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 2015  luglio 16 Giovedì calendario

A DIFFERENZA DEI POLITICI CHE SPESSO FORNISCONO DEI NUMERI FALSI, GLI ECONOMISTI LI DANNO VERI MA SOVENTE SONO ANCHE INGANNEVOLI

Nel gran bailamme del caso Grecia, domenica scorsa mi trovai, per caso, in un talk show di Rai3, condotto da una nervosa Bianca Berlinguer. Non ho mai capito perché inviti persone verso le quali prova evidente repulsione (quella sera Alessandro De Nicola). Era passata appena una settimana dalla meravigliosa notte di pazza gioia che le Sinistre del Sud Europa si erano concesse in Piazza Syntagma, eppure il clima in studio era plumbeo. Il target chiaro: incolpare la Germania. Scoppia un alterco freddo, di estrema violenza (psicologica) fra De Nicola e il professor Sapelli. Scomparsi i duelli fra gentiluomini, quelli canori fra Callas e Tebaldi, oggi il mercato della comunicazione ci passa solo quelli fra liberisti e keynesiani, che si battono a suon di numeri e ragionamenti sofisticatissimi. Negli anni ’70, quando comparvero i primi esemplari, versione sociologia (mitico Franco Ferrarotti), ascoltavo estasiato il loro periodare, alla fine mi ritrovai tutto incipriato. Nello scontro di domenica sera le mie simpatie umane andavano a De Nicola (la timidezza come valore), però non credevo ai numeri, né dell’uno né dell’altro. A differenza dei politici che spesso forniscono numeri falsi, quelli degli economisti, a qualsiasi scuola appartengano, sono veri, però ingannevoli, misleading nel loro linguaggio.
Dopo il 2008 mi sono detto basta, non pretendo certo di essere al loro livello, però come cittadino comune non sono più disposto a farmi prendere in giro da costoro. Accortisi che la loro strategia politico-economica portava all’unica soluzione di «impoverire la classe media, sedare quella povera», cosa si inventano? Una rivoluzione semantica che ha portato i cittadini a credere, per esempio, che l’inflazione corrisponda all’aumento dei prezzi (certo, è una possibilità, ma non l’unica), anziché all’emissione di moneta dalle Banche Centrali (aumentata mi dicono di 5 volte). Quando vogliono combinarcene qualcuna, ci propinano la storiella della incombente deflazione. Tu vai a vedere cosa compravi al momento dell’introduzione dell’euro (’98) e ti accorgi che ha perso il 25% del potere d’acquisto, nel 2008 il rapporto col Franco Svizzero era 1,60, ora siamo alla parità: il grande Golia fattosi Davide.
Il trucco? Lo trovi negli scritti di cinquant’anni fa del grande Murray Rothbard: « l’inflazione monetaria conduce a una riduzione della qualità di beni e servizi, poiché spesso i consumatori si oppongono meno agli aumenti di prezzo, quando questi avvengono sotto forma di deterioramento della qualità». Eccola finalmente, la parola chiave deterioramento della qualità. Il nuovo schema è «qualità inferiore-prezzo costante», cioè si paga uguale per ricevere meno. Oppure si paga addirittura meno, se chi ti fornisce il servizio non paga le tasse (vedi driver Uber). Prendono una parola, la accoppiano a «innovation» e, oplà, il gioco è fatto.
Ricordo un episodio del ’82, allora ogni anno, stante l’inflazione selvaggia, i prezzi venivano aggiornati verso l’alto. Dirigevo un’azienda leader nelle vernici, venne a trovarmi l’ad di una di macchine per il movimento terra, non solo rifiutava l’aumento, chiedeva pure uno sconto. Però accettava una qualità inferiore. Gli spiegai che non potevo penalizzare il mio marchio da leader. Allora mi propose di fornirgli un semilavorato, ovvio a prezzi di mercato. Seppi poi che lui aveva arricchito il semilavorato con materiale inerte, raggiungendo l’incidenza sul costo finale del prodotto che si era ripromesso, degradando la qualità. Era un manager in anticipo sui tempi, se non fosse fallito e incarcerato, sarebbe diventato un supermanager.
Quello che paga il prezzo di queste furbate è sempre il consumatore finale, costui pensa, essendo sedato se ne compiace pure, di vivere in un mondo a inflazione praticamente zero (come gli dicono i numeretti sui giornali) mentre, in realtà, lo buggerano: l’inflazione c’è eccome, ma si presenta travestita da «qualità». Il nuovo protocollo è: «Qualità inferiore a prezzi costanti». Se metabolizzate tali concetti vedrete che questi supermanager, questi banchieri centrali (in realtà, banali tipografi), questi Nobel e no dell’economia, sono comuni venditori di fumo, che si nascondono sotto parole inglesi di particolare suggestione per gabbarci. Che bello, se il caso Grecia fosse l’innesco di uno tsunami culturale che sparigliasse tutte le carte.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 16/7/2015