Franca Giansoldati, Il Messaggero 11/7/2015, 11 luglio 2015
ECUADOR, IL FUTURO È IN FIORE
In questa terra potente, gagliarda, Charles Darwin ci ha lasciato il cuore. I suoi diari sono un attestato d’amore. Aveva intercettato proprio nella variegata terra equadoregna un richiamo ancestrale, arcaico, qualcosa capace di andare al di là del tempo. Qualcosa che conduceva alla genesi, al Big Bang, alla Madre Terra. Nelle isole Galapagos, un arcipelago che dal 1832 appartiene all’ Ecuador, c’erano tutte le condizioni ideali per studiare e analizzare l’evoluzione del creato, osservando da vicino le specie più diverse, anche creature irreali come le iguane, mostri unici, preistorici, arrivati sino a noi per uno strano miracolo della natura, o forse perchè non contaminati dalla mano distruttrice dell’uomo. Il mosaico dei vulcani in alta quota, la corona delle foreste pluviali, il cielo andino mutevole come un’anima in pena che ogni giorno sembra concedersi alle carezze di chi cammina sui sentieri, tanto sembra vicino agli occhi dell’osservatore.
L’ALTITUDINE
La vita a tremila o quattromila metri è uno spettacolo continuo. Presenta fondali indescrivibili. Un tempo l’Ecuador veniva chiamata la repubblica delle banane, per via della maxi esportazione di banane. Primo produttore al mondo. Secondo la Banca centrale, le esportazioni di banane e platani nel primo quadrimestre del 2014 hanno visto un incremento dell’1.07%, passando da 658,8 milioni di dollari di fatturato nel primo quadrimestre 2013 a 670,2 milioni quest’anno. Un gran business, nelle mani del latifondo. L’associazione degli esportatori di banane (AEBE) ritiene però che l’incremento sia ben maggiore di quanto indicato nei dati ufficiali. Due anni fa il presidente Correa consapevole delle bellezze naturali e di una spontanea vocazione turistica, decise di fare proprio delle banane le proprie ambasciatrici. «Banana Ambassador», fu studiata un’etichetta ad hoc dotata di QR-Code per permettere al consumatore attrezzato di smartphone di andare direttamente al video preparato dall’Ufficio del Turismo dell’Ecuador per ammirare la meraviglia di questa terra. «Ogni volta che qualcuno mangerà una banana, sarà tentato a venire a visitare l’Ecuador» disse il Ministro del Turismo. Non si sa se la voce del turismo sia cresciuta, di certo il Paese nel proprio bilancio ha una voce che sta catturando l’interesse degli investitori. I fiori. L’Ecuador sta diventando la repubblica delle rose. Negli ultimi anni le coltivazioni hanno raggiunto quote di mercato rilevanti, fino a scalare la hit parade dei massimi esportatori al mondo. Negli Usa tutte le rose che vengono comprate per san Valentino o per la Festa della Mamma sono state coltivate nelle serre sulle coste del Pacifico, dove il microclima equatoriale, protetto dalle Ande alle spalle, è l’ambiente ideale per fare sbocciare il business miliardario.
LE RISORSE
L’anno scorso l’industria ha dato lavoro a 103 mila persone e generato incassi per 873 milioni di dollari.
Una success story che solo all’equatore è possibile, poiché non c’è mai l’inverno. Naturalmente il balzo in avanti è stato anche grazie alla politica delle esportazioni facilitata da Correa, un giovane economista, ex seminarista che porta avanti una politica all’interno marcatamente socialdemocratica ma liberista all’esterno, proprio per favorire lo sviluppo del Pil. Se nel 1993 si esportavano fiori per 38 milioni di dollari, nel 1997 erano 131 milioni di dollari, per un totale di 2 mila ettari di coltivazioni. «La crescita si deve alle tecniche più efficienti che si applicano nelle piantagioni e al clima ideale» spiega Santiago Luzuriaga, amministratore delegato della piantagione BellaRosa. In tutto vengono coltivate ben 60 diverse varietà di rose, a stelo lungo. Una meravigliosa tavolozza di colori impressionante. Screziate, rosso intenso, carminio, rosso sangue, rosso velluto scuro, giallo pallido, giallo sole, rosa shocking, persino blu e nere, a seconda delle richieste del mercato americano. Ma poiché business is business, con buona pace degli ambientalisti, il presidente Correa, al di là del comparto agricolo, punta per il fu turo sul petrolio. Estrarrà oro nero in una delle aree con la maggiore diversità biologica del pianeta, il parco nazionale dello Yasuni, praticamente foresta amazzonica. L’Ecuador, il più piccolo paese degli aspri altipiani andini, è una delle regioni del Sud America che più meritano di essere visitate. Con le sue innumerevoli culture indigene, i paesaggi vulcanici lunari e una fitta foresta pluviale, possiede l’architettura coloniale meglio conservata. Il centro storico di Quito, la capitale, è un miracolo di conservazione. Tutto sembra fermato all’epoca dei conquistadores, con le decine di chiese istoriate, i palazzi colorati, le viuzze che si inerpicano fino alla madonna del Panecillo. Una delle chiese più spettacolari, struggente da sembrare un fondale finto, è quella dedicata a San Francisco, un complesso monumentale che per la sua imponenza è conosciuto come l’“Escorial de los Andes”. Mescola stili diversi e tanto oro, oro a profusione, che i conquistadores chiedevano agli indios.
(1/continua)