Lorenzo Bini Smaghi, Corriere della Sera 11/7/2015, 11 luglio 2015
SALVARE LA GRECIA NON BASTERÀ A RAFFORZARE L’UNIONE
Il negoziato tra le istituzioni europee e la Grecia è entrato nella fase finale. L’esito, che avrà ripercussioni durature per il futuro dell’Unione, dipende non solo dalle proposte messe sul tavolo da Tsipras ma anche dalle posizioni degli altri 18 Paesi, che sono in parte contrastanti. Per alcuni, la priorità è di ridurre i rischi finanziari a carico dei propri contribuenti. Dato che la Grecia difficilmente riuscirà a rimborsare il debito contratto fino ad ora, è preferibile fermare subito l’emorragia. È inutile concedere nuovi prestiti, dato che la Grecia ha già dimostrato in passato di non essere in grado di mantenere gli impegni presi e di riformare la propria economia. Sarebbe meglio sostenere il Paese fuori dall’euro, con aiuti umanitari e interventi strutturali di lungo periodo. Evitando di sottostare al ricatto populistico di Tsipras si eviterebbe anche di incoraggiare comportamenti simili in altre parti del continente.
Certo, l’uscita della Grecia potrebbe scatenare reazioni a catena sui mercati finanziari, preoccupati dall’eventualità che altri Paesi seguano la stessa via. Tale rischio potrebbe tuttavia essere contrastato con un rafforzamento dell’assetto istituzionale dell’Unione, anche per dare una copertura politica all’intervento della Banca centrale europea. Sono in molti a sostenere che senza la Grecia l’Unione sarebbe più coesa, economicamente e politicamente, e maggiormente predisposta a compiere quel salto politico necessario a rendere l’euro veramente irreversibile.
Una posizione opposta, secondo cui la Grecia deve essere salvata a tutti i costi, viene sostenuta da chi teme che il contagio può sfasciare l’Unione, anche perché i tempi non sono maturi per fare progressi verso una Europa più federale. Cancellando i vecchi debiti della Grecia, ed erogando nuovi prestiti, senza troppe condizioni, si può guadagnare tempo e rinviare il problema a momenti sperabilmente migliori.Questa soluzione non è molto diversa da quella adottata negli ultimi anni, e rischia di ottenere gli stessi risultati, con riforme rinviate o male attuate e una probabilità elevata che tra qualche mese la Grecia abbia bisogno di nuovi finanziamenti e di altri tagli al suo debito. Ciò non farebbe altro che minare ulteriormente la fiducia nell’euro e alimentare spinte populistiche e anti europeiste.
C’è poi una terza posizione, che consiste nel cercare di mantenere la Grecia nell’Unione a tutti i costi e al contempo riformare l’Unione stessa, per accentuarne la dimensione politica e la legittimità democratica. È un tentativo di compromesso, desiderabile in teoria ma con scarsa probabilità di successo in pratica. Bisogna essere realisti. Questi mesi di trattative con la Grecia hanno contribuito a creare un clima di sfiducia reciproca tra i governi dei 19 Paesi dell’Unione e indebolito le istituzioni europee. Anche se la Grecia rimanesse nell’Unione — il che non significa aver risolto definitivamente i suoi problemi — ci vorrà tempo per rimarginare le ferite. L’unico modo per recuperare la fiducia è che i creditori riconoscano di aver fatto bene ad aiutare i Paesi in difficoltà, e che questi ultimi si convincano al loro volta di aver avuto ragione nell’adottare le politiche di risanamento. Questo processo si sta realizzando in Paesi come l’Irlanda, la Spagna e il Portogallo, le cui economie stanno gradualmente riprendendo a crescere, ma non in Grecia, dove vengono rimesse in discussione sia le politiche sia gli aiuti dei creditori. Fin quando non viene risolto il problema greco — dentro l’euro a pieno titolo o fuori dall’euro — l’Europa difficilmente riuscirà a recuperare la fiducia necessaria per compiere altri passi avanti nell’unificazione politica. Chi crede l’opposto si crea illusioni, e non incide sulle decisioni.
Il pericolo maggiore, da evitare a tutti i costi, e quello di non riuscire ad evitare né l’uscita della Grecia dall’euro né il rafforzamento dell’unione monetaria. La combinazione dei due eventi sarebbe letale. Pertanto, se non si riesce ad evitare l’uscita della Grecia, bisogna almeno pretendere immediati rafforzamenti dell’assetto istituzionale dell’euro per orientare la politica europea verso una crescita sostenibile e duratura, vero antidoto contro il populismo. Se si riesce invece a mantenere la Grecia nell’euro, bisogna ottenere da quel governo non solo impegni ma azioni concrete per riformare la struttura dell’economia greca, con un sistema di condizionalità incisiva e periodicamente verificabile, per evitare di ritrovarsi tra qualche anno con lo stesso problema irrisolto e la fiducia tra i membri dell’Unione ancor più scardinata.
Nessuna delle due soluzioni è ottimale, ma nessun altra è realistica.