media riusciva a consegnare un plico ogni 5-6 minuti. Vale a dire 10-12 consegne per ora. Risultato: decine di utenti in coda per ore, in un caldo soffocante.
Fuori c’erano 37 gradi. Dentro, almeno 40: niente aria condizionata, né ventilatori. Ho cronometrato di persona i tempi di lavoro, e contato il numero delle persone in attesa. Circa cinquanta, sapendo di questa situazione, erano arrivati in anticipo sull’orario di apertura (le 8.30), ma molti di loro (dal numero 30 in su) avrebbero potuto ritirare il proprio plico solo dopo le 11.30. Alle 9.30 la consegna era ancora ferma al numero 12.
Ho chiesto di parlare con il dirigente responsabile dell’ufficio. Assente. Insistendo, sono riuscito a farmi ricevere dal suo vice, gli ho riferito la mia rilevazione statistica e gli ho chiesto se avesse o no il potere di applicare un secondo impiegato alla consegne. Mi ha risposto di no, e mi ha cacciato in malo modo, dicendo: «Come mai non protestate così tanto quando c’è lo sciopero del trasporto pubblico?». Gli ho chiesto nome e cognome, in base alla legge sulla trasparenza della pubblica amministrazione. Ma quel vicedirigente, che non portava nessun badge, si è rifiutato di farlo. Testimone del colloquio, un dipendente del Tesoro in pensione, che ha commentato: «È così da sempre nel pubblico impiego: il bonus annuale per aumentare lo stipendio lo danno ogni anno a tutti i dirigenti, a prescindere dal merito. Il senso di responsabilità, qui, non è mai esistito».
Ho rinunciato al ritiro. Ma prima di allontanarmi ho fotografato l’ufficio seminterrato, le code, e le due postazioni di lavoro vuote. Ho spedito tutto al Codacons. Poco dopo mi ha richiamato il presidente, Carlo Rienzi, che aveva già girato email e foto alla procura: «Dicono che si tratta di interruzione di pubblico servizio. Faremo subito una denuncia». Chissà chi mi aveva scritto. Se le Poste sono queste, prima di inviare una raccomandata, ora dovrò pensarci bene. In fondo, le Poste stanno scoraggiando questo servizio. Che sia questo il vero obiettivo di Caio, per risparmiare sulla pelle degli utenti?
Tino Oldani, ItaliaOggi 17/7/2015