Renata Pisu, la Repubblica 17/7/2015, 17 luglio 2015
DA HIROSHIMA AL CAPITALISMO GLOBALE, IL PARADOSSO DI UNA NAZIONE
Banzai! Avrebbe esultato il grande scrittore Mishima se soltanto avesse potuto vedere questo giorno per lui di gloria. Ma niente, si uccise facendo Harakhiri nel novembre del 1970 per protestare contro la costituzione pacifista che toglieva la divinità all’imperatore e le armi ai samurai. Oggi l’imperatore non è un dio ma i samurai possono ricominciare a sperare. Infatti, sembrerebbe che Abe si sia dato come missione quella della revisione della costituzione pacifista e il ripristino della dignità del Giappone. Sono mesi e mesi che Abe sta lavorando alla modifica dell’articolo 9 , ma erano anni che la questione veniva dibattuta dietro le quinte della politica per evitare di infiammare gli animi di una popolazione che per la maggior parte si sente ancora sentimentalmente legata ad una pace che le venne imposta con Hiroshima. Ma dalla fine della guerra sono passati 70 anni. Le manifestazioni pacifiste di questi giorni non sono rappresentative della reale situazione in cui il paese è, o vorrebbe trovarsi. Infatti, molte delle certezze in cui i giapponesi si sono cullati adesso vengono messe in discussione. Un paese pacifista, noi? Ma se abbiamo un budget militare tra i più alti dell’Asia! E poi, siamo sotto l’ombrello nucleare americano, abbiamo basi militari Usa in casa, i nostri politici e industriali, Mitsubishi in testa, perseguono costantemente commesse di armamenti; e noi saremmo dei veri pacifisti?
Finora abbiamo vissuto nella consapevolezza di essere state vittime — il Giappone non ha fatto autocoscienza collettiva come la Germania — ma ricompensati con i successi dell’economia. Da più parti si comincia a pensare che un cambiamento è necessario, specie le ultime generazioni tentano di esprimere il malessere di un popolo che dal 1945 continua a chiedersi: chi siamo? E ancora non sa rispondere avendo subito per di più la catastrofe di Fukushima.
Dice Ian Buruma che a settant’anni dalla fine della guerra Tokyo non può continuare a vivere in una eterna fase post-bellica, alcuni passi li deve compiere. Ma in quale direzione? Scrive Haruko Muratami, lo scrittore più noto del Giappone contemporane: a prescindere da chi ha vinto o perso la guerra, la fine della storia è che noi negli ultimi sessanta i giapponesi sono stati un terreno di prova per un’economia capitalista all’americana: protetti e nutriti in una serra e gonfiati al punto dell’esplosione». Ma l’uscita dall’età della vittima innocente è una dura prova.