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 2015  luglio 16 Giovedì calendario

ATTACCO AL VATICANO

Cooosa?
«Una bomba atomica. Destinata al Vaticano. È già pronta».
Era dieci anni fa. Conoscevo Paolo Dinucci, toscano, ex carabiniere, agente segreto Oltrecortina, in Bulgaria, da quando c’era ancora il Muro di Berlino. Era stato coinvolto in una vicenda di controspionaggio che mi suonava strana. Cercai di contattarlo per un’intervista, attraverso persone a lui vicine. Ci volle del tempo; un giorno, arrivò una telefonata da Sofia: «Che vuoi?». «Fare qualche domanda». «Su cosa?». «Il perché del processo; ho letto, e...». «Va bene, vieni». Del processo, non si parlò; c’erano tante cose in ballo, fra Italia e Bulgaria: da Sofia era passato Alì Agca, prima di andare a sparare a Giovanni Paolo II; due turisti italiani, che poi turisti pare non fossero («Vennero praticamente consegnati dai servizi italiani a quelli bulgari», dice Dinucci), Paolo Farsetti e Gabriella Trevisin, catturati, torturati, usati per «montare uno scambio» fra loro e i bulgari detenuti in Italia per l’attentato al Papa; il rapimento di Emanuela Orlandi...
Non mi fece pagare il pranzo; poi, nel suo ufficio, cominciò a scoperchiare cassapanche lungo i muri: «Con cosa volevi pagare, con questi?»: dollari. «O», altra cassapanca, «questi?»: marchi. «O...?». C’erano pure marche da bollo italiane. «Ma quanti soldi sono?», chiesi, stupidamente. «Non li contiamo, li pesiamo». Stampati a cura di affidabili istituzioni bulgare («Sotto il Palazzo della Cultura»).
Mi feci mandare qualche biglietto da cento dollari, dopo il mio rientro in Italia, li portai in banca e dovetti insistere per convincere il cassiere che erano falsi: solo con l’esame della luminescenza si rivelarono finalmente tali: «Se me ne portavi un tir, te li cambiavo». Pubblicai tutto; e negli anni, feci ricorso altre volte a Dinucci. Poi, a commento di alcuni episodi di cui non capivo la portata, cominciò ad accennare a qualcosa che, piano piano, divenne questo (riassumo): la creazione di uno Stato islamico nella Mezzaluna Fertile, dal Caucaso al Marocco. Ok, pensai, se nel frattempo non siamo invasi dai marziani. Non dubitavo che gli fosse arrivata la segnalazione che qualcuno volesse farlo; ma non è la stessa cosa che farlo.
Poi, nel 2005, la bomba: mentre nella Mezzaluna Fertile nel 2010 inizia la sollevazione a catena degli Stati del Nordafrica (la Primavera araba), ora l’Isis, il Califfato. Non sono le aree più tranquille del mondo e ci sta che possa essere una coincidenza, ma da quel momento, quando Dinucci mi dice: abiti troppo vicino a Roma, io sono sempre più a disagio. Però, se la cosa ti suona attendibile e sei giornalista, devi renderla pubblica. Già, ma come fai a scrivere: sapete, c’è una persona con una vita molto movimentata e in più occasioni ha detto cose che si sono rivelate vere, che parla di un attentato nucleare contro Roma e il Vaticano?
Mettetevi nei miei panni, mentre Alì
Agca torna in Vaticano, spiegando che l’ha fatto ora e non prima, perché adesso lo richiedono le circostanze. Che fai? La regola del giornalismo è: quando sai una cosa, dilla. Ma se non puoi provarla ed è enorme? «Dilla lo stesso, insieme ai dubbi possibili» mi consiglia un collega di grande esperienza, cui mi rivolgo. «Altri valuteranno l’attendibilità della cosa. Ognuno faccia il suo». Allora eccola la storia. Quando hai saputo di questa bomba? Nel 2005, quando te l’ho detto. Perché il Vaticano?
Deve scomparire, per consentire una nuova piramide di potere. Religioso? La religione non c’entra. C’entra il suo uso a fini di potere.
Ma il cristianesimo è la religione più diffusa, più di due miliardi di credenti. Ma lascia troppa libertà ai suoi fedeli. Questo non è buono per il potere. Potere, potere... Il potere è l’oro o la spada, i soldi o le armi.
I soldi non contano più niente. Ne stampano quanti ne vogliono. Veri, non come quegli altri che vedesti. Conta solo il potere. Ma chi diavolo sarebbe questo «potere»? Silenzio. E quanto sarebbe grande questa bomba? È da quattro megatoni (320 volte più potente di quella sganciata su Hiroshima: ogni kilotone equivale a mille tonnellate di tritolo, ndr). No, dai! Ma che uno fabbrica e si tiene un ordigno del genere da dieci anni e... Non l’hanno fabbricata, l’hanno fatta sparire. Non è un portacenere. Come si fa sparire una bomba atomica? Ne erano partite sei, ne sono arrivate cinque. Così...: me ne sono persa una! Partite da dove, arrivate dove? Dagli Stati Uniti. Quindi erano degli Stati Uniti? Partite dagli Stati Uniti. Arrivate dove? (Silenzio, ndr). E gli Stati Uniti o di chiunque si tratti non dicono niente se sparisce un’atomica? Gli Stati non contano più. Fanno quello che gli dicono. Addirittura. Dicono: chi? (Silenzio, ndr). Insomma chi è questa gente, quanti sono: cinque, 200, un milione...? Diciamo le dimensioni di un paesino.
Quanto grande?
Ti va bene: una spedizione garibaldina, più o meno?. Ma quella roba era una mezza macchietta.
E questi pure. Ma fanno quel che gli pare.
E c’è un, diciamo, sindaco di questo paese, un consiglio comunale? Fermiamoci qui. (Capito, ora, quali erano le mie perplessità? Queste cose puoi solo registrarle, ma non hai alcuna possibilità di controllo, contro-verifica giornalistica. Né, a un certo punto, puoi continuare a far finta di nulla).
E quando sarebbe questa follia?
So cosa, chi e perché. Non quando. So solo che quando decidono una cosa, la fanno. Come fai a essere così sicuro: eri presente quando sarebbe stata presa questa decisione?
No, ma la cosa è sicura, al 100 per cento.
Significa doversi fidare di qualcuno che te lo dice. Significa che ne ho la certezza, perché... ne ho la certezza.
E anche qualche conferma?
Appena lo seppi, la chiesi a uno dei capi di Al Qaeda. Sobbalzò: come lo sai? Poi disse che, sì, era così. Dunque, è Al Qaeda.
Ma no. C’entra, come tante altre cose; ma non è. E come si arriva a chiedere una cosa del genere a uno dei capi di Al Qaeda? Quando scoprii che gli italiani volevano farmi fuori, nel 1985, divenni il capo di me stesso. Da allora ho lavorato con i servizi bulgari, con i russi, gli israeliani e gli islamici.
Islamici chi? Sono più di un miliardo e mezzo di fedeli. Lì, tutto fa capo alla Conferenza islamica. Perché hai chiesto di non essere fotografato in viso, ma accetti che
sia pubblicato il tuo nome? Non è un controsenso?
No. Se la tua faccia è nota, sei alla mercé di ogni sbandato. Gli altri, il tuo nome lo sanno già. Perché ne parli?
Perché non voglio tenermela dentro questa cosa. Una volta che ho avvertito, sono fuori dai miei obblighi. È anche la ragione per cui ora ne scrivo. La strada perché questa cosa divenisse nota a tutti è lunga. Nel 2005 dirigevo un settimanale; non me la sentii di pubblicare una cosa di cui non avevo prove. Pensai di procurarmene, mettendo in contatto Paolo Dinucci, con l’allora senatore ed ex magistrato, Ferdinando Imposimato, che di queste vicende si è sempre occupato. E che, quando ha potuto avere riscontri delle affermazioni di Dinucci, le ha riportate: nel libro Attentato al Papa, scritto con Sandro Provvisionato, parla di lui come «il coraggioso agente Paolo Dinucci, costretto a lasciare il servizio per non essersi prestato al gioco», che avrebbe portato alla distruzione della «pista bulgara» per l’attentato a Giovanni Paolo II. Da allora, sono accadute altre cose che somigliano un po’ troppo a quelle che Dinucci anticipava. Coincidenza o no, ho confidato questo peso sullo stomaco a chi poteva farne uso istituzionale. Ma è una scorciatoia, perché un giornalista deve pubblicare. Fatto. Rischio solo 45 anni di onesta carriera. Il prezzo è enorme, ma solo per me.