Federico Fubini, Corriere della Sera 12/7/2015, 12 luglio 2015
IL COSTO DI TSIPRAS 10 MILIARDI
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI ATENE Dai bebè ai pensionati, per ciascun abitante della Grecia sono 900 euro di meno solo quest’anno. È come aver sforbiciato due mesi dalle pensioni più basse, quelle per le quali il governo di Syriza si era battuto senza esito per cinque lunghi mesi in Europa. Novecento euro in meno per ogni greco nel 2015 sono la fattura divisa fra 11 milioni di abitanti di mesi di trattative a vuoto, false partenze, riforme mancate, strappi, blocco di tutti pagamenti dello Stato alle imprese, e di un referendum contraddetto immediatamente dal governo ma non così in fretta da impedire la chiusura delle banche. Sono il frutto dell’ennesimo crollo di un’economia che nel 2014 si era finalmente affacciata su una timida ripresa, e ora invece andrà ricostruita da un cumulo di macerie. Dentro l’euro o «sospesa» da esso. Era evitabile, se solo si guarda alle premesse. Alla fine del 2014 gli organismi internazionali e gli economisti privati prevedevano per quest’anno una crescita in Grecia oltre il 2%. Questa settimana invece lo stesso governo di Atene stima una caduta del 3%. Fra le due cifre corre la storia di un’opportunità da dieci miliardi di euro di reddito alla portata di una nazione allo stremo, ma sprecata. Alla più cauta delle stime, fa 900 euro di ricchezza negata ad ogni greco solo sul 2015.
Sembra strano persino ripensarci, in questo surreale week end ateniese in cui molti bancomat iniziano ad essere fuori uso. Eppure la disgregazione di oggi viene dopo i primi segni di risveglio di appena pochi mesi fa: la Grecia prostrata dall’amputazione di un quarto della sua economia, incredibile a dirsi, nel terzo trimestre del 2014 aveva registrato uno dei ritmi di crescita più rapidi dell’area euro. Fra luglio e settembre il Paese si era sviluppato dello 0,7%, secondo Eurostat, segnando il secondo miglior dato di Eurolandia dopo il Lussemburgo e un’accelerazione pari a quella che l’Italia spera per tutto il 2015. Sull’anno passato la Grecia ha avuto un rimbalzo dello 0,8%: più di Francia, Austria, Finlandia, molto più dell’Italia, e in linea con le (deludenti) medie dell’area euro.
Domani invece il Paese si sveglierà in un mondo diverso, anche se al vertice dei leader europei oggi le speranze di un accordo tornassero in vita. Alexis Tsipras, eletto premier cinque mesi fa grazie alla protesta contro cinque anni di austerità, inizierà la settimana riunendo il parlamento per due operazioni urgentissime. La prima è politica: il passaggio di fatto da una maggioranza di sinistra e destra radicali, Syriza e gli Indipendenti greci, verso un esecutivo di unità nazionale che includa i conservatori di Néa Demokratia, i socialisti del Pasok e i moderati filo-europei di Potami («il Fiume»). L’altra manovra invece è anche di natura amministrativa, ed è destinata a incidere sulla carne viva della società greca: entro martedì, sempre che il compromesso europeo riesca in extremis, devono diventare esecutivi l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, l’allungamento dell’età della pensione e una legge che permetta allo Stato di sequestrare dai conti dei cittadini qualunque arretrato con il fisco.
Non doveva andare così, non per come le prospettive si presentavano nel 2014. Solo un’estate fa, dopo un lustro nella quarantena della Troika, la Grecia era riuscita a tornare a finanziarsi sui mercati. Era partita con un’emissione di titoli a cinque anni con interessi sotto al 5%, poi era stata la volta di un bond da 1,5 miliardi. Ancora a inizio settembre i titoli decennali greci rendevano appena il 5,5%, scesi dai picchi del 36% nel 2012. Il Paese era in grado di ottenere sui mercati quei prestiti che oggi gli servirebbero disperatamente per rimborsare il Fondo monetario internazionale o la Banca centrale europea. Anche la disoccupazione iniziava a calare. La discussione allora fra Bruxelles, Francoforte e Washington era centrata solo su un punto: Atene nel 2015, alla scadenza del secondo programma di aiuti, avrà ancora bisogno di una «linea di credito leggera» o camminerà da sola? Venerdì scorso invece Atene pagava interessi decennali al 18%, non poteva finanziarsi per un solo euro, le imprese erano alla paralisi, le banche chiuse e ora il Paese ha bisogno un terzo programma di aiuti da 74 miliardi, di cui circa 20 per il sistema bancario. In mezzo, ci sono stati Tsipras e il suo (ex) ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. Già in autunno scorso la loro promessa di tassare i conti in banca aveva innescato la fuga dei risparmiatori ; la promessa non è stata mantenuta, ma la fuga è proseguita con un crollo dei depositi da 175 a 128 miliardi. L’incertezza dei negoziati, l’assenza di riforme, il blocco dei pagamenti dello Stato alle imprese (gli arretrati sono esplosi a 5,5 miliardi) hanno poi riportato la recessione. Quanto alla depressione, ci ha pensato il referendum che ha accelerato la corsa agli sportelli e ha imposto la serrata delle banche per evitarne l’implosione.
Non è solo colpa di Tsipras e Varoufakis. È anche di chi, a Berlino o altrove, ha spianato loro la strada, perché l’accordo di ristrutturazione del debito greco nel 2012 prevedeva nuovi sconti quando la Grecia fosse tornata in attivo di bilancio (prima di pagare gli interessi). Nel 2014 è successo, a prezzo di grandi sacrifici dei suoi cittadini, ma i governi creditori hanno rinviato il loro impegno per sfiducia e per non apparire troppo morbidi ai loro elettori. Tsipras ha ringraziato, ed ha fatto ancor più il pieno di un voto di protesta che l’ha portato esattamente nel vicolo cieco nel quale si sveglierà stamani a Bruxelles.