Paolo Siepi, ItaliaOggi 15/7/2015, 15 luglio 2015
PERISCOPIO
Merkel: «Aumenta l’Iva». Tsipras: «Ok». Merkel: «Taglia le pensioni». Tsipras: «ok». Merkel: «Ma su un piede solo». Il rompi-spread. MF.
«Sono soddisfatto dell’accordo», ha detto Tsipras contandosi i reni. Spinoza. il Fatto.
«Pisapia è un avvocato e, da buon avvocato, ha rinviato», dice il finanziere Francesco Micheli. Ha gestito scelte compiute prima di lui, lo ha fatto con precisione e onestà, è stato «un amministratore di condominio coscienzioso, ma la città ha bisogno di molto di più». Stefano Cingolani. Il Foglio.
Renzi ha scelto di farsi riprendere a Berlino in grembo alla Merkel, che lui chiamava «Angela», manco fossero compagnucci della parrocchietta ai tempi degli scout, mentre lei teneva le distanze appellandolo «il premier Renzi». Marco Travaglio. il Fatto.
L’Europa, che noi denigriamo e sottovalutiamo, è un’isola felice. Nel mare di guai del mondo, molti cercano di raggiungerla e di costruirsi una vita (o di salvarsela, come i siriani). Arrivano da est, da ovest, da sud. Ogni Stato europeo ha i suoi problemi e vede solo quelli. Ogni governo, per tenersi buoni gli elettori, racconta solo una fettina di verità. Beppe Severgnini. Sette.
Se il modello televisivo, per Renzi, è ancora la Picierno che battibecca con Salvini («Signorina lo dici a tua sorella, capito?»), stiamo freschi. Antonio Padellaro. il Fatto.
La parte di Guareschi (43 chili) che ritornò in Italia dalla prigionia in Germania, subì traumi ed oltraggi. Tutti gli irriducibili della Resistenza bianca furono oltraggiati. Era ormai settembre inoltrato del 1945 quando Guareschi e tutti gli altri di Radio B90, ultimi fra gli ultimi ad uscire dai reticolati, furono gettati su carri bestiame e fatti scendere verso l’Italia. Due anni prima erano stati i nazisti a stiparli in carri identici, ma i nazisti non li stavano liberando, ma deportando. E deportavano uomini che erano ancora nel pieno delle loro forze, non giunti all’apice del loro stremo. Beppe Gualazzini, Guareschi. Editoriale Nuova, 1981.
In un incontro tra studenti e autorità trasmesso dalla Rai, dopo un dibattito lungo e confuso, il professor Giovanni Sartori, dell’università di Firenze, richiamò i presenti all’argomento che era stato messo all’ordine del giorno, osservando: «Finora si è parlato di tutto meno che della riforma universitaria; sarebbe opportuno discuterne un po’». Uno studente, qualificatosi cattolico, fu sollecito a rispondere: «Esatto! Non abbiamo detto una risposta sulla riforma universitaria. Ma noi ci occupiamo della riforma della società, dalla quale poi verrà la riforma dell’università. Noi vogliamo fare la rivoluzione». Domanda il Sartori: «Ma quale rivoluzione?». Risposta dello studente: «Non lo sappiamo e non ci interessa di saperlo, perché l’azione improvvisa da sé quel che deve essere messo al posto di ciò che essa distrugge». Panfilo Gentile, Democrazie mafiose. Ponte alle Grazie, 1997.
Il quotidiano francese Combat dell’8 maggio 1945 scrive, a proposito della vittoria ufficiale delle truppe alleate su quelle del Reich: «Questa immensa gioia, piena di lacrime». Jean Boissonat, Europe année zéro. Bayard, 2001.
Sono come l’arbitro che ferma la riunione tra pugilatori quando uno ha il sopravvento sull’altro, gli scommettitori si rassegnano, i secondi buttano fuori lo straccio, il sangue delle arcate spaccate gocciola sul quadrato, il pubblico belluino non urla più, la gente si accheta, si asciuga la bava dalla bocca con la manica del maglione, la stessa gente, con le mani che prudono, se ne esce in strada a prender la macchina parcheggiata in doppia fila, i cani nel bagagliaio abbaiano. Francesco Maino, Cartongesso. Einaudi.
Incontro a Milano, ai giardini, Pietro Nenni che mi abbraccia. Sano come un pesce, giovanile, esuberante e perfino, mi sembra, meno cieco del solito. «Presidente», gli dico, «vivamo nel rimpianto di Lei, anche noi non socialisti». «No, soltanto voi non socialisti». Ma lo dice senza acredine. Indro Montanelli, I conti con me stesso. Diari 1957-1978. Rizzoli.
Pier Paolo Pasolini sperava di farsi finanziare il film Accattone da Fellini. Federico aveva messo su una produzione con Rizzoli, la Federiz, nata con l’obiettivo di trovare talenti da far esordire. Pier Paolo girò un pezzo di Accattone, lo fece vedere a Fellini e quello, rapido, sentenziò: «Regista non diventerà mai, non lo può fare proprio». Per fortuna subentrò Angelo Bini, ma all’inizio Pasolini non venne capito. Aveva uno sguardo prorompente, irritante, non convenzionale. Faceva qualcosa che prima non si era visto. Metteva i brutti in primo piano. Disturbava. Adriana Asti, attrice (Malcom Pagani e Fabrizio Corallo). il Fatto.
Alida Valli me la ricordo bene. Abitava qui dietro. La vedevo uscire vecchia, vecchia. Molto presto di mattina. Con la miseria di una pensione avara andava a comprare un po’ di pane. È avara, anzi avarissima, anche la mia pensione. Non c’è una lira, ma chi se ne frega. Tra una marchetta e l’altra qualcosa arriverà. Le marchette le facciamo tutti. Bisogna sopravvivere. Negli ultimo due anni ho recitato senza incassare un cazzo. Ho contattato un avvocato e provato a far valere le mie ragioni. Il risultato? Alcuni comuni del Sud mi hanno proposto di pagarmi un quarto di quanto avevano pattuito. Altri sono spariti. Paolo Poli, attore, 86 anni (Malcom Pagani). il Fatto.
Appartieni al pubblico, è per lui che devi restare la numero uno, e avrai una carriera per tutta la vita. Ed eccomi qui, a un punto dove non avrei mai creduto di arrivare. Serena, realizzata e senza marito. Uomini? Giuro, mai più. Dee Dee Bridgwater, cantante (Giuseppe Videtti). la Repubblica.
Debbo riuscire a convincere i pigmei a non fidarsi degli antropologi che vanno lì per diventare amici e poi in tv parlano male di loro. Maurizio Milani, scrittore satirico. Il Foglio.
Io venni additato come un scrittore insopportabile, misantropo e fascista, in dieci anni ho scritto più di seicento stroncature, un vero stronzo, e collaboravo con giornali di destra, Il Domenicale, Il Foglio, Libero e poi il Giornale, cosa che in Italia si paga cara. Neppure il mio editore, Mondadori, ha mai avuto il coraggio di portarmi da qualche parte, né a Torino né a Pordenone né alla fiera della salsiccia, perché chissà poi cosa dico (in effetti hanno ragione) e la Bompiani, quando era il mio editore, voleva farmi firmare un contratto per non scrivere male di Scurati. Massimiliano Parente. il Giornale.
L’italiano si sente borghese solo in pantofole. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 15/7/2015