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 2015  luglio 12 Domenica calendario

Affari e lotta ai jihadisti, così siamo diventati gli amici di Al Sisi– Negli ultimi dodici mesi hanno parlato di affari, di controllo delle coste, di Libia, del sedicente “stato islamico” e pure di Salah, il Messi d’Egitto che ha fatto sognare la Fiorentina

Affari e lotta ai jihadisti, così siamo diventati gli amici di Al Sisi– Negli ultimi dodici mesi hanno parlato di affari, di controllo delle coste, di Libia, del sedicente “stato islamico” e pure di Salah, il Messi d’Egitto che ha fatto sognare la Fiorentina. Da quando il general Abdel Fattah Al Sisi è diventato presidente, la sua relazione con Matteo Renzi è cresciuta ogni giorno di più. L’Italia ha infatti scommesso sul nuovo regime egiziano e sul ruolo stabilizzatore che questo può giocare nella regione. Non è un caso che Renzi sia stato il primo leader occidentale, la scorsa estate, ad atterrare al Cairo per stringere le mani a un Al Sisi uscito vincitore dal plebiscito che l’ha trasformato in presidente. Cortesia ricambiata a novembre dall’ex generale che ha fatto di Roma la prima tappa del suo tour europeo. In mezzo una serie di incontri bilaterali di alto livello che hanno visto in prima linea Federica Mogherini - che quando era ancora ai vertici della Farnesina è volata due volte al Cairo -il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Sull’agenda di tutti questi incontri, dominati dal costante e crescente mal di testa libico, ci sono state le questioni di sicurezza e la minaccia terroristica regionale. Con un occhio fisso sul Sinai e l’altro sulle coste del Mediterraneo si è spesso parlato anche di collaborazione in ambito militare. L’Italia ha fatto poi il possibile per conservare il tradizionale rapporto privilegiato che la lega all’Egitto e che torna utile ogni volta che voltiamo lo sguardo verso la Libia. E poi gli affari. Dallo scorso novembre sono state due le occasioni nelle quali si è cercato di dare concretezza economica alla scommessa di Renzi: il business Council italo-egiziano di novembre e, a marzo, il summit del rilancio economico di Sharm el Sheikh. ENERGIA RINNOVABILE Confermandosi primo partner dell’Egitto in Europa, in quest’ultima occasione l’Italia si è mostrata disponibile ad aiutare Al Sisi a realizzare il suo sogno: trasformare entro il 2020 l’Egitto in un paese dove il 20% dell’energia proviene da fonti rinnovabili. Oltre ai progetti d’investimento che coinvolgevano già più di 900 imprese, MegaCell e Italgen (Italcementi) hanno deciso di fare dell’Egitto un paese nel quale investire su nuove fonti di energia green. Alla voce gas e petrolio si trova invece un nome storico, quello di Eni. A latere del summit di Sharm, il cane a sei zampe ha messo in piedi un piano di investimenti di circa 5 miliardi di dollari per lo sviluppo, in quattro anni, di 200 milioni di barili di petrolio e 37 miliardi di metri cubi di gas. La speranza è che questa volta il Cairo sia puntuale sui pagamenti, visto che deve ancora saldare un miliardo di dollari di debito. Se dalla costa nord - dove l’Italia cerca di esportare il successo dei resort costruiti nel Mar Rosso - si passa al Sinai, i nostri investimenti si concentrano quasi tutti sul Canale di Suez che ad agosto ha annunciato un progetto di parziale raddoppio dell’ampiezza di questa strategica autostrada del mare. Per ridurre il tempo di percorrenza delle navi da 18 a 11 ore è scesa in campo Fincantieri. Ansaldo si è invece mobilitata per velocizzare la linea ferroviaria, investendo nella creazione di 1200 km di alta velocità per collegare Alessandria ad Assuan. LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA Se gli sforzi per il progresso economico egiziano vanno ben oltre quelli menzionati e si sommano all’azione capillare della cooperazione italiana, più timidi sono i nostri tentativi di favorire una reale transizione democratica. Sembrano lontani gli anni in cui l’allora ministro degli Esteri Emma Bonino puntava sull’inclusione di tutte le parti nel dibattito politico. Una significativa frangia della popolazione - non solo nelle fila dell’Islam politico- ritiene Al Sisi un golpista che ha preso il potere spodestando con la forza il presidente democraticamente eletto nel 2012 e proveniente dalla Fratellanza musulmana. Fino a quando questi resteranno esclusi dalle dinamiche politiche, sarà difficile scommettere su un Egitto realmente stabile. Come già successo in passato, queste forze potrebbero ricorrere alla violenza, magari creando cellule estremiste. L’attentato di ieri - ultimo di una lunga serie - può essere un esempio di queste dinamiche.