Alessandro Penati, la Repubblica 12/7/2015, 12 luglio 2015
LA CINA È VICINA? NON IN BORSA MA NEL PIL IL RISCHIO DEL CONTAGIO
Il crollo della Borsa cinese (-32% in pochi giorni) fa temere che la Cina, più della Grecia, possa essere fonte di contagio per i mercati finanziari. Dal novembre scorso, il mercato azionario domestico cinese è letteralmente esploso: +114% Shanghai, + 130% Shenzhen. Poi, il crollo. Il rialzo era stato alimentato quasi esclusivamente da risparmiatori cinesi (circa l’80% delle transazioni in renminbi). Nello stesso periodo, infatti, l’indice di Hong Kong, dove gli stranieri hanno libero accesso, è salito del 18%.
Nessun fondamentale può giustificare un tale rialzo: l’indice di Shanghai è arrivato a valere 45 volte gli utili. A marzo, la crescita del Pil si è fermata la 7%: bisogna risalire al picco delle crisi del 2008 e del 2001 per trovare un dato più basso. L’inflazione è in discesa all’1,4%, che in Cina significa rischio deflazione. Anzi, la bolla delle azioni cinesi trova origine proprio nella forte espansione monetaria che cerca di attenuare il rallentamento della crescita (per gli standard cinesi) e l’implosione del sistema bancario per via delle sofferenze che ne conseguono. Da novembre, la Banca Centrale ha tagliato tre volte i tassi di interesse e ridotto la riserva obbligatoria delle banche. L’incentivo all’espansione del credito, e la liberalizzazione degli acquisti a debito dei titoli azionari, passati in pochi mesi da 60 a 390 miliardi di euro, insieme a un mercato finanziario poco evoluto, mal regolamentato, e molto opaco, hanno innescato la più classica delle bolle.
Per ora le autorità hanno arrestato il crollo dei corsi con una serie di interventi estemporanei: blocco delle vendite allo scoperto, sospensione dalle quotazioni per quasi la metà del listino, obbligo di acquistare azioni proprie per le società, facilitazioni per i prestiti contro titoli in garanzia, acquisti diretti di azioni finanziati dalla Banca Centrale. Tanto dirigismo non risolve il problema, ma lo nasconde, impedendo ai prezzi di ritrovare rapidamente un nuovo livello di equilibrio: probabilmente più basso dell’attuale visto che, nonostante i crolli, Shanghai ha pur sempre guadagnato il 60% rispetto a novembre.
Lo scoppio di una bolla quasi sempre si ripercuote sull’attività economica del paese, e si trasmette per contagio agli altri paesi. Ma il caso cinese è diverso. Di solito un crollo del valore delle attività finanziarie influisce sull’economia reale attraverso l’effetto ricchezza su consumi e investimenti, e il dissesto delle istituzioni finanziarie, con la conseguente contrazione del credito, che amplifica l’effetto recessivo.
Le perdite poi colpiscono anche gli investitori stranieri, i capitali fuoriescono, deprezzando il cambio, che genera altre perdite. Di qui il contagio.
In Cina però l’effetto ricchezza è ridotto perché solo una frazione dei cinesi investe in borsa e perché i consumi privati contano appena il 37% del Pil (68% in Usa e 56% nell’Eurozona). Oltre al QE della politica monetaria, il Governo può sfruttare il suo basso indebitamento (22 % del Pil) per intervenire e assorbire le perdite delle istituzioni finanziarie. Il rischio di trasmissione del contagio all’estero è minimo perché la bolla ha riguardato quasi esclusivamente investitori cinesi; perché il paese continua a esportare risparmio nonostante il rallentamento ( avanzo delle partite correnti pari al 2% del Pil); ed è creditore netto rispetto al resto del mondo con riserve per ben 3.500 miliardi di euro (due volte il Pil italiano).
Difficilmente, dunque, la Borsa cinese può essere fonte di contagio per i mercati nel mondo. Lo è invece la fine inevitabile della crescita tumultuosa della Cina basata sugli investimenti (44% del Pil, contro il 15% in Usa e il 19% nell’Eurozona). Per la Cina, passare dagli investimenti ai consumi privati come motore della crescita, significa accettare tassi di sviluppo inferiori a quelli degli ultimi decenni; e salari più elevati. E bisogna farlo superando l’inevitabile crisi delle istituzioni finanziarie che hanno finanziato generosamente quegli investimenti, spesso poco redditizi. Il rallentamento cinese è quindi destinato a durare, e continuerà a calmierare il prezzo dell’energia e delle materie prime, esportando deflazione a tutti gli altri paesi esportatori. La locomotiva dei famosi paesi BRICS, sta diventando il vagone di coda dell’economia del mondo.
Alessandro Penati, la Repubblica 12/7/2015