Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 16/7/2015, 16 luglio 2015
ROMA PARTNER PRIVILEGIATO MA AVANZANO PARIGI E BERLINO
L’Italia in Iran ha un credito enorme. «Siete il Paese europeo per noi più importante», ripete a ogni incontro ufficiale il presidente Hassan Rohani. Da mezzo secolo le relazioni non hanno mai avuto battute d’arresto, neppure nei momenti peggiori: negli anni ’80, quando un milione di giovani iraniani moriva nelle paludi dello Shatt el Arab contro l’Iraq, le imprese italiane furono le uniche che non abbandonarono mai la piazza. Aiutavamo l’economia ma anche lo sforzo bellico dell’Iran: questa è una delle ragioni fondamentali che ha consentito importanti intese per l’Eni e le altre società italiane. Alla fine degli anni 90, l’Italia fu anche il primo paese europeo, dopo la “crisi degli ambasciatori”, a ristabilire i contatti e a sostenere il presidente riformista Mohamed Khatami.
Quella tra l’Italia e l’Iran è una lunga storia d’amore e di interesse. Dai tempi di Marco Polo che sedusse una principessa iraniana per portarla in sposa all’imperatore della Cina, fino alla grande foto di Enrico Mattei dai riverberi color seppia che ancora sorride negli uffici di Teheran della Nioc, la compagnia petrolifera di Stato. Come raccontano i libri di storia iraniani il presidente dell’Eni, considerato un eroe da affiancare al primo ministro Mossadeq, voleva fare concorrenza alle Sette Sorelle. Mossadeq nazionalizzò il petrolio e fu sbalzato dal potere nel ’53 da un colpo di stato anglo-americano, Mattei morì in un misterioso incidente aereo qualche anno dopo. Il patron dell’Eni favorì persino il fidanzamento tra lo Shah Mohammed Reza Pahlevi e Maria Gabriella di Savoia ma questo lasciapassare ai pozzi petroliferi sfumò quando l’Osservatore Romano condannò le possibili nozze tra una cattolica e un divorziato, per di più musulmano.
Sull’amore non si possono fare previsioni, sugli interessi è più facile: dopo la revoca delle sanzioni le aziende italiane saranno in prima fila, come lo sono già, anche se hanno dovuto operare da sorvegliate speciali dei servizi americani e britannici che poco gradiscono questa relazione privilegiata con Teheran. Si aprono nuove prospettive su uno dei mercati emergenti più promettenti: per gli embarghi sono stati persi 17 miliardi di export dal 2006 a oggi, e ora le aziende italiane, secondo la Sace, potrebbero mettere a segno in quattro anni guadagni per tre miliardi di euro. Ma anche gli italiani, che pure qui hanno tenuto calde le relazioni con la visita in marzo del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, dovranno temere la concorrenza. I francesi hanno annunciato il viaggio a Teheran del ministro degli Esteri Laurent Fabius mentre quello tedesco dell’economia arriva domenica nella capitale iraniana.
Lo stesso discorso vale per gli Usa che pure non hanno relazioni diplomatiche dal 1979. Alla Nioc mostrano le parcelle assegnate alle compagnie occidentali nei giacimenti offshore di gas di South Pars, la cui produzione, a regime, vale un anno di consumi europei. Sulla mappa c’è un largo spazio bianco, il più grande: «È l’area riservata alle major americane quando torneranno qui», dicono gli iraniani. C’è un precedente significativo: nel ’94 fu assegnato alla Conoco il primo contratto petrolifero accordato a una compagnia straniera dopo la rivoluzione islamica, poi cancellato da Clinton sotto pressione del Congresso che impose nuove sanzioni.
Eppure anche l’Italia qui ha commesso un errore clamoroso. Furono gli stessi iraniani a spingere perché Roma, nel 2004, accettasse di far parte del gruppo Cinque più Uno sul negoziato nucleare, dove a Vienna gli italiani con la Mogherini sarebbero stati due. L’Italia declinò perché intendeva mantenere una posizione di “equidistanza” tra le parti: non voleva entrare in rotta di collisione con un partner importante e allo stesso tempo rischiare frizioni con Washington.
L’Italia in Iran ha anche colto qualche significativo successo diplomatico, come Giandomenico Picco dell’Onu che ebbe un ruolo importante nel cessate il fuoco tra Iran e Iraq nell’88. Il personaggio più noto però è Andreotti: «È sempre stato un grande amico», ribadisce Ali Akbar Velayati, consigliere della Guida Suprema Khamenei, e Mohammed Larijani, fratello del presidente del Parlamento, ha dedicato in un libro otto pagine all’ex presidente del Consiglio che Rafsanjani accoglieva sempre con onori da capo di stato. È per questi antichi legami che l’Italia scambia informazioni con l’Iran e gli Hezbollah libanesi vitali per la nostra presenza militare in Afghanistan e nel Sud del Libano. Teheran è una delle porte del Medio Oriente dove entriamo accolti da protagonisti: non accade per la verità troppo spesso.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 16/7/2015