Gianni Mura, la Repubblica 12/7/2015, 12 luglio 2015
NIBALI A LUCE SPENTA ADESSO È UN ENIGMA PAGA DIECI SECONDI ALLO SCATTO DI FROOME
MÛR DE BRETAGNE.
La sola nota positiva per Nibali, da quando è partito il Tour, risale alla crono di Utrecht, il primo giorno. Poi ha dovuto incassare una serie di colpi, colpetti, colpacci. Nessuno da ko, ma, sommati, da registrare tra l’inatteso e l’allarmante. Prendiamo il caso di ieri, tanto per ribadire che spesso le apparenze ingannano. A pochi km dall’attacco del muro di Mûr, ci sono quattro maglie azzurre della Astana in testa al gruppo. Quindi, Nibali sta bene, forse ha in mente qualcosa per migliorare la classifica. E invece no. Dopo un gran lavoro della Cannondale per favorire Daniel Martin, è Froome che fa l’andatura convinto ma non a fondo, giusto per vedere l’effetto che fa. L’effetto è che Nibali si stacca di colpo. Appena Froome rifiata, s’avvia Vuillermoz, già terzo a Huy, e conquista la più bella vittoria di una carriera fatta soprattutto di mountain bike: ai Mondiali, un oro, un argento e un bronzo. Nato nel Jura, 27 anni, «sembra timido ma non lo è per niente», dice il suo ds Lavenu. Il finto timido entusiasma un pubblico enorme. Qui si mangia, già prima degli anni d’oro di Louison Bobet, pane e bicicletta. E la faccia tosta di chi non ha paura di scattare in faccia a Froome rappresenta il primo canto del gallo. Non è il 14 luglio, ma va bene lo stesso. Vuillermoz dedica la vittoria al padre, morto tre anni fa. «È lui che mi ha trasmesso l’amore per il ciclismo, lui che mi caricava in macchina per andare a veder passare il Tour». Al Giro dell’anno scorso ha chiuso undicesimo. «Ma non sono un uomo da classifica, non ho la mentalità per fare il capitano. Mi basta avere libertà quando c’è una tappa adatta alle mie caratteristiche ». Questa lo era. Quassù non si vince per caso. Nel 2011 toccò a Cadel Evans. E, nel 1947, il muro era inserito in una cronometro micidiale: 139 km. Vinse il bretone Robic che poi vinse anche il Tour all’ultima tappa. Quest’anno i chilometri a cronometro sono meno di un terzo di allora: dopo i 14 scarsi di Utrecht, la cronosquadre di oggi: 28 km. La distanza normalmente non produrrebbe grandi distacchi, ma il percorso è rognoso, duro, pieno di strappi, e il traguardo è posto in cima alla salita di Cadoudal: 1700 metri a 6,2% di pendenza media. I tempi sono presi sul quinto corridore, quindi servirà un grande affiatamento per non tirare il collo alla squadra.
Ma cos’è successo a Nibali? «Non lo sa neanche lui» dice il ds Martinelli. «La squadra stava lavorando bene, sull’accelerazione di Froome è rimasto sui pedali. Gli ho detto di metterci una pietra sopra e di concentrarsi sulla cronosquadre, sennò viene a tutti il mal di testa. Non ci sono scusanti, guasti meccanici o altro. Chiaro che non ci voleva. Il Tour è ancora lungo». Vincenzo poi spiegherà: «Una brutta giornata, non me lo aspettavo. Non sono riuscito a reagire».
Contador dice ai colleghi di Marca che gli è andata bene: «Poteva anche perdere di più». Froome si dice sorpreso: «Non mi aspettavo che Vincenzo si staccasse perché nel finale, col vento in faccia, era più facile tenere le ruote». Questo è il punto: dieci secondi Nibali non li ha persi solo dai pezzi grossi, ma da venticinque corridori tra cui Simon, Rolland, Yates. Come gli si fosse spenta la luce, dentro. Una regia occulta ha invertito i ruoli assegnati in partenza. Froome doveva pagare dazio nella prima settimana e ne è uscito in maglia gialla e con una sicurezza, fin qui almeno, superiore a quella di due anni fa. Nibali doveva sfruttare al massimo pavé e ventagli. Non è colpa sua se il giorno del pavé la pioggia non è arrivata, ma nella trappola dei ventagli c’è rimasto lui, con Quintana, e adesso dovrebbe inventarsi qualcosa su un terreno, le grandi salite, in cui almeno due dei tre cavalieri gli sono superiori. Contador forse no, ma Contador è abilissimo nel mascherarsi. Non solo per la maglia gialla, Froome attualmente è il più forte. Ha imparato a gestire meglio i rapporti con tv e stampa, sorride molto più spesso, non ha fretta di andarsene. E predice un grande futuro, lui kenyano bianco, ai neri degli altopiani. «L’altitudine li favorisce, però mancano le infrastrutture, le strade, le biciclette, e non parliamo della scarsa serietà di alcune federazioni. Un po’ alla volta, venendo a correre in Europa come ho fatto io, gli africani impareranno il mestiere. Ma è già un buon risultato che ad alcune manifestazioni, come il Safari Simba, arrivino tecnici dall’Europa a cercare giovani talenti».
Un giovane talento la Francia ce l’ha, ed è Barguil, risalito all’ottavo posto. All’esordio non ha sbagliato una mossa, e per uno scalatore puro non era facile. Una mossa non l’hanno sbagliata nemmeno Van Garderen, Gallopin e Uran Uran, che al Giro era uno straccio. Sagan ha indossato la maglia verde: il muro era troppo alto per gli sprinter classici. Di Paolini e della positività da cocaina sui giornali di qui si parla poco o nulla. Nella notte di venerdì il corridore ha twittato messaggi alquanto contraddittori. Prima chiede scusa a tutti, soprattutto ai colleghi, poi manda brutalmente a quel paese chi lo condanna senza sapere come sono andate le cose. Ma non dice come sono andate le cose. Garantisce che chiarirà tutto con l’Uci. Il seguito al prossimo tweet.
Gianni Mura, la Repubblica 12/7/2015