Danilo Taino, Sette 17/7/2015, 17 luglio 2015
LA CINA PRIGIONIERA DI UNA BOLLA
Mentre la crisi greca si srotolava sotto il nostro naso, nella lontana (si fa per dire) Cina, succedeva qualcosa che agli osservatori sembrava altrettanto impossibile. Il partito comunista e i massimi livelli dello Stato non riuscivano a gestire una caduta della Borsa. Ci provavano, con misure di ogni genere: taglio dei tassi d’interesse, riduzione degli obblighi di riserva delle banche in modo che avessero più liquidità a disposizione, incentivo ai fondi pensione affinché comprassero azioni, limitazione delle vendite a breve, blocco delle offerte pubbliche iniziali in modo che i capitali andassero a rafforzare l’esistente e non si disperdessero sul nuovo e altro. Tutte scelte mirate a mantenere alti i prezzi in una situazione di bolla che aveva già prezzi troppo alti. Con successo scarso. L’incredulità stava nel fatto che, per la prima volta, partito e alti funzionari dello Stato sembravano incompetenti, incapaci di trovare la risposta giusta. Il problema non è da poco. Buona parte della legittimità del partito e del governo sta nella competenza tecnica e nella lungimiranza con le quali ha condotto gli affari, soprattutto quelli economici, nei decenni scorsi. Certo, c’è la corruzione, certo non esiste la libertà di parola e di organizzazione, l’internet è censurato e lo Stato di diritto manca. Ma c’era la sicurezza di un vertice competente e capace di assicurare una crescita economica che ha beneficato milioni di persone. È su questo scambio che il fenomeno cinese si è fondato da quando, a fine Anni Settanta, Deng Xiaoping ha aperto il Paese al mondo.
Creare ricchezza. La crisi in corso ha invece messo in luce che l’interventismo delle autorità sui mercati da un lato e il Far West di pratiche finanziarie dall’altro ha portato alla creazione di una bolla; e che le stesse autorità non sanno come fare a gestirne la fase di scoppio, o se si vuole di sgonfiamento. Una cosa è fermare la rivolta in Piazza Tienanmen, un’altra è mettere le briglia ai mercati.Per la prima volta, si è avuta l’impressione che le autorità, rispettate in casa e ammirate all’estero, non fossero all’altezza della situazione. Problema serio per il presidente Xi Jinping. In tutti i Paesi una crisi finanziaria diventa poi crisi politica, come vediamo in Europa. Ma in un regime autoritario legittimato dalla creazione di ricchezza può avere sviluppi ancora più drammatici. Forse è arrivato il momento di riforme in direzione della trasparenza: questo farebbe un governo competente.
@danilotaino