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 2015  luglio 12 Domenica calendario

IL CONSIGLIO DEI SMINESTRI

Ogni tanto qualche lettore ci domanda perché guardiamo con tanta curiosità quello che scrivono, ma soprattutto non scrivono gli altri giornali. La risposta è in quello che sta accadendo, ma soprattutto non sta accadendo, sull’affaire Renzi-Adinolfi-Napolitano’s. In un altro paese tutta la stampa stazionerebbe sotto Palazzo Chigi e non leverebbe l’assedio finché non avesse ottenuto le dovute spiegazioni dal premier sui suoi rapporti con B. e con i vertici della Guardia di Finanza, nonché sulle parole dei suoi fedelissimi sull’asserita ricattabilità dell’ex presidente Napolitano per i presunti altarini del figlio Giulio. Così Renzi, oltre a “sminestrare”, sarebbe costretto a chiarire le questioni cruciali ben riassunte qui accanto da Padellaro e Lillo. Invece siamo in Italia e anche questo affare di Stato, dopo qualche lancio di agenzia, articolo di giornale e servizio, verrà archiviato come l’ennesima fisima del solito Fatto Quotidiano. E morta lì. Il copione è lo stesso seguito per vent’anni dagli house organ berlusconiani a ogni scandalo del Caimano: il problema non è ciò che dicono gli intercettati, ma che siano stati intercettati; che i nastri siano finiti su un giornale; e che si parli di fatti privi di rilevanza penale.
Solo che nell’Era B. a fare da controcanto c’erano i giornali e il tg di sinistra, che rivendicavano il diritto-dovere della stampa di pubblicare atti depositati anche di fascicoli archiviati e ricordavano che non tutto ciò che penalmente irrilevante è politicamente e moralmente lecito, con ampie citazioni illustri da Berlinguer a Borsellino. Ora invece a sinistra tutto tace, anzi acconsente. E il controcanto lo fa la stampa di destra, che è quella che è. Basti pensare che, per il Giornale, lo scandalo delle intercettazioni è che sono state pubblicate e che Napolitano ce l’aveva a morte con B., mentre sul Foglio il povero Bordin si scandalizza perché noi criticammo il capitano Ultimo per non aver perquisito il covo di Riina e ora riferiamo conversazioni captate da cimici piazzate da lui: il bambino indica la luna e, come sempre, il fesso guarda il dito. A sinistra, in compenso, c’è la presunta Unità, che al tema politico del giorno non dedica neppur una didascalia, avendo ben altre notizie, in esclusiva mondiale: “Via i camion-bar dai Fori imperiali”, a imperitura gloria del sindaco Marino, e soprattutto “Cresce l’industria, la ripresa c’è”, “185 mila nuovi contratti. Renzi: dato positivo”. Sono i 271 posti fissi di lavoro creati a maggio, roba forte.
Apag. 7 Matteo in persona risponde ai lettori. Qualcuno gli avrà chiesto di Adinolfi e Napolitano? Purtroppo no. Ti piace lo gnocco fritto? “Magari, non sono nemmeno ingrassato”. Sei pentito dell’appoggio a Marchionne? “Io no. Tu?” (la lettrice Rita che ha fatto la domanda si sta chiedendo quando mai le sia capitato di appoggiare Marchionne). Repubblica invece all’affaire dedica due pagine. Nessun cenno nei titoli ai Napolitanos: non esageriamo. La notizia è l’unica cosa nota pure ai bambini: Renzi giudicava Letta un incapace. E vabbè. Ma il meglio arriva nel “retroscena”, lo spazio un tempo riservato a notizie e voci rubate ai politici. Ora invece, quando Renzi non vuol parlare ufficialmente, chiama il retroscenista: un ventriloquo che impapocchia le sue frasi con formule tipo “confida Renzi ai suoi collaboratori…”. Dunque leggiamo: “A Palazzo Chigi dicono che ‘si sa che può andare così’”. Cosa? Boh. “Certe sorprese dalle inchieste ‘vanno messe nel conto’”. Quali sorprese, visto che a parlare erano Renzi e i suoi? Mistero. “Sono intercettazioni senza profilo penale di un’indagine in parte archiviata”: B. non avrebbe saputo dire meglio, prima o poi chiede le royalty.
“Renzi non pensa a manovre a orologeria”. Ah ecco. “Business as usual, ripete”. Ma anche cave canem, cherchez la femme, Parigi è sempre Parigi. “Il fastidio però filtra. E c’è il timore che possano moltiplicarsi episodi di questo tipo”: dipende da cos’ha fatto e detto. “Renzi ha usato il suo schema classico: rilanciare, non arretrare di un passo”. Pancia in dentro, petto in fuori. Marciare non marcire. È l’aratro che traccia il solco, ma è Twitter che lo difende. “Basta leggere tra le righe del post su Facebook”. Ecco, tra le righe. “Rimane l’amarezza”. Mo’ me lo segno. “Se non corriamo, è colpa loro”: di B., Monti e Letta. Sua, mai. “Legge e rilegge le intercettazioni” e “non ci trova niente di scandaloso”: niente, lui. “Alcuni vicini a lui sussurrano che ‘certe conversazioni non dovrebbero mai uscire’”. Si sa come sono i vicini: sussurrano. “Renzi però non si descrive indignato e non vuole fasciarsi la testa”. No che non se la fascia. “Non c’è niente da chiarire, è la sua linea”. E chi è mai il cronista per contestare la linea?
Anche sul patto di governo con B. otto giorni prima del Nazareno, “nulla da nascondere”: “FI aveva già accettato il tavolo sulle riforme. Dov’è lo stupore, si chiedono nello staff”. Veramente si sapeva che B. aderiva alle riforme, non al governo Renzi. Ma fa niente: “Questa è la versione ufficiosa dei renziani. Non servono note o comunicati stampa, questa è la decisione”. E chi siamo noi per fargli violenza? Ci sarebbe poi quel “tu” da pappa e ciccia col generale Adinolfi, che gli manda cravatte e gli dà dello stronzo. Ma “i sindaci ogni giorno devono chiedere ai finanzieri di intervenire sulla città per mille motivi”. E certo, c’è un marciapiede rotto o un dehors abusivo e il sindaco chi chiama? Il comandante interregionale della Finanza. Tutto regolare. “Si ostenta grande tranquillità”. Dai, Matteo, non è niente. È tutto finito. Vai a letto tranquillo. Vuoi che ti canti la ninnananna?
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 12/7/2015