Ernesto Preatoni, Libero 11/7/2015, 11 luglio 2015
MA I VERI PROBLEMI SONO CINA E RUSSIA
La crisi greca riscuote grande interesse. Ma rischia di farci sottovalutare scenari ben più cupi che si profilano all’orizzonte. Mentre in Europa ci si appassiona a Varoufakis e al suo successore, l’economia cinese vive qualcosa che sembra assomigliare al 1929 tanto che in poche settimane tra la fine di giugno e l’inizio di luglio le quotazioni avevano perso il 30%. Il rimbalzone degli ultimi giorni è stato voluto dal governo con una serie di iniziative che nei mercati occidentali non sarebbero nemmeno immaginabili. Per esempio impedendo le vendite agli azionisti che hanno più del 5% del capitale, oppure sospendendo dalle contrattazioni più della metà dei titoli quotati al listino di Shangai. Si tratta di 1.400 società le cui quotazioni, senza il blocco, sarebbero franate. Si dirà che la Cina è lontana. Mica tanto, pensando che sono proprio i capitali cinesi quelli che sono venuti da queste parti ad investire con molta generosità negli ultimi mesi. Gli scambi commerciali sono molto più importanti con la lontana Cina, che con la vicina e piccola Grecia. Poi c’è la Russia. Gli scambi commerciali con Putin dei paesi europei valgono la bellezza di trecento miliardi di euro. Una montagna di quattrini, sotto l’incudine delle sanzioni economiche legate al problema dell’Ucraina. Una recente ricerca internazionale condotta dal Lena (Leading European Newspaper Alliance) e del Wfo (Istituto austriaco di analisi economica) ha stimato il costo delle sanzioni a Mosca in cento miliardi di euro e due milioni di posti di lavoro persi in Europa. Per l’Italia la bolletta sarebbe di dodici miliardi e 250mila posti di lavoro se le sanzioni venissero effettivamente rispettate. La Saipem, in queste ore, ha dovuto contabilizzare perdite per 2,2 miliardi a causa dell’annullamento del contratto per la costruzione del gasdotto South Stream che doveva attraversare il Mar Nero e arrivare in Europa rendendo meno strategico il collegamento che attraversa l’Ucraina. A causa delle sanzioni la Gazprom ha fatto valere la clausola di rescissione. Cercherà altrove l’azienda per l’impiantistica. Ben diversa la situazione in Russia. Il vice premier Igor Shuvalov lo ha detto chiaramente: «Gli scenari peggiori, pronosticati alla fine del 2014 fortunatamente non si sono realizzati. Non si può dire che vada tutto bene, perché l’ economia permane in una situazione difficile. Tuttavia la crisi cui sembrava dovessimo prepararci non c’è». Per il 2016 il ministro prevede una crescita del 2,3%. Ottimismo di facciata? Per niente. Sono stato in Russia di recente e posso confermare che la situazione è assolutamente tranquilla. Gli investimenti restano molto convenienti. In campo immobiliare e soprattutto in quello alberghiero che, in questo momento, offre rendimenti molto elevati. Un albergo in Russia permette utili lordi spesso superiori al 50% dei ricavi. In Italia siamo fortunati quando viene raggiunto il 20-25%. Questo significa che i ritorni sull’investimento alberghiero in Russia sono più che doppi rispetto a quelli che si possono ottenere in Europa. Il problema del Paese è costituito dagli elevati tassi d’interesse. Quindi una buona parte degli utili si perde se si è costretti a ricorrere al finanziamento bancario. In compenso le società di costruzione europee sono particolarmente interessate a entrare nel mercato russo. Si finanziano a tassi europei e di conseguenza sono in grado di offrire tassi competitivi alle società di costruzione russe. È un modo intelligente per arginare le sanzioni che impediscono agli istituti di credito europei di finanziare le banche russe. In realtà le sanzioni non hanno mai funzionato. Costituiscono solamente un aggravio di costi. Sono certo che passato il momento iniziale si troverà il modo di aggirare i divieti. Nel frattempo risulta sempre più chiaro che l’aggravio di costi pesa di più sui produttori europei di quanto non lo faccia sull’economia russa. Di fronte a questi cambiamenti di portata storica la classe politica europea appare distratta e non percepisce il senso storico del momento in cui ci troviamo.