Tino Oldani, ItaliaOggi 14/7/2015, 14 luglio 2015
COME E PERCHÉ, IN VISTA DELL’ARRIVO DI NETFLIX IN ITALIA IN OTTOBRE, STA NASCENDO UN’ALLEANZA VIVENDI-MEDIASET SUL FUTURO DELLA PAY-TV
Segnatevi queste due parole: quad play. È l’abbreviazione di quadruple play, e indica la possibilità di fornire contenuti mediatici di ogni tipo (film, partite di calcio, gare di Formula 1 e moto Gp, serie tv di successo) attraverso il telefono (fisso e mobile), la rete internet e la tv. In pratica, la possibilità di vedere in diretta le partite di Champions league anche sui dispositivi in movimento, come il tablet o il cellulare. Il tutto a patto che vi siano reti di comunicazione ultraveloci, la famosa banda ultralarga, in fibra e wi-fi. I servizi forniti online saranno a pagamento, e sono considerati fin d’ora il settore più ricco e promettente, quanto a profitti, del futuro mercato che coinvolge media e telecomunicazioni.
Il primo al mondo a capire le enormi potenzialità del quad play, la distribuzione online dei video a pagamento, è stato l’americano Reed Hastings, fondatore e ceo di Netflix, società leader nel mondo in questo settore. Nel 2007 riuscì a convincere le major cinematografiche Usa a cedergli per pochi dollari interi cataloghi con migliaia di vecchi film, per poi venderli online a pagamento, insieme ad alcune tra le serie tv più gradite al pubblico americano. Il boom è stato immediato. In soli otto anni, Netflix è diventato un gigante da 5,5 miliardi di dollari di fatturato, e conta 60 milioni di abbonati, 18 dei quali sono al di fuori degli Stati Uniti.
Perfino uno «squalo» come Rupert Murdoch, che di pay-tv se ne intende, è rimasto colpito dal fenomeno Netflix. E comincia ad averne paura. La differenza, tra i due, è che Murdoch trasmette i suoi programmi con il satellite o con le tv via cavo. Netflix, invece, usa la banda ultraveloce di internet, e grazie a questa può arrivare dovunque, con il vantaggio del minor costo e di poter registrare i gusti degli abbonati a livello individuale (osservando i loro contatti sulla rete), e proporre di conseguenza un bouquet tv personalizzato (idem per la pubblicità). Risultato: negli Usa, Netflix consuma più di un terzo (oltre il 33%) del traffico internet in download nelle ore di punta, e fa registrare il più alto volume tra tutti i servizi in banda larga. I suoi concorrenti più diretti, come I-Tunes e Amazon, non vanno oltre il 2,6 – 2,8%, mentre Youtube, che concorrente non è, consuma il 14% della banda larga disponibile.
La velocità di penetrazione di Netflix al di fuori degli Usa è impressionante. In Australia i suoi video on demand sono stati offerti soltanto a partire dall’aprile scorso, con il primo mese in regalo, a prezzi molto bassi (7-8 dollari al mese): in appena tre mesi Netflix ha raccolto un milione di abbonati, schiantando i precedenti operatori pay-tv australiani, costretti a fare la figura dei nani: i due maggiori concorrenti erano fermi a 97 mila e 91 abbonati, e lì sono rimasti, per ora.
In ottobre, Netflix sbarcherà anche in Italia. Le previsioni del mercato dicono che entro dicembre avrà 150 mila abbonati. Già adesso il sito italiano della società Usa invita gli utenti potenziali a inserire la propria email in una finestra per ricevere informazioni sul giorno esatto in cui il servizio sarà attivato in Italia. «La nostra filosofia è come la cucina italiana», ha anticipato pochi giorni fa a wired.it lo stesso Reed Hastings. «Usiamo pochi ingredienti, ma li usiamo bene». A favore di Netflix giocano anche le previsioni sul mercato dei video on demand in Europa, che nel 2015 metterà a segno un fatturato di 2,1 miliardi di euro: per il futuro, si parla di una crescita annua del 20%.
L’unico handicap, per quanto riguarda l’Italia, è la diffusione ancora insufficiente della banda ultralarga. Secondo l’ultima relazione del garante dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, l’Italia registra una copertura del 36%, contro la media Ue del 68%. Non solo: intere regioni sono scoperte al 100%. Un ritardo che penalizza l’intera economia nazionale, in molti settori. Ma che, paradossalmente, nel caso della tv on demand potrebbe aiutare i concorrenti di Netflix, che infatti si stanno organizzando.
L’operatore più dinamico, forse perché il più interessato, è Telecom Italia, appena passato sotto il controllo della Vivendi di Vincent Bolloré. La Vivendi, che in Francia controlla la pay-tv Canal+ e produce serie tv, è seconda solo a Walt Disney nell’enterteinment mondiale. In attesa di Netflix, Telecom Italia ha appena stretto un accordo con la Sky di Murdoch e ne sta definendo un altro con la Mediaset di Silvio Berlusconi, con l’obiettivo di «trasformarsi in una piattaforma aperta per la distribuzione dei contenuti» (parole di Marco Patuano, ad di Telecom). In pratica, l’up grading nella banda ultralarga per stare al passo di Netflix nella tv on demand, e limitarne l’impatto.
Non solo. Secondo alcune indiscrezioni, Bolloré starebbe negoziando con Mediaset un’alleanza a tutto campo, compreso l’eventuale ingresso di Fininvest in Vivendi, con un 5-7%, così da avere un socio italiano per i contenuti tv. Quanto a Sky, Murdoch ha tentato di acquistare Mediaset Premium per non perdere le partite di Champion’s. Ma l’offerta è stata respinta. «Con Sky siamo in concorrenza su tutto. Abbiamo una concorrenza feroce», ha commentato pochi giorni fa Fedele Confalonieri. Da ottobre, con l’arrivo di Netflix, la partita diventerà ancora più dura. Per tutti.
Tino Oldani, ItaliaOggi 14/7/2015