Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 16/7/2015, 16 luglio 2015
LA MUSICA MIGLIORE È QUELLA ANCORA DA SCRIVERE
[Intervista a Nicola Piovani] –
Affiorano ricordi lontanissimi come se fosse ieri: “Ogni tanto Federico Fellini mi portava sotto la metropolitana di piazza di Spagna a sentire e guardare i musicisti ambulanti: ‘Vedi, sarebbe bastato un niente e ci saremmo potuti trovare entrambi al posto loro. Tu a suonare per i passanti distratti e io a declamare poesie col cappello in mano’. La vita è governata in parte dagli episodi, ma se sei fortunato come sono stato io, hai il dovere della lealtà artistica. La spinta interiore a dare il meglio di te”. A pochi mesi dai propri settanta, Nicola Piovani guarda agli anni trascorsi sul palco come l’artigiano che si è sempre sentito. Sono arrivati i premi in serie, gli Oscar, i cavalierati francesi delle arti e delle lettere, ma per il figlio di Alberico, colonna della banda di Corchiano, l’unica mappa da consultare lungo il percorso – una forma di coerenza – è stata la partitura: “Viviamo tempi che ti incitano a curare troppo l’apparenza e l’immagine. E allora io faccio tesoro di un vecchio proverbio contadino che dice: ‘Apparire e non essere è come filare e non tessere’. Altrimenti, a forza di rincorrere il fumo, si resta senza arrosto”. Tra Ravenna e Ravello, con i profumi dell’infanzia e i racconti della propria vita alternati alle melodie immaginate per i film di Monicelli, Fellini e Saverio Costanzo, Piovani ha messo in scena La musica è pericolosa. Il titolo del libro che Rizzoli gli aveva chiesto invano per lungo tempo è diventato prima volume e poi spettacolo teatrale. “Scriverlo – dice Piovani _ mi ha mentalmente ringiovanito, mettendomi di fronte a difficoltà che non conoscevo. Mentre scrivevo godevo dell’entusiasmo della novità e pativo le difficoltà del principiante. Sono abituato a controllare i movimenti dello spartito, non i capitoli di un libro. Hanno anche loro una musicalità anche le pagine senza note, ma per scoprirlo ho dovuto faticare molto”.
È stato sempre accompagnato dalla fortuna, diceva.
Sarei stato comunque musicista, ma penso spesso che in circostanze diverse avrei potuto fare musica in modo meno fortunato e guadagnarmi da vivere suonando al piano bar o insegnando in qualche scuola. Tutte attività nobili, magari meno gratificanti di quelle che ho svolto.
Se si guarda indietro si scopre soddisfatto?
Soddisfattissimo. Sono arrivato a poter fare musica e suonarla in pubblico con una libertà insperata. Senza condizionamenti e senza l’obbligo di chinarmi alle leggi di mercato o al politico di turno. Il bilancio è positivo. Sono debitore della fortuna, non creditore. Ma continuo a lavorare pensando metodicamente che la mia opera più bella sia quella che non ho ancora scritto.
Spettacolo e libro hanno lo stesso titolo: “La musica è pericolosa”. Senza pericolo non si diverte?
Scrivere è un azzardo. Ripetersi o andare sul sicuro non vale la pena. È deludente. Certo, quando progetto un nuovo spettacolo penso anche al pubblico. Credo sia giusto e santo tendergli una mano. Il teatro è arte di dialogo, non può essere lingua autoreferenziale, inerte o peggio ancora intellettualistica.
Tendere la mano è una maniera per inseguire l’applauso?
È proprio il contrario. Instaurare un dialogo con il pubblico è sano, snaturarsi sbagliato. Oltre la ribalta, cerco però di tendere al pubblico una sola mano. Se le tendi entrambe il pubblico ti tira giù e finisci per farti dettare le scelte d’arte dal consenso o come dice lei, a inseguire l’applauso ad ogni costo. Sarebbe triste, equivarrebbe a far politica basandosi solo sui sondaggi.
A liberarla dall’equivoco della musica “colta” fu Elsa Morante.
Elsa Morante mi insegnò cos’è la libertà mentale dell’artista, che non è capriccio né arbitrio. Libertà è rispondere non a tribunali critici esterni, bensì al tribunale intimo della propria coscienza. A volte è un tribunale molto severo.
Che differenza c’è tra il raccontarsi delle note e quello delle parole?
Raccontarsi a parole ti mette più a nudo, ti mette a confronto con il tuo pudore. Con una partitura esponi moltissimo la tua intimità, però non si vede, perché la musica ti permette di nasconderti dietro la indecifrabilità del suo linguaggio.
In questi anni ha faticato a dominare le sue aspettative e quelle degli altri sul suo conto?
Ho avuto la fortuna di intuire presto che il narcisismo è una fabbrica di infelicità e provo a difendermene. Anche se starne alla larga non è facile. Cerco di caricare i bollori che mi animano dentro alle mie partiture. Quando riesco a canalizzarli in qualche forma espressiva, nevrosi e panico diventano più sopportabili. E la musica è una medicina utile. La più grandiosa delle medicine.
Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 16/7/2015