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 2015  luglio 16 Giovedì calendario

ATTICUS COME SCHINDLER IL GIUSTO “SCORRETTO” DEL NUOVO HARPER LEE

Equindi? Dovremmo espiantare dal giardino dei Giusti l’albero che porta il nome di Atticus Finch? Cancellare il suo nome dalla lista di quelli a cui ci siamo ispirati per agire secondo etica, legalità e decenza? Tutto questo perché hanno trovato un secondo testo attribuibile ad Harper Lee, autrice del “Buio oltre la siepe” e ce lo stanno pre-tramandando con un unico spoiler a tambur battente: l’avvocato dei neri è diventato razzista?Il grand’uomo si è trasformato in un piccolo essere spaventato ed egoista come tanti, come
tutti, come te? Un momento. Evitiamo il “prequelgiudizio”, finiamo di leggere Va’, metti una sentinella e proviamo a ragionare.
C’era molta attesa per la pubblicazione di questo romanzo (in Italia uscirà il 19 novembre da Feltrinelli). La vicenda è nota: il testo è stato ritrovato dall’avvocato della scrittrice, ormai anziana e silente. È stato presentato come la sua prima prova letteraria. Un editor geniale avrebbe intuito nelle sue trecento pagine circa il nocciolo di un altro romanzo ( Il buio oltre la siepe , appunto), in cui la protagonista, anziché tornare sul luogo del delitto (l’infanzia e i suoi traumi) li vive in presa diretta. E ci racconta, più che di sé, del suo dio, un uomo giusto, suo padre, il legale che accetta la difesa di un nero nell’Alabama razzista. Leggere quest’altro testo significa immergersi in una ucronìa da emicrania: è stato scritto prima quel che succede dopo. Ma ogni post si specchia nel pre e ogni pre tiene conto del post. Starà a critici titolati esprimersi sull’autenticità. Malcon Gladwell nel saggio
Blink sostiene che un esercizio continuato consente una valutazione di riflesso in un nanosecondo.
Per quel che può valere, la mia sensazione di lettore consunto è stata: tra i due romanzi c’è un eccesso di simmetria e la parte letterariamente più riuscita di Va’, metti una sentinella resta quella dell’infanzia, ossia i flashback, mentre il presente è narrato con mano meno felice e più didascalica. Ma è questo il punto? Temo di no. Rileva, ma non tanto. Quel che conta è altro. Non è Harper Lee, è Atticus Finch. Perché la letteratura non è, spiacente per i narcisisti che se ne addobbano, un catalogo di autori, ma un museo di personaggi.
Harper Lee poteva aver scritto un solo romanzo o dozzine. Pubblicato quello sbagliato o quello giusto. Essere amica di Truman Capote o di Charles Manson. Bianca o nera. Conta che ci abbia dato Atticus Finch. Conta che abbia inventato un vedovo con due figli che soffre in silenzio e oltre il silenzio. Che si alza, si dedica, compie kantianamente il proprio dovere, ovvero lo compie semplicemente perché deve, come un soldato della vita.
Difende il nero perché se quello ha diritto a un avvocato lui ha il dovere di esserlo. Si batte per lui in quanto innocente, ma lo farebbe anche se non lo fosse. Non è un uomo forte: è smarrito come molti, ferito più della media, ma ha una bussola. Si è sempre detto fosse la sua morale. In realtà era sua figlia. Lei era il suo pubblico, a lei doveva una lezione: fai che la tua vita assomigli alla tua anima, non tradirla, specchiatici e riconosciti.
Il buio oltre la siepe è l’espressione e la sublimazione di questo insegnamento.
Come la mettiamo allora con Va’, metti una sentinella? Con questo Atticus Finch vent’anni dopo? Con i pamphlet razzisti che legge nella sua biblioteca? Con le conferenze in cui introduce come un oratore che non ha bisogno di presentazioni una specie di Borghezio della pancia d’America? Con la rivelazione che ha addirittura partecipato a una riunione del Ku Klux Klan? Siamo noi la giuria, noi che leggiamo: come valutiamo quest’uomo? Sediamoci tutti, per un momento, dove è seduta sua figlia Scout. Per uno di quegli eccessi di simmetria che rendono il prequel/sequel sospetto si tratta della stessa balconata da cui seguì il processo quando era bambina. Allora suo padre si guadagnò l’applauso dei neri cercando di far applicare la legge in difesa di uno di loro. Ora eccolo invece a un’adunata di razzisti che si rimbalzano i peggiori luoghi comuni su neri, ebrei e cattolici.
Sediamoci accanto a Scout e ragioniamo. Siamo delusi, ci sentiamo ingannati, proprio come lei. Allora quest’uomo che abbiamo eletto a guida e mentore era un fasullo, una frode? Oppure invecchiando si è rimbambito, ha ceduto alla natura vile, all’istinto di conservazione? Il testimone dell’etica sembra passare da lui alla figlia. È lei ora a rilevare storture e vergogne, a denunciarle, a esigere la riparazione. Lei a confrontare il padre e metterlo nell’angolo. E noi, dove stiamo? Voi leggerete a novembre, o prima se vi aggrada l’originale in inglese, e vi farete la vostra idea.
Quanto a me, resto con Atticus Finch, tutta la vita e anche oltre. Perché sono stato nel giardino dei Giusti a Gerusalemme, ho visto Schindler’s list, ho conosciuto il momento che distingue il fatto dal presupposto e che coincide con il diritto, non essendo il diritto altro che sapienza, sangue e tempo condensati in precetti. Da questa miscela deriva che Scout è il “politicamente corretto”, Atticus è la scelta davanti all’incendio. Milioni di parole contro un gesto. Tante tesi e una sola sintesi.
A Gerusalemme mi raccontarono la storia di una scrittrice polacca che aveva predicato l’antisemitismo per anni. Poi una ragazza ebrea bussò alla sua porta e lei le diede riparo, a rischio della propria vita. La salvò e, finita la guerra, si rimise a sostenere teorie razziste. Una commissione la incluse tra i Giusti. E così vale per Atticus Finch. Quali che siano le sue motivazioni quando siede tra i suprematisti bianchi: graduare il cambiamento evitando i traumi, lottare dall’interno o liberare un demone, che cosa conta? Conta che quando il nero ha bussato lui ha aperto, risposto, difeso. Questo ne fa un Giusto, anche dopo, o prima, di queste altre 300 pagine. Scout, fin qui, a 26 anni: parole, parole, parole.
Il secondo romanzo attribuito a Harper Lee è inferiore al primo? È spurio? Forse. Valeva la pena pubblicarlo? Questo sì. Perché, insieme, i due raccontano una storia esemplare: la grandezza umana nasce dalla umana debolezza e neppure sa in che modo. Si erge come un randagio ferito. Reagisce per un istinto, per un movente che non affonda nella ragione e per questo ha del miracoloso e ci lascia qui a credere ancora, perfino in noi stessi.
Gabriele Romagnoli, la Repubblica 16/7/2015