Marco Panara, Affari&Finanza 13/7/2015, 13 luglio 2015
“SIENA, LE BANCHE, L’EUROPA ECCO PERCHÉ DOPO 20 ANNI È ORA DI CAMBIARE MESTIERE”
[Intervista ad Alessandro Profumo] –
Dopo vent’anni ai vertici del sistema bancario italiano Alessandro Profumo ha deciso di cambiare mestiere. Da bancario era diventato banchiere nel 1995, quando Lucio Rondelli scommise su di lui affidandogli la direzione generale del Credito Italiano. Poi ne divenne l’amministratore delegato, la banca divenne Unicredit, crebbe in Italia e si trasformò da gruppo nazionale in uno dei maggiori gruppi europei. Quel processo porta la sua firma. Negli ultimi tre anni è mezzo è stato presidente del Monte dei Paschi nel periodo più difficile della storia dell’istituto senese e ora ha deciso che quella fase della sua vita è finita. Non vuole più avere azionisti-padroni e per questo diventerà imprenditore. «In questo periodo a Siena ho fatto il mio servizio civile, ho preso dei rischi gratis, adesso vorrei divertirmi».
A fare cosa?
«Vorrei curare il rapporto tra le imprese e i mercati finanziari, consigliarle su debito, equity, fusioni e acquisizioni, aiutarle a crescere. E’ quello che si chiama investment banking, e vorrei che questa nuova impresa avesse anche del capitale proprio da investire. La cosa che mi diverte oggi è stare vicino ai clienti, di complessità organizzativa ne ho gestita abbastanza».
La complessità però aumenta nel mondo di fuori. Che valutazione dà della crisi greca?
«Provo una grande amarezza nel vedere il progetto europeo messo a rischio».
«Se è sbagliato in queste ore fare la lista degli errori e di chi li ha commessi, c’è da sperare almeno che ci insegnino qualcosa. Gli ottimisti dicono che questa esperienza servirà a rinserrare le fila del progetto europei, i pessimisti che potrebbe essere l’inizio di un allontanamento da quel progetto. Intanto quello che vediamo è che concentrati come siamo sui problemi economici della Grecia non riusciamo a dare risposte agli altri problemi che ci assillano, dall’Isis alle frontiere orientali dell’Unione, alle migrazioni. E non riusciamo ad esprimere una visione del futuro, il che rende fragile nei cittadini d’Europa il rapporto con questo straordinario progetto. Io ho costruito una banca sul progetto europeo ed è un grande dolore vedere quello che sta accadendo».
Vede un rischio di disgregazione?
«Se l’Europa si disgregasse diventerebbe insignificante nel mondo. E’ difficile che paesi piccoli e vecchi possano avere successo nel futuro».
Parla dell’Italia.
«Noi abbiamo grandi bellezze naturali e artistiche e un capitale umano che non è migliore di altri, anche se a mio parere non è neanche peggiore, ma abbiamo poche cose distintive. Con la nostra demografia non possiamo puntare sulla crescita interna, abbiamo bisogno di una Europa che cresca e che esporti».
Cosa abbiamo sbagliato?
«Ci ha fatto sbandare una visione del mondo esclusivamente economica e non politica, anche se detto da un banchiere può apparire paradossale. Ma l’assenza di politica pesa e la causa è la carenza di leadership in questi ultimi anni».
E l’Italia?
«E’ tornata ad essere un soggetto politico e questo è importante. Mi sembra anche che ci sia in Europa e nel mondo meno preoccupazione su di noi per quanto riguarda lo stato dei conti. Poi c’è stato un cambiamento di segno nella nostra economia, che è un passaggio fondamentale che va consolidato. Ovviamente se l’Europa si afflosciasse questo non aiuterebbe».
Lei è da vent’anni in posizioni di vertice, il sistema di potere è cambiato?
«Le incrostazioni sono tante, ma qualcosa si è mosso. Il governo per esempio ha fatto bei cambiamenti nelle partecipate. E mi sembra che il primo ministro faccia una vita lontano dai salotti, il che è sano. Ma la strada è ancora lunga».
Il cambio in Cdp rientra in questo processo?
«Non sono addentro alle vicende della Cassa. Quello che è evidente è che con il livello attuale dei tassi il conto economico è sotto pressione, è necessario allora fare un mestiere diverso, assumere maggiori rischi, il che può avere effetti anche su alcuni pezzi importanti dell’economia del paese ma richiede un cambiamento di know how profondo. Mi stupisce tuttavia che si sia detto che la Cassa non cambia la sua missione: cambiare le persone al vertice in corso di mandato implica naturalmente un cambiamento della missione».
In questa vicenda c’entra Telecom?
«Penso che ci sia un grosso problema nella rete, sulla quale dobbiamo investire in modo con-sistente. In un mondo ideale ciò dovrebbe avvenire in un sistema consortile, ma la rete è di Telecom».
Vedrebbe un ingresso diretto di Cdp?
«Se entrasse in una società che fa anche la parte commerciale un po’ di imbarazzo lo avrei. Diverso è il caso della gestione di un monopolio naturale, ovviamente con un regolatore forte».
Il governo Renzi è intervenuto in modo importante nel sistema bancario, sulle grandi popolari, insistendo per una diversa organizzazione del sistema del credito cooperativo, con l’accordo con le Fondazioni che dovranno ridurre la concentrazione del portafoglio nelle partecipate bancarie. Che giudizio ne dà?
«In generale molto positivo. Le grandi popolari hanno già cambiato il loro rapporto con il territorio e ora si metterà in moto un nuovo ciclo di aggregazioni. Le banche di credito cooperativo svolgono un ruolo fondamentale a sostegno dello small business e saranno più stabili. Le Fondazioni eviteranno la concentrazione degli attivi che ha determinato qualche esito spiacevole. Naturalmente la riduzione delle quote delle Fondazioni farà diventare le banche delle public company il che pone nuove domande».
Quali?
«Lavorare senza azionisti stabili alle spalle è più complicato, anche nella formazione del consiglio. Quando un’azienda non ha una maggioranza azionaria strutturata si dovrebbe per esempio immaginare un ruolo del cda uscente nella formazione del successivo, ma facendo in modo che non si perpetuino le posizioni. Il Monte dei Paschi ha stabilito il limite dei tre mandati per i consiglieri e limiti di età per presidente e amministratore delegato».
Che evoluzione si immagina per il sistema?
«Nuove aggregazioni e poi anche l’ingresso di qualcuno dall’estero».
In questi vent’anni quanto è cambiato il mestiere di banchiere?
«Moltissimo. E’ cambiato totalmente il sistema delle regole, e anche in modo positivo, oggi fare banca è molto più professionale. Sono cambiati i sistemi di controllo dei rischi, i modelli di assorbimento del capitale, i sistemi di gestione della clientela. Le innovazioni sono molte, con Unicredit siamo stati i primi a centralizzare le fabbriche prodotto e a segmentare per categorie di clientela. Poi c’è l’evoluzione tecnologica e ora anche la supervisione europea, che è un passaggio non da poco».
Quali saranno le implicazioni delle nuove regole sui modelli di business?
«Nei prossimi anni con le ultime regole introdotte sui requisiti patrimoniali per l’erogazione del credito il modello italiano multibanca è destinato a morire. I clienti avranno meno banche e le banche meno clienti, e l’approccio è diverso se hai tutto il debito di un cliente, diventi quasi un azionista».
Come giudica questa attenzione quasi ossessiva dei regolatori per i requisiti di capitale?
«Dieci anni fa bastavano 2,5 euro di patrimonio per erogare 100 euro di credito, ora ce ne vogliono dieci. E’ una scelta prudenziale, che ci sta anche, ma nella fase negativa del ciclo ha gli effetti prociclici che abbiamo visto. Ora tuttavia è fondamentale che le regole e i metodi di applicazione si stabilizzino, l’incertezza è la cosa peggiore».
In che condizioni lascia il Monte dei Paschi?
«Mps è stato bistrattato, perché il fardello negativo di reputazione giustificato per il passato non è più giustificato per l’oggi. In questi anni abbiamo tagliato i costi come nessun altro, abbiamo fatto accantonamenti elevati per i rischi sui crediti, ridotto i titoli di stato in portafoglio, chiuso il derivato Santorini, cambiato tutto il top management, cambiato lo statuto, il cda è formato per metà da donne, la Fondazione è scesa dal 33 all’1,5 per cento del capitale. La parte operativa va bene, siamo i secondi nel rapporto costi-ricavi dopo Intesa-Sanpaolo, che però ha ben altre dimensioni».
L’ammontare degli attivi non performanti resta però elevato e c’è ancora aperto il contenzioso con Nomura per il derivato Alexandria.
«I crediti non performanti ammontano a 23,7 miliardi, coperti per metà da accantonamenti. Ma sono ben identificati e lì non ci saranno sorprese se non, forse, positive, se la ripresa si consoliderà. Oggi il Monte è una casa di vetro».
E Nomura?
«Nomura ha rilevanti responsabilità, ci sono indagini penali a loro carico sia per le tangenti pagate da un loro funzionario sia per la transazione, noi abbiamo fatto loro causa chiedendo 963 milioni di danni. Vedremo quali saranno gli esiti di tutto ciò».
Avete appena fatto un aumento di capitale da 3 miliardi, ma la Bce ritiene che Mps per stabilizzarsi abbia bisogno di un partner. Perché?
«L’aggregazione è innanzitutto nell’interesse degli azionisti e della banca. Il piano industriale prevede di arrivare al 2018 a un roe del 5,8 per cento senza aggregazioni. È un roe che non è pari al costo del capitale e quindi per gli azionisti una aggregazione sarebbe vantaggiosa perché aumenterebbe la redditività. Va considerato che la richiesta di aggregazione della Bce si inserisce in una visione di scenario molto prudenziale».
Perché qualcuno dovrebbe oggi comprare Mps?
«Per un istituto italiano il Monte è una grande opportunità per creare il terzo polo nazionale, per un operatore estero l’opportunità è di entrare sul nostro mercato con una banca che ha ridotto i costi, ridotto la rete di un terzo e ha una grande chiarezza nei conti. Aggiungiamo che non c’è un problema di poltrone».
Tra i soci recenti c’è Alessandro Falciai, che impressione ne ha avuto?
«È una persona competente, un buon imprenditore e nella lista per il consiglio di amministrazione ha indicato persone di qualità».
Un’ultima domanda, serve davvero una bad bank?
«È un a cosa importante. Non è un regalo alle banche, ma consentendo di alleggerire i bilanci renderebbe più facile il credito, mentre avere un interlocutore unico aiuterebbe le aziende in crisi finanziaria».
Marco Panara, Affari&Finanza 13/7/2015